Cause e conseguenze dell’invasione ucraina
Il 22-2-2222, data fatidica, Mosca ha riconosciuto l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donec’k e Luhans’k, nel Donbass, inviando sul posto truppe in missione di peacekeeping ed evitare un possibile attacco dal governo ucraino in un intento di riannessione. L’indipendenza delle repubbliche separatiste avrebbe dato al governo russo la legittimità d’intervento militare, nel caso queste avessero chiesto aiuto.
Le reazioni dall’Occidente, NATO, UE e Stati Uniti, non ha tardato a farsi sentire, annunciando sanzioni dure e immediate, colpendo oligarchi vicini a Putin, i miliardari, le banche e le aziende russe, con conseguenze che potrebbero ricadere sulla popolazione civile e sugli stessi europei, in quanto la Russia, oltre ad essere il primo fornitore di gas, è anche uno dei principali compratori sul mercato europeo. Data però la rottura del protocollo di Minsk, dei trattati internazionali e del principio di sovranità nazionale, le reazioni occidentali non potevano non essere severe e dirette in seguito ad un alternarsi di botta e risposta tra Mosca e Bruxelles, finendo con l’alterco tra Josep Borrell, Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov.
Da Bruxelles Borrell ha affermato: “Faremo molto male a Mosca”, ottenendo da Lavrov seguenti parole: “La Russia darà una risposta dolorosa alle sanzioni.”
La notte del 23 febbraio del 2022, in seguito alla prevedibile richiesta di aiuto del Donbass all’esercito russo, Putin ha dichiarato in diretta televisiva che avrebbe dato il via alle operazioni militari in Ucraina, accusando il governo ucraino di genocidio nella regione in questione e che, in caso d’intervento da parte delle forze armate occidentali, ci sarebbero state conseguenze gravissime mai viste prima sul suolo europeo. La minaccia, delle più gravi ascoltate da decenni, ha causato immediatamente la reazione occidentale, sgomentata da un’escalation rapidissima e da una serie di violazioni gravi di accordi e trattati che si credeva la Russia avrebbe mantenuto e che non ha fatto. Ursula von der Leyen ha parlato di sanzioni mai viste prima, come lo stop dell’esportazione del gas. Eppure, Mosca sa perfettamente che, per quanto questa possa essere una mossa che andrebbe ad intaccare l’economia europea, la Russia cadrebbe anche lei in ginocchio poiché metà del suo bilancio dipende dall’esportazione del gas. Intanto, poche ore dopo l’invasione, si è visto sul mercato globale il crollo delle borse, e in particolar modo, una caduta del 28% del Moex, l’indice del mercato azionario russo, mentre nel pomeriggio del 24 febbraio sono iniziati i primi arresti a Pietroburgo di cittadini russi che hanno intonato in piazza: “No alla guerra!”. A tarda serata si è arrivati ad un numero di 1000 persone arrestate.
L’attivista politico, Aleksej Navalny, in carcere dal 17 gennaio, con un post sul suo profilo Instagram, ha paragonato la riunione del Consiglio di Sicurezza Federale sull’imminente invasione Ucraina, con quello del Politburo avvenuto nel ’79 per l’invasione dell’Afghanistan. Solo che oggi, afferma Navalny, Putin e i suoi non si sono nascosti dietro un’ideologia, non si sono preoccupati di dare credibilità al loro casus belli. Lo scopo della guerra in Ucraina, secondo Aleksej Navalny, è di distogliere l’attenzione dei russi dai problemi veri e reali all’interno del paese, come l’economia, l’alzamento dei prezzi, l’illegalità e la corruzione galoppante. Navalny sostiene che Putin sia affetto da “un’isteria imperialista”, e che il nome “Ucraina” potrebbe essere sostituito entro poco tempo con quello di “Kazakistan”, di “Bielorussia”, di “Stati Baltici”, di “Azerbaigian” e addirittura di “Finlandia”. Navalny invita ad osservare come l’Afghanistan sia stato distrutto dall’invasione sovietica, e di come ancora se ne stiano pagando le conseguenze, e di come ciò potrebbe avvenire oggi in Europa.
Riprendendo le parole di Navalny a proposito dell’isteria imperialista e della psicosi di Putin di ricreare una “Grande Russia”, essa, per l’esattezza, su cosa si basa? Quale pretesto storico ha usato Putin per giustificare le azioni di questi giorni?
Molti storici e politologi, in vari articoli pubblicati negli ultimi giorni, sono tornati sull’etimologia della parola Ucraina: “U-Kraina”, cioè, la marca del confine, del limite. “Krai” in russo significa limite. Ed è la marca in cui nasce, riprendendo la storia russa agli antipodi, l’Impero russo. Ed è proprio su questo limite di demarcazione che oggi si vive la crescita del nazionalismo ucraino e del nazionalismo russo, ovvero la volontà di demarcare due identità culturali che per secoli sono state fuse insieme. Nate dalla stessa radice e separate dalla storia.
La prima pietra dell’impero russo venne deposta a Kiev dal principe Oleg, appartenente al popolo dei Rus’, arrivati sul territorio Ucraino intorno alla metà dell’800 dopo Cristo. Il principe Vladimir, convertito al cristianesimo, fondò la chiesa russa ortodossa ed il Principato di Kiev che negli anni si estese verso Est, dove sorsero le città di Vladimir, a 190 chilometri a nordest da Mosca, di Novgorod e, secoli dopo, con la conquista di un piccolo borgo finnico affacciato sulla Moscova, di Mosca, la quale divenne in seguito la capitale del gran ducato di Moscovia. Con questo spostamento sempre più ad Est della dinastia dei Rjurik, principi di Kiev, e il trasferimento della capitale da Kiev a Vladimir, il territorio ucraino si fece più periferico. Nel corso dei secoli, dopo l’invasione mongola e la grande Orda d’oro durata due secoli, l’Ucraina divenne pian piano un paese alla mercé dei grandi spostamenti europei, subendo l’invasione lituana e quella polacca, contribuendo in tal modo ad arricchire e a modificare in parte l’identità ucraina.
Al momento dell’ascesa del Gran Principe di Mosca, Ivan il Terribile, i territori più esterni vennero ripresi sotto il comando dello “Zar di tutte le Russie.” Ovvero di tutti i territori da cui è nato e si è esteso il territorio russo, imponendo al loro interno l’identità russa sulle altre.
Nel settecento però, con la spartizione della Polonia, l’Ucraina orientale rientrò nell’impero russo mentre la parte occidentale fu inglobata dall’impero austriaco con un aumento dei fedeli cattolici all’interno del territorio. Per ciò che riguarda la parte orientale, l’impero russo si apprestò a compiere una politica di russificazione. Ovvero, si vietò l’uso dell’ucraino nei luoghi pubblici, d’insegnare l’ucraino e di scrivere in ucraino. Lo scopo era quello di trasformare la lingua in un dialetto locale, e il russo prese talmente tanto piede tra i popoli della regione, che alcuni territori ucraini vennero denominati “Piccola Russia”- “Mala Rossiya”, termine oggi poco apprezzato da chi risiede nella zona che si trova tra la Galizia e la Volinia. Uno degli esempi più lampanti della russificazione dell’Ucraina dell’Est è quello del celebre scrittore Nikolai Gogol’, che non solo scriveva in russo, ma è tutt’oggi ricordato internazionalmente non come scrittore ucraino, ma bensì come uno dei grandissimi pilastri della letteratura russa.
In Unione Sovietica, dopo un breve periodo di contrasto con le politiche zariste di russificazione e un intento di dare valore alle identità nazionali che la componevano, Stalin, nato Yosif Djugashvili e originario di Tbilisi in Georgia, optò per una durissima e severa campagna di ritorno al solo ed unico russo, ed un’imposizione ancor più ferrea della cultura russa sulle altre culture ed etnie facenti parte dell’URSS.
La russificazione sovietica si sviluppò anche per gli spostamenti dei cittadini russi nelle altre repubbliche a causa della professione svolta, ed erano trasferimenti spesso voluti dal partito stesso. Come avvenne durante il tempo degli zar, in Ucraina, così come nelle altre aree dell’Unione Sovietica, il russo divenne lingua obbligatoria, così come l’uso dell’alfabeto cirillico russo, imposto addirittura ai mongoli dal regime di Stalin.
Rispolverando la storia dell’Impero e dell’Unione Sovietica, si noti come l’idea di russificazione e d’identità nazionale rimanga legata a profili autoritari, caratterizzati dal desiderio di far prevalere un’identità sulle altre.
Il russo e l’identità russa sono il collante di una nazione che si è estesa e ridotta con conflitti, battaglie, patti e guerre, contante al suo interno solo una piccola percentuale di slavi ortodossi, questi presenti appunto, anche in Bielorussia e all’Est dell’Ucraina. La Russia però sembrerebbe essere tormentata dai fantasmi del passato e dal ricordo di una grandeur che ormai è diventata, per tutti, a prescindere dalla Nazione, obsoleta. La storia ha fatto il suo corso e l’umanità l’ha seguita. Il crollo dell’Unione Sovietica, oltre al libero mercato e alla libera circolazione delle persone, ha conosciuto la rinascita delle identità nazionali, schiacciate dai regimi che si sono susseguiti. La novità che però ha scosso maggiormente i pensieri dei cittadini locali, era quello di poter dire di non essere russi, nonostante proprio sul loro territorio continuavano a nascere, a vivere e a lavorare chi invece era proprio di etnia russa. Ed è questa la delicatezza della questione Ucraina, una questione che si estende anche su altre regioni ex sovietiche, e che potrebbero rientrare nel mirino di Putin con lo scopo di formare un’unione di paesi russofoni.
Dal 2014 ad oggi, dopo anni di pace e di rapporti freddi ma cordiali, s’inizia a pagare il caro prezzo della storia e in particolar modo, di una storia imperialista.
Nuovi paesi sono sorti, nuovi diritti e nuovi principi inviolabili si sono estesi a Stati che sempre hanno vissuto sotto il giogo di un altro Stato. Il mondo, con l’uomo, è evoluto e da che era un essere chiuso nel suo egocentrismo, esso è cresciuto guardandosi intorno e guardando oltre il suo confine, il suo mondo e la sua cultura. Il pensiero dell’interesse nazionale, per quanto ancora giusto e presente, è cresciuto e ha raggiunto un livello superiore, più altruista e più saggio ed è il pensiero di un interesse globale e d’interdipendenza. Ciò che accade all’uno ricade pure sull’altro, nel bene come nel male, non si è soli sulla scena internazionale, ed ogni Stato, eguale al suo vicino, deve rispondere delle proprie azioni, anche perché, se ci si professa partigiani della causa dell’interesse di un popolo, il primo pensiero deve andare appunto, alla società civile, che è colei che risente per prima delle scelte dei suoi governanti, e, in questo caso, di governanti stranieri.
Si è notato nelle ultime settimane come i pronostici siano spesso inutili per l’imprevedibilità delle strategie russe, per aver a che fare con un paese i cui valori non combaciano ancora del tutto con i nostri. E forse questo è stato l’errore, ingenuo, dell’Occidente. Accordarsi a tu per tu con uno Stato che non ha le nostre stesse prospettive.
Probabilmente, in seguito a queste settimane e a questi ultimi giorni che hanno lasciato l’Europa col fiato sospeso, ci sarà, all’interno degli Stati Membri e chissà a livello internazionale, un ripensamento etico e politico per ridare il giusto valore alla democrazia, alla libertà e ai diritti fondamentali sui quali le nostre culture si erigono. I partiti populisti, spesso apertamente anti-occidentali, o che invocano un ritorno ai “vecchi valori”, lodando il conservatorismo alla Putin o alla Orban, dovranno rispondere di esternazioni che alla luce dei fatti di oggi, potrebbero comprometterli severamente in seno ai Parlamenti nazionali e a quello Europeo. Nella triste perplessità di queste ore, forse, l’Occidente ritroverà la compattezza che non ha saputo dimostrare difronte alla Russia, la quale ha smascherato le profonde lacune dell’Unità Atlantica ed Europea, e chissà, portando al declino dei partiti estremisti e del populismo in Europa, mettendo sotto al naso dei loro elettori le conseguenze scaturite da idee imperialiste, sovraniste ed ultraconservatrici.
Il mondo da marzo non sarà più lo stesso. L’intento di Putin d’inglobare l’Ucraina è diventato ormai palese, e ciò porterà non solo ad una modifica delle mappe geografiche e geopolitiche, ma ad una revisione di vecchi e nuovi accordi, di alleanze, e ad un nuovo tipo di terrore russo che potrebbe vedere intaccati i cittadini della Federazione, vittime di un sistema sul quale non hanno mai del tutto avuto scelta. I flussi migratori di sfollati ucraini e di oppositori russi potrebbero muoversi verso l’Europa, mentre il regime di Putin si consoliderebbe alle porte di quello di Erdogan, che ha alzato la voce contro l’invasione Ucraina, preoccupato per il numero di navi della flotta russa nel Bosforo.
Il futuro della Federazione Russa potrebbe vedere due ipotetici scenari: l’estensione della grandezza russa, minacciando tacitamente o apertamente i territori limitrofi con l’arsenale bellico rinnovato e i missili RS-28 Sarmat, oppure, ad un’esasperazione del popolo russo messo in ginocchio da un’economia sempre più in ribasso, da una stretta della censura e della libertà di espressione, come si sta vedendo in queste ore, e che potrebbe portare i numerosissimi e giovanissimi attivisti russi, sempre più laboriosi e sostenuti anche all’esterno, in una seconda grande rivoluzione russa e ad un rovesciamento definitivo del regime di Putin.