Quella fallita “Restauratio Imperii” di Putin:
Tra la notte del 2 e del 3 maggio del 2023, il Cremlino è stato attaccato con dei droni, accusando l’Ucraina di aver pianificato il tutto con lo scopo di uccidere Putin, che tra l’altro non si trovava nemmeno nel palazzo, come ormai da svariati mesi a questa parte. Ovviamente la risposta di Mosca è stata netta e diretta, promettendo una rappresaglia durissima in Ucraina, e avendo ormai il pretesto per uccidere Zelensky. Non sono mancate nemmeno le accuse agli americani, come da copione, i quali sarebbero stati additati come i burattinai che hanno mosso i fili degli esecutori. Lo scopo, si capisce, è anche l’intento di dividere la popolazione ucraina stessa, la quale subendo un’ulteriore rappresaglia russa dopo l’attentato, si separerebbe dall’appoggio americano in quanto colpevole per ciò che è accaduto. La divisione della società civile farebbe traballare ciò che è stata la base della resistenza contro l’invasione russa, ovvero la salda unità degli ucraini di fronte al nemico che un tempo si dichiarava loro fratello, sfilando così il tassello che ha fatto da cardine alla porta chiusa in faccia al Cremlino e permettendo un’avanzata non solo militare ma anche politica verso Kiev.
L’Ucraina ha però smentito le accuse, non avendo essa motivi di attaccare il Cremlino con un drone sapendo di dover pagare le conseguenze in casa, questa sufficientemente martoriata. Allo stesso modo gli americani non andrebbero a gettare benzina sul fuoco rischiando di dare alla Russia un pretesto per un’escalation, come inoltre ha messo in guardia Josep Borrell.
In verità si potrebbe ipotizzare che l’obiettivo sia proprio questo. E non si esclude infatti la possibilità di un “false flag”. Del resto non si può negare che la situazione per Mosca sia delle più disperate: oltre ai 200 mila soldati russi morti e feriti sul fronte ucraino, di cui molti dati per dispersi, causando l’ira della popolazione interna, oltre ad essere incastrati in una guerra stagnante, al mandato di cattura di Putin, al cambio di rotta di Cina ed India, si è aggiunta anche di recente la”sceneggiata” che Prigozhin responsabile del gruppo Wagner, ha annunciato la sua ritirata da Bakhmut il 10 di maggio, giorno successivo alla festa nazionale più importante in Russia, Il Giorno della Vittoria sul nazismo.
Infatti con toni sprezzanti ed insolenti ha pubblicamente insultato, in un video, il ministro della difesa Sergey Shoygu e il capo di Stato maggiore Valery Gerasimov, asserendo che il ministero della difesa e l’esercito russo hanno peccato di negligenza lasciandoli senza munizioni, e che per evitare di subire ulteriori perdite avrebbero abbandonato il campo di battaglia.
Il Gruppo Wagner, uno dei pilastri russi del conflitto in Ucraina, aveva deciso di voltare le spalle al Cremlino? Solo per pochi giorni infatti all’improvvido, con la semplice dichiarazione che rimarrà al suo posto avendo chiarito con chi di dovere. Come fidarsi nel futuro di mercenari? Sembra infatti che ricorra all’arruolamento di soldati ceceni.
La Russia, indipendentemente dalle truppe mercenarie, si trova isolata internazionalmente ma probabilmente, nonostante i filtri di notizie capillarmente messi in funzione, anche a livello nazionale. La crisi economica all’interno del paese è sempre più crescente, il malcontento ormai è dilagato a macchia d’olio. L’opinione pubblica si domanda se quei droni non venissero dell’interno più che dall’esterno, o fossero un diversivo creato ad hoc per sensibilizzare la popolazione scettica e stanca.
Nel caso fosse stata un’operazione di “false flag”, la notizia avrebbe del tragicomico e nel caso sia stato invece un attentato messo in atto da nuovi e nascosti “decabristi”, e ciò potrebbe anche rivelare un barlume di speranza per una Nazione la cui ombra che si è gettata addosso a fatica lascerà posto alla luce.
Ad ogni modo, l’angoscia continua a persistere in quell’Impero che Putin voleva far risorgere e che invece ha fatto sprofondare in un abisso dal quale non si intuisce come e quando ne verrà fuori.
La storia della Russia sembrerebbe essere ciclica, a differenza di altri paesi che progrediscono dopo le tragedie vissute. La Russia, con le sue rivoluzioni, progredisce per poi tornare indietro, con la caduta dell’Unione Sovietica sembra rientrare nel consesso delle nazioni democratiche ed ecco con l’aggressione Ucraina, ed una falsa nostalgia sovietica un’altra volta ancora ricade in maniera più misera nella dittatura perdendo credibilità e potenza.
La debolezza russa è la sua arroganza, vizio che la induce ad atti reputati grandiosi e che alla fine non sono altro che manifestazioni di una rancida vanagloria della quale finisce per essere vittima. Giorno dopo giorno dall’inizio della guerra, Mosca non ha fatto altro che incassare colpi che oltre a causare danni permanenti alla popolazione russa, hanno ferito profondamente il suo ego, data la sua palese insicurezza geopolitica, sentendosi ormai inferiore nei confronti dei partner internazionali.
Esempio recente di questo suo complesso è la parata del 9 maggio, sebbene la data meriti assolutamente di venire celebrata e rispettata come sempre è stata questa volta si è trasformata in un’esibizione pomposa che di scarsa credibilità avrebbe dovuto convincere il mondo, ma di fatto convincere i russi stessi, della forzadi un sistema militare diventato fragile, non per la componente armamenti ma per la debolezza estrema del fattore umano.
Le alte uniformi, i missili, i canti, le sfilate e tutta la classica liturgia militaresca russa non sono altro che la maschera monotematica di una Nazione stanca e dubbiosa, tanto che sorprendentemente quest’anno la sfilata è stata l’esatto riflesso di questa spossatezza fisica e psicologica. Non solo la città era completamente blindata per evitare ipotetici attentati interni e attacchi con droni com’è successo la scorsa settimana, provocando un forte senso d’insicurezza tra i moscoviti, che hanno disertato con la scusa dei giorni festivi, del famoso e ridondante armamento non l’ombra, solo un carrarmato cimelio e simbolo della Seconda Guerra Mondiale, senza l’accompagnamento del formidabile apparato dell’aeronautica. È chissà se non ci fosse stata una silenziosa protesta passiva verso chi ha portato i russi sull’orlo del baratro, un segnale che forse, una parte della società civile, ha smesso di credere nel suo Capo.
Al di là dell’instabilità ormai trasparente, bisogna però prendere in considerazione il fatto che gli errori militari russi, non certo previsti all’inizio di quella che doveva essere una guerra lampo, possa indurre Mosca alla mossa estrema. Per questoche Kiev e l’Occidente devono tenere alta la guardia.
Putin sa perfettamente che la sua agognatissima Restauratio Imperii non ha avuto l’esito di quella di Giustiniano. Ed il pensiero di aver fallito pubblicamente, l’isolamento internazionale, la consapevolezza di non aver più nulla da perdere e di essere stato abbandonato da tutti, persino da molti dei suoi collaboratori, potrebbero indurlo ad optare seriamente per un’escalation dalle conseguenze catastrofiche. Si sa che la disperazione è spesso la matrice dell’efferatezza e per quanto militarmente lasci a desiderare, non bisogna escludere l’idea di un’azione di proporzioni maggiori rispetto a ciò che si è visto fino ad oggi.