N.A.T.O.

di Giuseppe Cucchi

Se c’è qualcosa che deve assolutamente essere riconosciuto alla Alleanza Atlantica è quanto sia essa dura a morire..

Nel corso della sua ormai lunga storia l’organizzazione ha infatti dovuto affrontare una crisi dopo l’altra , riuscendo per di più non soltanto a trionfare di ognuna di esse , o perlomeno ad uscirne , ma in alcuni casi anche ad utilizzarle come l’occasione giusta per introdurre nella sua struttura cambiamenti da lungo tempo individuati quali indispensabili ma che in condizioni di vita normale non sarebbero mai stati accettati da tutti i suoi membri.

Si , è vero , alcune crisi particolarmente dure hanno lasciato cicatrici che risultano ancora ben visibili e che probabilmente non spariranno mai . Nel complesso però l’Alleanza , e soprattutto il suo braccio armato , la NATO , godono ancora di una salute invidiabile e si presentano nel complesso come vecchi alberi ancora capaci , nonostante l’età , di resistere ad ogni vento.

In parte ciò è dovuto alla forza di quel legame transatlantico che, come dicono gli anglosassoni, “the Alliance embodies”, e che congloba in se tutti i grandi valori comuni che apparentano le democrazie dei due lati del grande oceano.
Si tratta quindi in primo luogo di una Alleanza che è fondata sui valori. Il che non vuol dire che non esistano anche interessi comuni – primo fra tutti quello di non permettere che uno o più dei paesi membri passi  nel campo di coloro che non riconoscono alla democrazia il primato su ogni altra formula di governo – ma si tratterà sempre di interessi definiti sulla base dei valori comuni e quindi coerenti con essi.

Ed è proprio questo costante riferimento ai valori fondanti della nostra civiltà che ha permesso alla Alleanza di tollerare in varie fasi della sua vita i momentanei cedimenti di alcuni dei suoi membri , caduti temporaneamente preda di regimi totalitari , nella sicurezza che anche grazie al suo influsso essi si sarebbero ravveduti in tempi relativamente brevi rientrando poi come figlioli prodighi alla casa comune .
È quanto successe con la Grecia dei Colonnelli , con il Portogallo della “rivoluzione dei garofani ” , con la Turchia dei ripetuti colpi di stato militari . È ciò che sta avvenendo adesso con l’Ungheria di Orban  ed a livello minore con la Polonia di Kashjinsky . È quanto si verifica con la “democratura ” turca di Erdogan ed in un certo senso , sebbene qui il caso appaia molto più grave perché esso tocca il Grande Fratello Statunitense , è anche ciò che permette di non conferire eccessiva importanza alle recenti prese di posizione dell’attuale Presidente Americano nei momenti in cui egli appare intenzionato a porre in sottordine i valori e ad avere come unico riferimento quel concetto di “America First” che è certo il primo dei suoi interessi ma non è detto sia condiviso in egual misura da tutti i suoi alleati .

La seconda ragione per cui l’Alleanza è ancora così solida consiste poi nel fatto che attraverso i suoi decenni di storia la NATO , che ne costituisce lo strumento  , si sia rivelata indispensabile ed entro certi limiti anche insostituibile .
Settanta anni di ininterrotta cooperazione hanno infatti insegnato alle Forze Armate di tutti i paesi membri le regole e le tecniche indispensabili per riuscire ad operare insieme sul terreno.

Ora tutto è standardizzato , tranne il settore degli armamenti in cui prevalgono ancora mentalità ed interessi industriali nazionali , e gli alleati hanno raggiunto un livello di disciplina ed allineamento delle intelligenze militari che un tempo sembrava impensabile . La partecipazione dei paesi occidentali a coalizioni internazionali operanti sotto diverse bandiere ha inoltre prodotto l’effetto collaterale di costringere Stati del tutto estranei alla Alleanza ad apprenderne il modo di agire e di comunicare.

Le regole NATO sono così divenute una specie di gergo militare comune a tutto il mondo . Per assurdo anche a quelle potenze che ancora , come magari la Russia e la Cina, sono viste come i più pericolosi dei possibili rivali di quello che un tempo era definito come Occidente.

La NATO  si ritrova quindi ad essere divenuta sostanzialmente indispensabile , considerato come se l’Alleanza  dovesse sciogliersi il know how accumulato , che tra l’altro essa costantemente trasmette alle nuove generazioni militari di volta in volta coinvolte nella gestione della sua struttura e delle sue operazioni , andrebbe rapidamente perduto.

Né esiste , almeno allo stadio attuale dei fatti , alcuna possibilità che una altra organizzazione internazionale possa subentrare in queste sue funzioni . La speranza che esse potessero essere delegate almeno parzialmente ad una struttura di difesa comune gestita dalla Unione Europea si è infatti progressivamente indebolita dopo il momento di euforia successivo agli accordi di Saint Malo , quando sembrò che Francia ed Regno Unito potessero diventare il motore di un deciso balzo in avanti europeo.

Nonostante piccoli passi compiuti nel corso degli ultimi venti anni però nulla fa sperare che l’attuale situazione di stallo , che pure ha consentito alla UE di gestire parecchi interventi multinazionali in subordinazione alla NATO , possa evolvere nel breve termine in qualcosa di più efficace e concreto.

In definitiva è quindi da una posizione di grande forza , mutuata dalla sua indispensabilità ed insostituibilità e supportata dalla esperienza di più di settanta anni di navigazione in acque perennemente agitate , che l’Alleanza affronta questa nuova crisi provocata dalla pandemia in corso e chiaramente destinata a cambiare radicalmente se non nel breve almeno nel medio termine il suo orizzonte geostrategico.

Quella che in questo momento si prospetta per il futuro , non soltanto per l’Alleanza ma anche per tutto il resto del mondo , e’ infatti ciò che si potrebbe definire come una “tempesta perfetta” , considerato come l’esplosione del coronavirus abbia finito in pratica col condizionare su scala mondiale  , direttamente od indirettamente , l’intera gamma delle umane attività.

In un certo senso poi la crisi ha anche contribuito ad accelerare oltremisura la globalizzazione di alcuni dei settori chiave  della nostra vita , proiettando repentinamente e drammaticamente miliardi di persone in un mondo informatico che era in precedenza di ben più difficile e selettivo accesso.

Nell’esaminare i problemi che l’Alleanza si troverà di fronte a bocce ferme tentiamo comunque di limitarci , per semplicità , a quelli che appaiono in questo momento come i punti più importanti da trattare . Iniziamo quindi dal panorama geopolitico di un mondo su cui l’azione del coronavirus e la conseguente grave crisi economica non mancheranno di esercitare una decisiva influenza , provocando marcati mutamenti di situazione.

Almeno per il momento , la discussione su questo tema tende a prendere in esame soltanto i due maggiori protagonisti nonché l’andamento  presente e futuro delle loro relazioni.

I commentatori sembrano poi suddividersi più o meno equamente in due gruppi , di cui l’uno convinto che la Cina possa trarre gran partito dalla sua prontezza di recupero e quindi insidiare più da vicino quel primato degli Stati Uniti che apparirebbe così destinato a decadere in tempi molto ridotti .

L’altro gruppo invece sottolinea la tenuta di fondo che gli USA hanno sempre evidenziato nei grandi momenti di crisi e che , unita alla innegabile schiacciante superiorità militare di cui Washington ancora gode nei confronti di tutti i potenziali avversari , dovrebbe consentire loro di riprendere ad esercitare nel breve o nel medio termine , quella funzione di leadership mondiale cui l’avvento della epidemia , sommandosi ad alcune discutibili decisioni presidenziali , sembra aver messo da qualche tempo la sordina.

Da notare come da ciascuna di queste diagnosi siano esclusi tanto altri potenziali protagonisti di elevato livello , come la Unione Europea , la Russia e l’India , quanto la pletora delle medie potenze regionali emerse in tutto il mondo nel corso degli ultimi anni ,cioè gruppi di attori  che potrebbero invece svolgere ruoli decisivi nella ricerca di un nuovo e stabile equilibrio collettivo.

Tentativo di semplificazione ? Sfiducia nelle loro capacità ? Idea che tutto sommato esse non riusciranno mai ad influenzare il futuro ? Convinzione che ormai la storia la faranno soltanto i due più grandi e gli altri dovranno limitarsi a subirla? C’è un po’ di tutto questo , ovviamente , ma per quel che ci riguarda quanto appare da segnalare è come la Alleanza Atlantica potrebbe avere un ruolo molto importante da giocare , ammesso e non concesso che essa riesca a rimanere , in una fase storica in cui il pluralismo appare in declino , una organizzazione internazionale cui si attribuisce ancora un elevato livello di importanza.

Si tratta infatti non soltanto del luogo in cui avviene la sintesi delle due anime dell’Occidente ma altresì di quello che potrebbe evidenziarsi domani come lo strumento giusto per un recupero della Russia prima che questa possa ritrovarsi impaniata senza remissione nell’abbraccio cinese.

Per una operazione del genere i tempi tra l’altro appaiono ormai maturi , considerato come USA e Russia comincino ad avere in parecchi campi , primo fra tutti quello energetico , interessi coincidenti e come buona parte dell’Unione Europea  scalpiti già da alcuni anni  , ansiosa di chiudere la parentesi Ucraina e di riprendere con Mosca relazioni normali.

Per muoversi in quella direzione l’Alleanza Atlantica dovrebbe però riprendere appieno quella valenza politica che già il Cancelliere Shroeder lamentava parecchi anni fa essa avesse perso ….e questa è certamente la prima e forse la più grande delle sfide che le si presenta!

Da considerare in ogni caso come una decisione in tal senso potrebbe risultare molto più facile se tutti gli alleati europei parlassero con una unica voce e costituissero veramente all’interno della Alleanza , quel “pilastro europeo” di cui da sempre si parla senza che in realtà esso sia mai esistito.

Un secondo punto che dovrà poi esser posto sotto esame al termine della crisi è quali saranno  nel prevedibile futuro i compiti che la Alleanza Atlantica , e per lei la NATO , potrà essere chiamata a svolgere.

Si tratta in realtà di un esame che l’Alleanza sta compiendo da parecchio ed ogni anno , in occasione dei suoi vertici , nel comunicato finale la lista delle minacce da cui difenderci si allunga di almeno una voce , divenendo di volta in volta sempre più varia . Tra l’altro è anche bene sottolineare come già nel 2010 la NATO si fosse rivelata buon profeta , inserendo al paragrafo 15 del suo “concetto strategico ” i “rischi sanitari ” fra quelli che avrebbero definito il panorama di sicurezza con cui essa sarebbe stata confrontata in tempi successivi.

Peccato però che all’atto pratico la reazione dell’Alleanza  al coronavirus sia scattata in ritardo , forse a causa di una grandissima esercitazione cui sino all’ultimo essa ha sperato di non dover rinunciare ( la transatlantica ” Defender ” , che avrebbe dovuto essere la maggiore dalla Caduta del Muro ed era chiaramente programmata in funzione anti russa).
Inoltre l’Euro Atlantic Disaster Response Coordination Center , che è l’organo di cui si avvale per queste esigenze ed ha il compito di agire come “camera di compensazione fra le richieste e le offerte di assistenza ” , operando 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 , è stato attivato in ritardo da molti paesi membri , restii a dare il via a quella che poteva apparire come una militarizzazione della crisi.

Per limitarci al caso dell’Italia è probabilmente questa la ragione per cui noi abbiamo visto ospedali da campo NATO partire , nei giorni di peggior penuria della nostra crisi , dai magazzini di Brindisi della Alleanza per essere montati non a Vo’ o a Codogno bensì in Lussemburgo.

Quando poi la NATO ha dispiegato tutta la sua capacità ( a tutt’oggi essa segnala di aver compiuto più di 100 missioni di trasporto , di avere schierato 25 ospedali da campo , provveduto 25 mila letti da ricovero ospedaliero e posto in linea circa 4000 medici e paramedici militari ) alla sua azione non è stato dato quel rilievo mediatico che essa avrebbe meritato e che invece si è concentrato su interventi cinesi e russi di ben minore rilievo.

In ogni caso , ed  al di là della attuale contingenza , l’episodio a cui stiamo assistendo , evidenzia chiaramente come in tempi di cosiddetta “guerra ibrida ”  per risultare efficace l’Alleanza debba essere in condizione di opporle una “difesa ibrida ” ,  capace cioè di sagomarsi perfettamente di volta in volta sul tipo di offesa in atto , nonché di contrastarla efficacemente.

Si tratta di un ampliamento della visione che potrebbe far dilatare considerevolmente le competenze della organizzazione . È quindi un tema da affrontare con grandissima prudenza , anche per evitare che la prospettiva si allarghi talmente da divenire del tutto irrealistica.

Ad esso poi è anche connesso quel problema delle risorse che già da tempo era divenuto uno fuochi del dibattito interno della struttura . Sono parecchi anni infatti che gli Stati Uniti , stanchi di sopportare da soli buona parte del comune onere di sicurezza , invocano quella che a loro parere sarebbe una più equa suddivisione del carico ( in gergo NATO “burden sharing” ).

Da tempo poi gli USA hanno anche proceduto , in maniera assolutamente non concordata , a ritirarsi da aree strategiche divenute per loro meno importanti cercando nel contempo di delegarne la sicurezza ai riluttanti alleati europei.

Vi è da rilevare in ogni caso come , benché per molti versi la richiesta USA appaia giustificata , ad essa non si sia mai affiancata alcuna proposta di un corrispondente “power sharing” , cioè di una più adeguata condivisione del potere con coloro che erano chiamati ad aumentare il proprio contributo.

Si era arrivati così ad una situazione di assoluto stallo in cui , salvo pochissime lodevoli eccezioni , i membri europei promettevano sorridendo in ogni vertice NATO di essere ben disposti ad elevare in poco tempo i loro stanziamenti per la difesa al 2% del prodotto nazionale lordo , dimenticando poi  puntualmente le proprie promesse a riunione terminata .
La crisi in atto , e soprattutto la forte recessione economica che inevitabilmente seguira’  in tutti i nostri paesi, riporteranno in ogni caso il problema dei finanziamenti del settore al centro dell’attenzione collettiva.

Lo faranno però in un  clima che non sarà più quello di quasi pacato confronto tipico dei tempi andati ma risentirà invece di una atmosfera  di drammatica carenza poiché negli anni a venire appare ben difficile , almeno nel medio termine , che le spese di difesa vengano considerate prioritarie rispetto ad altri settori.

Nel migliore dei casi invece esse saranno ridotte . Nel peggiore,  il bilancio della Difesa verrà invece trattato come un Bancomat , da cui attingere per soddisfare necessità contingenti . Cosa che del resto nel nostro paese è già accaduta , e più di una volta !

Da considerare poi come per dar vita alla NATO di domani l’Alleanza sia destinata a mutare profondamente , portando avanti un processo , quello di trasformazione , che non è mai a costo zero , checche’ se ne dica ,  e rischia  invece di rivelarsi parecchio costoso qualora non si voglia incidere ne’ sulla sua coerenza ne’ sulla sua qualità.

Per riassumere quindi l’Alleanza è già chiamata ad affrontare necessità di rapido adattamento ad una situazione esterna per il momento non perfettamente definita e che appare ancora  aperta a diverse possibili soluzioni.

A tutto ciò si associa poi per lei  il dovere di impostare , in contemporanea , anche una trasformazione interna di dimensioni tali da risultare probabilmente la più radicale che l’Alleanza abbia mai dovuto subire.

L’intero processo dovrà infine avvenire in tempi relativamente ridotti e nell’ambito di disponibilità finanziarie del tutto inadeguate alla bisogna.

Ce ne è da far tremare le vene ai polsi a chiunque !
In ogni caso però , come dicevamo all’inizio :”Se c’è qualcosa che deve essere assolutamente riconosciuto alla Alleanza Atlantica è quanto essa sia dura a morire!”