L’Ideologia russa: tra misticismo, folclore e violenza.
Vladimir Putin ha dichiarato che i bambini russi devono conoscere gli eroi nazionali oltre a quelli americani, affermazione con la quale, per una volta negli ultimi mesi, si può concordare e rispettare. La Russia è intrisa di eroi, come lo è l’America, anche se questi ultimi più moderni. Ed è una concezione simile di eroismo: quella dell’uomo che da solo affronta un esercito o un mostro e salva non solo una ragazza in pericolo ma la Patria intera. L’eroe è un combattente per la Patria. Muore per la Patria. È un martire o un sopravvissuto. In ogni caso deve essere coraggioso e virile.
Di eroi russi così ve ne sono in grande quantità e si susseguono nel corso dei secoli. Si possono citare i Bogatyry, i guerrieri medievali protagonisti delle fiabe popolari russe come Ilya Muromec, celebre per la sua integrità e la sua dedizione nel proteggere sempre la Patria dai nemici, vi è poi Alyosha Popovich, caratterizzato dalla sua astuzia e Dobrynia Nikitich dal coraggio invidiabile. Tali cavalieri sono stati ripresi da Pushkin, il quale fu lui ad inserirli nei racconti per bambini, presentandoli alle masse e ai nobili, diventando soggetti di studio nelle scuole. A questi guerrieri medievali si aggiungono anche personaggi realmente esistiti come il famoso Aleksandr Nevsky, ovviamente, eroe nazionale canonizzato dalla Chiesa russa, difensore delle terre del Nord-Ovest dagli svedesi e dai tedeschi del Baltico. E con Nevsky, un altro eroe nazionale e martire della Chiesa russa è Ivan Susanin, del Periodo dei Torbidi, catturato dalla milizia polacca intenzionata ad uccidere lo zar Michele e che Susanin sviò su un passaggio segreto non conducendoli mai a destinazione, salvando così il Sovrano e venendo ucciso dai polacchi.
Tutti questi eroi, che fossero inventati o realmente esistiti, fanno parte della cultura folcloristica e religiosa russa. Tutti difendono la Patria, tutti sono coraggiosi ed esaltanti una potente virilità che dovrebbe personificare non solo quella del popolo ma della Russia stessa.
La correttezza nell’affermare di voler conoscere la propria storia ha però dei limiti, quella di distorcerla e di edulcorarla o di rafforzarla con uno scopo propagandistico. Usare la letteratura, la storia e la musica con uno scopo politico è ciò che fece Hitler con l’uso di Wagner e delle leggende di Nibelunghi per esaltare la purezza della razza ariana.
La grande cultura russa viene desacralizzata e macchiata inserendola nei discorsi al popolo, usata per un fine crudele, intontendolo con favole che all’orecchio suonano sempre famigliari perché ascoltate o lette da bambini, e sviandolo dalla realtà per inserirlo in un contesto di finzione. Il cittadino torna piccolo, è spinto a tornare piccolo perché deve sentire il bisogno d’immedesimarsi in un eroe per sentirsi forte ma anche protetto. La Russia è impregnata di retorica eroica che la vede sempre contrapposta al razionalissimo occidentale ed è proprio con il suo misticismo e la sua scarsa razionalità che è riuscita non solamente ad abbindolare parte del suo popolo, ma anche una parte degli europei.
Lo Russia ha saputo come sedurre lo “stupido erudito”, colui che si professa intellettuale ed ha bisogno di conferme per crederci veramente. Colui che pensa che avendo letto i Fratelli Karamazov ed avendo studiato la battaglia di Stalingrado lo elevi al di sopra della massa degli stolti “americanizzati.
Lo stupido erudito è convinto che la Russia trionferà sul resto delle Nazioni, diventando uno Stato dominante ed una superpotenza. Il conflitto ucraino dura ormai da quasi un anno quando doveva durare qualche giorno, ciò dovrebbe dare la prova anche a lui che la realtà dei fatti è alquanto diversa.
Lo stupido erudito è caduto “con tutte le scarpe” nella trappola russa, che non parla dell’influsso della vera vastissima cultura, ma del fascino causato dalla propaganda a scopo politico, che è ben diverso.
Gli europei si sono fatti abbindolare non solo dal folclore ma anche dall’esotismo russo, finendo per non vedere la realtà dei fatti e che casa sua, l’Occidente, era nel mirino di Putin da tempo. I dietrologi filo-russi danno dei “cospiratori” a chi vede in Putin il nemico, affermando che la Russia sia sempre vittima di pregiudizi infondati. E perfino le menti più o meno brillanti si sono lasciati sedurre dal fascino del “proibito” e dal fascino del “diverso”, dall’eroe slavo virile, dal paese dell’autenticità che dà valore ancora a credenze popolari a discapito del Positivismo che ha corrotto l’Occidente, finendo però, dal 24 febbraio scorso, a dover guardare in faccia la realtà che non vuole guardare.
La Russia è un paese che ha sempre avuto un’attrazione e una propensione a credere nel folclore pagano e nello sciamanesimo, essendo questo parte del suo retaggio culturale, considerando appunto che vi sono Oblast’ come l’Udmurtija dove la maggioranza della popolazione è appunto di religione pagana. Le leggende del folclore russo sono vive nel quotidiano delle persone così come la superstizione, e sono queste le chiavi sulle quali adesso gioca la propaganda del Cremlino: trasformare la superstizione e la leggenda in certezza.
Le leggende devono rafforzare il patriottismo, mettendo in risalto il vigore dell’uomo slavo, come ad esempio durante i riti dell’epifania, quando ci si immerge nudi nell’acqua ghiacciata, o risaltandone il coraggio guerriero, pronto ad andare incontro alla morte per la Patria a differenza dei “debosciati occidentali.”
Per Putin il folclore, il misticismo e la cultura popolare inseriti in un pensiero politico sono i primi segni dei deliri di onnipotenza o di mitomania. Sono il condimento di un’ideologia inesistente un puzzle di pensieri, di leggende, di memorie storiche confuse. Putin appende il ritratto di Pietro I° nel suo studio, fa erigere una statua del Principe Vladimir, suo omonimo, in un’importante piazza del centro, ma decide di chiudere il museo dei crimini commessi dal regime di Stalin. Mischia una nostalgia monarchica a una nostalgia sovietica a seconda del suo scopo, a seconda di quello che deve ottenere, così come mischia il paganesimo con la religione cristiana rifiutandosi di avere una linea di pensiero netta, passando da un estremo all’altro, confondendo, manipolando e toccando le idee di tutti i cittadini a trecentosessanta gradi per assicurarsi i consensi di cui ha bisogno.
E il lungimirante Tolstoy, nel suo saggio “Sur la non-violence et le patriotisme” sembrava averci visto lungo, dato che in un paragrafo scritto nel 1909 disse:
“C’est très commode: on professe une doctrine dans laquelle à une extremité on a la sainteté chrétienne et, par conséquent, l’irréprochabilité, et, à l’autre, la glaive paien et la potence, si bien que lorsque l’on peut en imposer et tromper au nom de la sainteté, celle-ci est mise en oeuvre; et quand la tromperie ne foncionne pas, on met en oeuvre la glaive et la potence.”
Il patriottismo è sempre rinforzato dal folclore e dall’odio. Dalla protezione isterica del territorio, che si pensa essere costantemente minacciato, che viene descritto anche con leggende e con eroi che non devono mai aver combattuto invano e che il presente come il futuro devono preservare la gloria da loro riportata in passato. Il patriottismo sfodera sempre il passato per evitare di andare verso un cambiamento che potrebbe minacciare lo Status Quo.
Tolstoy afferma che il patriottismo generi violenza e che questa possa essere cancellata solamente da un pensiero cosmopolita, pensiero opposto a quello del Cremlino, naturalmente, in quanto ha rispolverato il movimento slavofilista del XIX secolo, fondato da Kireevskij e Chomjakov, senza però avere esponenti che arrivassero per lo meno alla caviglia dei due filosofi. Gli slavofili, in contrasto con le riforme introdotte un secolo prima da Pietro I°, volevano ristabilire i valori politici, sociali, culturali e religiosi della Russia patriarcale e rurale, mettendo in risalto il patrimonio spirituale russo e disprezzando l’Europa occidentale liberale, industrializzata e, come creduto da molti oggi, in mano alla massoneria.
I pensieri odierni non sono diversi da quelli di allora. Le idee di eurasiatismo e pan-russismo sono onnipresenti nei discorsi della leadership russa, lo stesso Medvedev nel 2021, durante un convegno, propose di “Ricostruire l’Eurasia da Vladivostok a Lisbona.”
Idea sempre più presente nel pensiero politico russo, e ripresa ovviamente da Dugin e dal suo think tank, il “Katekhon”, di estrema destra, anti-occidentale e anti-liberale. Il suo scopo è la creazione di uno spazio culturale composto solamente da russi ortodossi e dell’intero dominio russo sui territori di Asia ed Europa.
Si noti come dietro al Cremlino si nasconda un apparato di burocrati che più che burocrati veri e proprio sono esponenti di uno strano culto esoterico ripreso dallo stesso Dugin. Nei suoi ritiri estivi con i giovani ama mettere in scena opere del folclore russo dove viene esaltato il culto della morte per la Patria, come tra l’altro asserì al funerale di sua figlia Daria, morta in un attentato nell’agosto del 2022, elevata quasi a status di martire, tanto che il giornalista Aleksandr Chernyk scrisse:
“Grazie alla morte prematura della nostra cara e amata Daria, vinceremo sicuramente questa guerra.”
Come se nel morire fosse diventata una Santa Protettrice della Missione russa, missione pianificata da molto più tempo di quanto si potesse credere: nell’estate del 2011, al campo estivo dell’Unione giovanile eurasiatica, Dugin mise in scena il mistero teatrale occulto “Finis Mundi”- La Fine del Mondo, dove, alla fine dello spettacolo, il filosofo salì sul palco per proclamare:
“Abbiamo vissuto tre giorni della nostra vita auspicando la morte. Penso che non ci sia bisogno di decifrare queste trame che avete messo in scena. L’ermeneutica della distruzione del mondo è un’azione per la quale dovete lavorare proprio voi.”
L’idea di un ordine nuovo è un’idea abbastanza diffusa e ripetuta da coloro che non riescono a trovare il proprio posto in una società fondata sulla libertà e sulla democrazia. La distruzione per tornare al passato, ad un conservatorismo estremo e spicciolo è apparentemente l’unica soluzione che danno in quanto incapaci di creare qualcosa di nuovo o per lo meno, di adattarsi al presente dove però non si sentono ascoltati. La distruzione è un grido per essere visti e non rimanere ai margini.
Nessuno, che abbia un minimo di salute mentale, si volta a guardare chi professa violenza e leggenda con una retorica teatrale, perdendo oltre alla credibilità, anche quel pizzico di mistero e di fascino dettato da aggressività e trasgressione, trasformato ormai in un discorso noioso, banale e pietoso. Pietà nata nell’osservare l’intento di un gruppo di disperati di smuovere le acque finendo però per affogare nei loro stessi stratagemmi. Come è accaduto quasi sempre, del resto.
L’esaltazione della morte non è presente solamente nel linguaggio di Aleksandr Dugin, il quale riconosce nel martirio la santità della Russia e dei russi, ma anche in tutti i regimi fascisti che si sono susseguiti negli ultimi cento anni.
“El novio de la muerte”, il fidanzato della morte, era lo slogan con i quali i franchisti andavano a combattere contro i repubblicani durante la guerra civile, rimanendo poi frase simbolo del partito della Falange spagnola. È il regime che sceglie per cosa vale la pena vivere e per cosa vale la pena morire, sottraendo così la libertà di pensiero e di opinioni più intime alle persone, le quali perdono poco a poco il controllo non solo dei pensieri ma della loro stessa vita e finendo per non riconoscere più il limite tra realtà e fantasia, tra misticismo e nazionalismo, tra il bene ed il male. La leggenda non è più leggende ma verità, e tutto viene ribaltato e confuso in modo da far perdere la capacità di ragionamento per far smarrire il cittadino che non sapendo più a cosa credere e a cosa no, decide di agire d’istinto e di lasciarsi trasportare dal bisogno di protezione e dal fascino suscitato da chi dice di doverlo proteggere.
La giornalista Elena Kostioukovich fa notare come Putin stia riprendendo la tipica ideologia dei regimi dittatoriali con l’uso della simbologia. L’intento dell’apparato propagandistico della guerra in Ucraina è quello di mettere in risalto il fascino del male, giocando anche sull’estetica tipica del regime nazista in modo da eliminare la sciatteria del sovietismo, sebbene gli armamenti lascino ancora a desiderare.
La famosa “Z” disegnata sui carri armati russi operanti in Ucraina è rimasta un segreto ed era ciò che il Cremlino voleva. Si è pensato che fosse una “Z” latina che potesse indicare la parola “Zapad”, ovvero Ovest. Ma i russi quasi mai utilizzano caratteri latini e probabilmente ora ancor meno di prima. Si pensava che fosse addirittura per Zelensky, diventato l’obiettivo di Mosca, ma erano tutte idee errate. La “Z”, secondo Elena Kostioukovich potrebbe simboleggiare una mezza svastica, dato anche la quantità di filo-nazisti ed ex filo-nazisti che stanno infestando ogni giorno di più le sale del Cremlino.
Potrebbe essere una teoria un po’ estrema sebbene questa “Z” sia apparsa in altri luoghi oltre che sui carri armati. È stata vista nei commissariati di polizia a Pietroburgo, sui prodotti al mercato, nei ristoranti, la indossavano sulle cravatte alcuni funzionari e in un orfanatrofio hanno sistemato per una fotografia i bambini in modo tale da formare una “Z”, immortalati dall’alto perché si vedesse. Probabilmente la “Z” non sta per nulla, è un simbolo, chissà esoterico o chissà quasi di presa in giro verso coloro che hanno voluto decifrarla, tipico di un regime.
In Ucraina la “Z” fa paura, ed era questo lo scopo, fare paura, sottomettere la gente a un simbolo. È sempre la vecchia storia che continua disgraziatamente a ripetersi e a funzionare, si spera per poco. La simbologia è un’ossessione per i regimi dittatoriali perché manipolano con il rispetto e quindi con il timore. Si rispetta un simbolo perché lo si teme, e si fa leva di nuovo sul lato irrazionale delle persone, tipico del misticismo che della simbologia ne ha fatto un culto. La paura è colei che alimenta l’odio e che spinge gli uomini a convincersi di dover combattere per una causa che neanche loro capiscono del tutto, diventando pedine perfette.
L’assenza di razionalità è ciò che porta gli uomini a compiere barbarie perché privi di una concezione lucida della realtà, e uno dei metodi per arrivare a sottrare la ragione è propria quella di raccontare favole, di fomentare l’odio con un nazionalismo folcloristico, alimentando un sentimentalismo nostalgico e romantico che svia dalla verità dei fatti. Tutti vogliono diventare eroi di un racconto, e per diventare eroi bisogna proteggere la Patria e per proteggere la Patria bisogna uccidere e morire per essa.
E riprendendo le parole della filosofa spagnola, Maria Zambrano, testimone della guerra civile:
“L’uomo abbandonato, lasciato senza protezione, si riempie di paura e cade in preda al panico. E il peggio della paura è che fa paura: tra uomini vicendevolmente terrorizzati la catastrofe è inevitabile, come stiamo vedendo con chiarezza. L’attuale guerra è il prodotto del mutuo terrore, della paura degli uni che generò la paura degli altri, l’angoscia, il terrore di tutti. È senza dubbio questa la lebbra europea, da molto tempo. È il vero “male del secolo.””