Il punto sull’opposizione in Russia: dal silenzio al golpe sfiorato
“Le tyran est le dirigeant qui gouverne seul contre tous, et les “tous” qu’il oppresse sont tous égaux, c’est à dire également dépourvu de pouvoir.”
Hannah Arendt, La Crise de la Culture.
La dissidenza in Russia si paga con la vita e chi rimane è probabilmente un ex membro dell’esercito disertore, o membri dell’estrema destra e dell’estrema sinistra che durante tutti questi anni Putin ha cercato di sradicare, come si sta vedendo nelle ultimissime ore.
Prigozhin è stato accusato dal presidente russo di traditore come fu per Lenin, mentre nella regione di Voronezh, a 500 kilometri da Mosca, l’esercito russo “combatteva” contro il raggruppamento Wagner. Vi è stato un ammutinamento di massa che è andato a crescere rapidamente negli ultimi mesi, da quando Prigozhin si è lamentato in un video di non venire sostenuto dal Ministero della Difesa, insultando il ministro Shoygu, accusandolo di lasciarli morire i suoi, senza prestargli aiuto o attenzione e addirittura colpendoli con razzi.
Alla fine Shoygu, ha ceduto, oltre a dichiarare in un videomessaggio, diretto alla presidenza russa che mai l’Ucraina ha affermato di voler attaccare la Russia, oggi le parole di diserzione sono diventati fatti, o quasi. Così come gli ex membri dell’esercito, ora, nella Legione della Libertà, che ha operato a Belgorod con il gruppo Wagner si è ribellato a Mosca. La Legione è stata costituita nel marzo del 2022, poche settimane dopo l’inizio dell’invasione che la Russia aveva definito “Operazione di liberazione”. I componenti della legione sono passati dalle 400 unità a oltre 1000, e combattono insieme alle forze armate di Kiev.
L’escalation, si può raffigurare con l’esempio della saponetta, quando la si stringe troppo questa scivola via. Putin ha stretto troppo, non solamente attorno all’Ucraina, ma nei confronti dei suoi stretti collaboratori. È vero che in queste ore di tensione molti hanno dichiarato la propria fedeltà al Cremlino, ma allo stesso tempo le voci dell’opposizione si stanno sollevando e si stanno alzando proprio dai ranghi dell’esercito, come da copione di ribellione nei regimi autoritari.
Basta un solo ufficiale credibile a disubbidire al comandante per dare il via ad un effetto a catena, soprattutto perché in Russia l’opposizione ideologica, nei militari e nella società civile, spazia dall’estrema destra all’estrema sinistra. Oggi non seguono più criteri ideologici, per operare, ormai l’unico pensiero è quello cambiare l’establishment che ha fatto pesare sul Paese una guerra indesiderata e insensata, portandolo ad un ulteriore impoverimento delle masse proletarie, cioè di una maggioranza frustrata. Analogamente viene perdonato l’aver mandato a morire all’incirca 200 mila soldati di età compresa tra i diciotto e i quarantacinque anni.
Le colpe che ricadono su Putin iniziano ad essere talmente pesanti che i russi non possono più di tacere, e se trovano qualcuno su chi appoggiarsi, a prescindere dal pensiero politico, per cacciare chi li ha incastrati in un tale pantano, lo seguiranno senza pensarci due volte, come sembra aver intuito Prigozhin . La storia della Russia insegna che il suo popolo è esperto in materia di rivoluzioni. China la testa per anni, in silenzio, finché non ne può più, esplodendo da un giorno all’altro, senza preavviso, come un vulcano che si credeva spento.
È stato così con la monarchia autocratica, è stato così con il comunismo e sarà così, probabilmente, anche con il regime di Putin. Come il popolo nota un cedimento da parte dei vertici di potere ne approfitta per dare il colpo di grazia.
Chi verrà dopo? Questo rimane ancora un mistero sebbene si possa ipotizzare, in prima istanza, l’insediamento di uno staff militare o para-militare. Poi si vedrà. La stabilità politica russa, per quanto apparentemente salda, è sempre stata labile per la mancanza di fiducia reciproca tra popolo ed establishment, anche perché governare col terrore è sintomo di un’autorità debole. Nonostante, apparentemente, si sia trovato un accordo tramite Prigozhin e Lukashenko che gli ha suggerito di fare dietrofront ed evitare di spargere sangue russo, usando un minuzia di retorica nazionalista.
Per quanto il presidente bielorusso sia forse riuscito ad evitare lo scoppio di una guerra civile, non c’è dubbio che l’autorità di Putin ormai è appesa ad un filo. Con i carri armati per le vie di Rostov e di Voronezh ed oggi anche a Mosca, sembra quasi di rivivere gli ultimi giorni di Gorbaciov al Cremlino prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dell’insediamento di Boris Yeltsin.
Nel caos più totale della nazione, mentre i voli aerei sempre più difficili per le persone in fuga, compresi ovviamente élite e oligarchi, i russi non si sono sentiti protetti da chi ha sempre detto di fare il loro interessi e di pensare sempre e solo alla loro sicurezza. In fondo tutte le rivoluzioni partono con dei falsi allarmi o con primi intenti falliti, sono quelle piccole scosse che però alla lunga fanno cedere le assi sui quali posa un regime instabile. Rimane però un arcano su quali siano state effettivamente le dinamiche che hanno convinto Prigozhin a fare un passo indietro, perché fosse un atto di compassione verso i suoi compatrioti è quasi difficile da credere data l’efferatezza messa in atto in tutti questi mesi sul campo di battaglia. Probabilmente l’idea di andare incontro ad un castigo che avrebbe potuto pagare a carissimo prezzo lo ha convinto ad accettare la proposta di Lukashenko e di andarsene in Bielorussia, mentre i mercenari della Wagner “apparentemente” verranno graziati per il “buon lavoro svolto in Ucraina”, come riferito dal Cremlino.
Intanto l’opposizione continua a lavorare dall’estero, anche tramite organizzazione indipendenti come L’ODV-INFO che monitorizza le perquisizioni in Patria, e le personalità che vengono etichettate come “Agente Straniero” per essersi apertamente opposte alla guerra e alle politiche russe. Uno di questi è Garry Kasparov, il campione di scacchi, che ha apertamente dichiarato da New York, dove si è stabilito nel 2013, che è in queste ore che bisogna prendere una posizione netta. Gli ucraini, dice, non sono giudicabili per lo scoppio della guerra, mentre al contrario, i russi possono essere accusati di non aver rovesciato Putin prima di tutto questo. L’intento di golpe e di ribellione dei mercenari potrebbe dare supporto e sostegno agli oppositori che fino ad ora temevano esporsi eccessivamente a causa delle repressioni in corso.
Dall’inizio della guerra sono state arrestate 19.586 persone che hanno manifestato contro il regime di Putin, il che spiega anche questo silenzio da parte della società civile in Patria. I russi sanno forse più di qualsiasi altro popolo che cosa sia l’asservimento, non hanno conosciuto altro dal giorno della loro esistenza. La cosa più atroce è che pensano di meritarselo. Putin ha anche promosso l’idea che la perdita russa in Ucraina, equivarrebbe al disfacimento della stessa Russia. In queste ore esatte, forse, una piccola parte dei russi si sta svegliando su quanto detto, rendendosi conto delle menzogne che per mesi ha dovuto ingoiare.
Molti cittadini hanno ancora nitido il ricordo delle file per la farina al momento del crollo dell’URSS, ed è comprensibile che non vogliano più vivere nell’angoscia della fame e dell’incertezza. Si preferisce chiudere la bocca per non ritrovarsela asciutta ancora una volta, e questo equivale a vivere sotto una minaccia costante: o si sta zitti e si mangia o si parla e si muore di fame. Questo è ciò che da sempre i russi hanno conosciuto. In un mondo però dove la democrazia e la libertà, in forme diverse, stanno prevalendo su altri tipi di regimi, la Russia di Putin da autoritaria sta rapidamente prendendo una piega totalitaria, non solo per il fatto d’invadere i paesi limitrofi ma anche per i metodi usati per tenere a bada la popolazione. Metodi che non venivano usati nemmeno dal regime di Franco in Spagna. I russi si rendono conto di essere rimasti soli e arretrati, ed è forse proprio questa l’idea che spinge il 12% della popolazione a sollevarsi contro Putin pur sapendo del rischio che corre. Rischio che non si limita solamente alla propria persona ma che si estende anche ai membri delle loro famiglie, e analogamente dei dimostranti.
Dall’inizio della guerra 70 gruppi di opposizione hanno però concordato una dichiarazione comune, firmata finora da 30 mila russi, in cui si auspicano la rimozione di Putin e il ritorno dei confini ucraini stabiliti nel 1991.
La dissidente e stretta collaboratrice di Navalny, Lyubov Sobol, afferma che uno dei problemi principali dell’opposizione è quello di non avere ancora opinioni chiare e nette, creando una disunità e una debolezza di fronte al Cremlino. Non vi è un gruppo compatto opposto e che agisca all’unisono contro il regime, ognuno combatte a modo suo e per conto proprio. Forse per paura e ignoranza. La repressione secondo l’ODV-Info si è fatta ancor più dura. Durante le manifestazioni per la liberazione di Navalny la polizia ha effettuato retate e arresti nelle strade e nella metro di Mosca, arrestando anche i minorenni.
Ormai è noto che le pene nelle carceri non differiscono quasi dalle torture messe in atto sul fronte in Ucraina. Anche in Patria i dissidenti vengono torturati, minacciati di stupro, sottoposti a interrogatori infiniti e addirittura avvelenati, com’è successo al noto Aleksej Navalny ma anche al regista, politico e oppositore Vladimir Kara-Murza, che per la quantità di avvelenamenti subiti è attualmente a rischio paralisi, e questo per essersi schierato contro la guerra.
Però, in queste ore di completa incertezza e di crollo della credibilità dell’establishment russo, forse c’è la speranza che l’opposizione trovi l’unità andata persa, dato che, come affermato da Navalny in un tweet per il suo quarantasettesimo compleanno, a inizio giugno:
“La vita è tale che il progresso sociale e un futuro migliore possano essere raggiunti solo se un certo numero di persone è disposto a pagare per il diritto di avere delle convinzioni. Più persone ci sono, più piccolo è il prezzo che ciascuno deve pagare. E certamente arriverà un giorno in cui sarà una routine e non sarà affatto pericoloso dire la verità e difendere la giustizia in Russia.”