Se Londra divorzia dall’Ue, poco male
di Roberto Nigido*
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli appelli, sulle due sponde dell’ Atlantico e anche ai livelli più elevati, perché i cittadini del Regno Unito si pronuncino in favore della sua permanenza nell’ Unione europea, Ue. Sono stati in particolare sottolineati i gravissimi danni che una decisione contraria comporterebbe sia per il Regno Unito che per l’Ue.
A parere di chi scrive queste preoccupazioni sono esagerate e vanno ridimensionate. Quelle relative ai danni per il Regno Unito sono meno ingiustificate e più comprensibili, nell’ottica di chi, per vari motivi, vorrebbe che Londra continuasse a partecipare all’ integrazione europea, sia pure ridotta ai minimi termini per la Gran Bretagna dopo le intese sollecitate e ottenute al Consiglio europeo di febbraio (e per ora provvisorie in attesa dei risultati del referendum).
Le preoccupazioni relative ai danni per l’ Ue appaiono invece poco convincenti, in particolare se espresse da questa parte della Manica, e strumentali al tentativo di giustificare le straordinarie concessioni fatte al Regno Unito dagli altri membri dell’Unione per facilitare una risposta positiva dell’ elettorato britannico il 23 giugno.
Alle origini del disagio inglese
Il Regno Unito ha aderito nel 1973 alla allora Comunità europea dopo dodici anni di negoziati, interrotti a più riprese, con l’obiettivo di: essere parte di un esperimento al quale all’inizio non aveva creduto, ma che stava avendo successo; beneficiare di un vasto mercato senza barriere doganali; e “last but not least“ entrare nella libera circolazione europea dei capitali.
Quest’ ultimo obiettivo era vitale allora per il Regno Unito, al fine di“ affogare” nel mercato unificato europeo la montagna di sterline ancora in circolazione nel mondo dopo che la moneta nazionale aveva perso il ruolo di importante valuta di riserva (e il Regno Unito quello di prima economia mondiale).
Sin dall’ inizio gli inglesi si sono sentiti a disagio nella Comunità europea: troppo dirigismo francese, troppa regolamentazione tedesca, troppa improvvisazione italiana. E ancor meno soddisfatti sono stati degli sviluppi successivi verso forme più avanzate di integrazione sovranazionale, totalmente contrarie al senso britannico di indipendenza e sovranità. Così hanno costantemente rinegoziato la loro partecipazione al progetto europeo a ogni stadio del suo avanzamento.
Attualmente sono fuori dalla moneta unica, dalla libera circolazione delle persone e, con gli ultimi accordi di febbraio, anche dalle disposizioni finanziariamente più costose in materia di libera circolazione dei lavoratori. Ma rimangono presenti a pieno titolo in tutte le istituzioni europee con diritto di voto e, dove previsto, di veto.
Divorzio dall’Ue, ripercussioni per Londra
Uscire dall’ Ue non cambierebbe drammaticamente le cose per la Gran Bretagna, ma certamente avrebbe pesanti ripercussioni. Se Londra concludesse immediatamente un accordo con l’Ue per rimanere nel mercato unico e nella libera circolazione dei capitali, non avrebbe più voce, come del resto nemmeno norvegesi e svizzeri, nelle decisioni relative.
È anche da mettere in conto che Londra perderebbe una parte, ma solo una parte, della sua importanza come grande mercato finanziario. La conseguenza più negativa, quella sì veramente seria, sarebbe la prevedibile secessione della Scozia.
E per l’Ue, quali sarebbero le conseguenze della perdita della Gran Bretagna? Da oltre trent’anni, esaurito il ruolo certamente positivo svolto da alcuni dei primi commissari britannici (vanno ricordati in particolare Jenkins, Thompson e Cockfield ), il Regno Unito non ha più dato alcun apporto significativo al progresso dell’ integrazione europea, nemmeno in materia di sicurezza e di difesa, e ha fatto invece di tutto per frenarlo. Né ha voluto contribuire agli equilibri politici complessivi in Europa: obiettivo sul quale avevano puntato molto, alle origini, Italia e Paesi Bassi.
Sul piano politico, non si vede quale indebolimento della posizione dell’Ue nel mondo produrrebbe l’uscita del Regno Unito, visto che Londra non ha mai voluto operare per sostenere e rafforzare questa posizione.
Sul piano degli scambi, il Regno Unito continuerebbe, come si è detto, a far parte del mercato unico. Mentre, in materia finanziaria, il sostanziale diritto di veto attribuito al Regno Unito dalle intese di febbraio potrebbe essere utilizzato da Londra per ostacolare ogni eventuale tentativo dell’Unione di mettere ordine e di far pulizia nella situazione di caos speculativo ora esistente nei mercati finanziari come conseguenza della “deregulation” selvaggia a suo tempo inventata dagli ambienti anglo-sassoni del settore.
I benefici di un’Ue più piccola
È stato sostenuto infine che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione creerebbe un incentivo per altri Paesi membri di seguirne l’esempio. È opinione di che scrive che un rimpicciolimento delle dimensioni dell’Unione potrebbe essere benefico per la sua coesione interna, dopo l’ampliamento della metà degli anni 2000 che fu operato in modo affrettato e senza introdurre più adeguate regole istituzionali.
Mentre le deroghe ad hoc concesse alla Gran Bretagna in febbraio costituirebbero un precedente difficilmente opponibile per ogni Paese che volesse un trattamento specifico e differente dalla regola generale.
In conclusione, ogni popolo deve sentirsi libero di decidere democraticamente del proprio destino, quali ne siano le conseguenze
*Ambasciatore d’Italia – Socio Onorario e Membro del Consiglio Direttivo TAB