Cosa ne sarà dei russi?

di Clementina Carta

We could do more than we do to stop unmerited suffering and gross physical cruelty.” Scrive Michael Ignatieff, accademico, autore e leader del partito liberarle del Canada dal 2008 al 2011, di origine russe.

Il senso della frase nel saggio di Ignatieff, “Human Rights”, si riferisce ai diritti umani nel piccolo, nel singolo, nella vita quotidiana di tutti i giorni. Ed è proprio dal piccolo, dal pensiero e dall’attitudine del singolo che il rispetto viene insegnato ed esteso alla collettività, fino ad arrivare ai vertici, alla sua rappresentanza.

I cittadini russi, nel loro piccolo, stanno abbracciando la frase dell’accademico canadese, in quanto il pensiero comune di numerosissimi russi dai quarantacinque anni in giù, non combacia affatto con il governo di Putin.

Lo si è notato nelle ultime ore nelle città sparse per la Russia, dove sono stati arrestati 1800 cittadini manifestanti contro la guerra in Ucraina, intonando lo slogan: “Nyet Voynie!”- “No alla guerra!” e “Nye vsye russkye!”- “Non tutti i russi!”

Non tutti i russi per davvero, in quanto la Russia dei giovani è in assoluto un’altra Russia. È una Russia tollerante, che abbraccia e cerca di trasmettere ai più anziani il rispetto e la comprensione verso la comunità LGBT, è una società che abbraccia le idee femministe, queste, dopo un esordio durante il periodo sovietico, schiacciate da una cultura esasperatamente patriarcale, conservatrice, xenofoba, omofoba e machista. Si credeva che la Russia avrebbe trovato la sua strada con Putin, con colui che gridava “all’interesse del suo popolo e della sua nazione”, ma, come hanno dimostrato gli ultimi fatti di cronaca, i russi non hanno più nulla in comune con l’uomo che li governa da ventidue anni. La globalizzazione e i social network hanno separato due generazioni, ritrovatesi agli antipodi, una nata dietro la cortina di ferro e l’altra nell’era dell’informazione immediata.

I cittadini della nuova generazione in queste ore si stanno mobilitando per mandare aiuto in Ucraina, lanciano appelli di “Stop alla Guerra” in rete e in televisione, come il tennista Andrey Rublev, che durante l’ATP di Dubai, ha lanciato il messaggio: “Fermate la guerra”. I ragazzi russi e non solo, compresi numerosi adulti e ultra ottantenni che una guerra già l’hanno vissuta, prendono sì posizione contro la decisione di Putin d’invadere l’Ucraina, ma provano anche un profondo senso di disagio, di vergogna, d’imbarazzo e d’impotenza, quest’ultimo combattuto grazie ai movimenti di protesta sui social network, nonostante il governo minacci di bloccare le piattaforme di Facebook e Instagram. Moltissimi siti e associazioni hanno iniziato un’assidua campagna di crowdfunding per inviare aiuto in Ucraina, come ad esempio: “Nuzhnapomosh.ru.”- “Denezhnaya Pomosh”, “Blagotvoritel’nyi fond pomoshye detey”, quest’ultimo destinato all’aiuto dei bambini, vittime della guerra.

I russi si sono ritrovati ad essere anch’essi vittime di un capo di Stato e di un governo sul quale non hanno praticamente più avuto scelta. Negli ultimi quattro anni si è visto una stretta sempre più dura del regime di Putin intorno ai suoi cittadini, riprendendo appunto il concetto d’interesse nazionale, di sicurezza del proprio popolo. Concetto tanto amato e reiterato dai sovranisti europei e sparsi per il mondo, convinti di vedere un “leader protettore”, che pensa al benessere dei suoi cittadini, quando si scopre che chi pronuncia tali parole, finisce per essere la causa del malcontento e delle paure del suo stesso popolo.

Le proteste a Mosca per le pensioni, scese a 100 euro al mese per un militare di alto rango, agli alzamenti dei prezzi, l’inflazione, e le dimostrazioni contro l’arresto dell’attivista Aleksej Navalny, sono aumentante con l’inasprimento del regime di Putin, che con il referendum costituzionale di giugno 2020, passato con la dubbia percentuale dell’80%, ha incrementato il numero di proteste nel paese a causa delle critiche sulla legittimità del voto alla Commissione Centrale Elettorale della Federazione Russa, dove in un video si vede un dipende che apre le urne per infilare schede con il voto “Sì” alla domanda: “Siete d’accordo con le modifiche proposte dal Presidente alla Costituzione della Federazione Russa?”

Con la vittoria del “Sì”, Putin si è garantito la presidenza fino al 2036, con un azzeramento dei mandati presidenziali precedenti e la possibilità di venire rieletto ancora per quattro volte.

Hannah Arendt, in “Alcune questioni di Filosofia Morale” scrisse, riferendosi al regime nazista:

“Questo regime, in effetti, annunciò l’avvento di nuovi valori e introdusse un sistema giuridico coerente con tali valori.”

Una volta modificata la legge di uno Stato, essa può portare a legittimare attitudine immorali non solo a ai vertici dello Stato ma anche a livello individuale. E i russi lo sono in quanto, come sempre lungo il cammino della loro storia, sono stati vittima di scelte altrui ricadenti sempre su di loro.

E così sarà anche con il pacchetto di sanzioni, per punire la decisione del singolo si punisce la collettività.

Ma il singolo potrebbe venire punito, in questo caso, anche da una massa esasperata, stressata da una crisi economica globale ed interna post-pandemica, per uno schiacciamento ancor più duro dei propri diritti, dei principi di libertà individuale, di manifestazione, di parola, di pensiero. Dovranno fare i conti con un incremento della russofobia nel mondo e di un ipotetico collasso economico dovuto alle spese della guerra in Ucraina.

Le disposizioni riportate da Ursula Von der Leyen sono state mirate, severissime e dirette: L’intero spazio aereo dell’UE sarà chiuso a tutti voli russi, compresi i jet degli oligarchi. Le sanzioni sull’export imposto alla Russia saranno estese alla Bielorussia, e i media Russia Today e Sputnik, saranno banditi dall’Unione Europea.

A questo punto, si potrebbe pensare che il popolo, oppresso dalle politiche di Putin e dalle sanzioni, andrebbe a trovare un potentissimo alleato: gli oligarchi, essi, all’inizio del duemila, combattuti dal presidente russo per sottrare dalle loro mani l’immenso potere che avevano sulle varie compagnie energetiche, bancarie, azionarie russe. Molti sono scappati all’estero, e quelli vicino a Putin sono rimasti, e proprio questi, negli ultimi giorni, sono stati anch’essi traditi, ritrovandosi con le gambe tagliate dalle sanzioni, pagando il prezzo della decisione del loro leader della guerra in Ucraina. Il popolo avrebbe un alleato che potrebbe, come in passato, finanziare e sostenere una rivolta di massa. Tutti gli interessi in Europa e nel mondo degli oligarchi sono andati in fumo per la chiusura dello spazio aereo e per l’uscita da Swift della Russia, facendo tremare anche gli Stati Membri dell’UE. La rabbia e la frustrazione suscitata si riverserebbe non su chi ha imposto le sanzioni, ma su chi è stata la causa di tale imposizione.

I russi, soprattutto le nuove generazione, si stanno preparando a vivere una nuova era, aspirano alla libertà, ad un benessere non di lusso sfrenato ma mirato, un benessere psicologico ed ecologico, fenomeno al quale i giovani russi tengono decisamente di più di come ha dimostrato la vecchia guardia.

Sembrerebbe che le proteste dei cittadini sollevano in queste ore, in questi mesi, le tre grandi questioni che il filosofo tedesco, Immanuel Kant, espose nella Cristica della Ragion Pratica:

Cosa posso sapere?” – “Cosa posso fare?” – “In cosa posso sperare?”

I giovani sanno di sapere poco, seppur molto di più di dieci anni fa. E ciò grazie al lavoro dell’attivista Aleksej Navalny e il suo team di collaboratori, che hanno mandato avanti, conoscendo perfettamente il rischio corso, indagini sulla corruzione del presidente russo e del suo staff, compreso l’ex braccio destro Dmitri Medvedev, scomparso dalla scena russa da due anni. Il celebre documentario, che ha fatto il giro del mondo: “On vam ne Dimon”, ha rivelato come Medvedev avesse intascato la cifra di 1.2 miliardi di dollari a discapito di uno stipendio mensile di 662 dollari al mese per un russo medio.

Il lavoro di Navalny ha portato a galla e sta portando a galla tante scomode verità che hanno aperto gli occhi agli ignari cittadini ed ex elettori di Putin, intaccando la credibilità di Russia Unita, partito attualmente al governo.

Ma non solo Navalny, anche il Levada Center ha svolto e sta svolgendo un importante lavoro di divulgazione fuori e dentro la Russia. Riconosciuta dalla Federazione come agente straniero, è un’organizzazione indipendente non governativa russa, che lavoro con lo scopo di compiere ricerche sociologiche all’interno del paese, rischiando qualche anno fa dover interrompere la sua attività per decisione del presidente russo, poiché il centro aveva rivelato come l’indice dei sondaggi di gradimento di quest’ultimo fossero decisamente più bassi di quelli riportati.

Consapevoli del crollo della popolarità di Putin in Russia, i cittadini che si sono apertamente e tacitamente schierati contro il governo, richiedenti un cambio veritiero e radicale, si chiedono a questo punto:

“Cosa posso fare?”

La risposta per ora, causa pandemia, repressioni delle forze dell’ordine e arresti, è stata la rete. La rete è il mezzo che sta dando speranza ai giovani russi, è il mezzo che permette loro di raggiungere coetanei in altre parti del mondo per mostrare cosa stia accadendo nel paese e soprattutto, come un buon numero di russi non siano allineati con le politiche e le decisioni del governo. L’informazione, la divulgazione, la conoscenza, la fine dall’oscurantismo è la chiave per uscire da un regime che sembrerebbe aver tradito i suoi cittadini ma anche i partner all’estero, lasciando il mondo con un profondo senso di rabbia, di frustrazione e d’impotenza di fronte ad un uso della forza inaspettato.

Alla terza domanda: “In cosa posso sperare?”, gli scenari che si presentano sono vari, eppure questo della guerra in Ucraina, scoppiata mentre vi era un sentito malcontento all’interno della Nazione, sembrerebbe essere un déja-vu. Ed il déja-vu sembrerebbe riprendere le immagini della guerra “14-18”, dove in mezzo vi è l’anno ’17, data che in Russia non ha bisogno di essere raccontata. È un malcontento nato dalla povertà, dall’ingiustizia, dalle morti inutili al fronte, dalla perdita di padri e di figli per scopi strategici che lo stesso popolo ignora, è il malcontento di chi è dovuto star zitto per troppo tempo e la guerra è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Fino al 26 febbraio del 2022, i morti russi sul fronte ucraino ammontavano a 3500 mentre i catturati erano circa 200, cifre che però non sono ancora state fornite ufficialmente dal Cremlino.

La storia insegna come spesso lo Status Quo si scopra essere migliore di ciò che viene dopo, ma il presente spesso non da altra scelta che quello di rovesciare una situazione tragica, di impasse, dove il mondo è andato avanti e un uomo tiene indietro un popolo convincendoli essere più avanti di tutti. Ma il popolo si è reso è ormai perfettamente conto delle bugie raccontate. Vi è un abisso tra governati e governanti ed è un abisso colmabile con quasi nulla per la sua vastità. Si potrebbe pensare che Putin all’orizzonte non abbia quella lunga carriera da lui tanto auspicata, come terminata la guerra in Ucraina questo dovrà rispondere internazionalmente dei suoi atti ma soprattutto si ritroverà faccia a faccia con una massa di giovani profondamente scossi a livello psicologico, sociologico ed economico e che potrebbero gridare ad un cambiamento vero, perenne e radicale.