Dove sono i decabristi?
In Russia, dal 17 al 19 settembre, si terrà il rinnovo dei 450 seggi della Duma che alle ultime elezioni, nel 2016, vide la vittoria schiacciante di Russia Unita, il partito più vicino a Vladimir Putin, con il 54, 2% delle preferenze e ottenendo in totale 343 seggi.
Oggi numeri simili sarebbero pressoché impossibile a causa della pandemia e della crisi economica che l’ha seguita, ed il presidente ne è perfettamente consapevole. Dettaglio che porta a chiedersi se proprio tale consapevolezza sia la causa dell’assenza totale di opposizione alle elezioni.
Questa preoccupante mancanza di membri antigovernativi ricorda, in forma più leggera e moderna, i tempi di Nicola I, uno degli zar più autoritari della storia dell’impero russo, promulgatore della censura, dello stato di polizia e della servitù della gleba, detestava la classe culturale russa che in quegli anni si univa in società segrete e massoniche, apostrofati come: “decabristi”.
L’etimologia del nome decabrista, da cui nasce il loro movimento “decabrismo”, deriva dal russo “dekabr”, dicembre, perché proprio il 14 dicembre del 1825, nella piazza del Senato a San Pietroburgo, vi fu la grande insurrezione decabrista contro la Corona. Furono mobilitati 3000 soldati dell’esercito i quali essi stessi si ribellarono contro la Monarchia, ma la rivolta venne sedata non solamente dalle guardie imperiali ma dallo stesso Nicola I.
Tra gli esponenti più importanti del decabrismo non a caso troviamo il poeta e padre della lingua russa, Aleksandr Pushkin, aperto oppositore di Nicola I il quale gli censurò l’opera Boris Godunov e tramite spie infiltrate in redazioni e riviste letterarie bloccava la pubblicazione di poesie, racconti e articoli che si opponevano apertamente al regime zarista.
I membri delle società segrete decabriste e della massoneria appartenevano alla nobiltà russa e all’Intellighencija, questi potevano essere appunto poeti come medici, artisti, economisti, giornalisti e ingegneri. Consci di venire deportati in Siberia e condannati ai lavori forzati o impiccati in piazza, mandavano avanti il loro obiettivo: ovvero portare nel paese un sistema economico liberale, una Costituzione, la fine della servitù della gleba, la fine della censura e la fine dello stato di Polizia.Desideravano disfarsi una volta per tutte dell’assolutismo e far respirare ai russi l’aria di libertà e di progresso tipicamente europea.
Il terrore di essere un oppositore in Russia al giorno d’oggi è più che comprensibile, eppure i rischi sono gli stessi di quelli corsi dagli oppositori negli anni e nei secoli passati, anche se nell’era del digitale vi è maggiore consapevolezza di ciò che capita a chi esprime apertamente il proprio dissenso e porta dietro di sé migliaia di seguaci. Il video dell’avvelenamento di Aleksej Navalnij all’aeroporto di Tomsk nell’agosto scorso ha probabilmente ridimensionato e spento qualsiasi intenzione d’insurrezione da parte dei membri antigovernativi. Ma allo stesso modo di come oggi l’informazione venga promulgata tramite la rete, ai tempi degli zar vi era la stessa consapevolezza con le impiccagioni in pubblica piazza e i resoconti scritti e orali dellesorti disperate di chi non si era piegato all’autocrazia.
Rispolverare le battaglie passate non è un intento di giudizio versogli oppressi dalle politiche autoritarie moderne, ma è chiedersi dove sono oggi i giustizieri all’interno del paese. Come avviene nella più parte dei regimi, la maggioranza degli oppositori si trovaall’estero e mandano avanti intenti di destabilizzazionedell’ordinamento politico da fuori, lasciando però spianata la strada interna.
La mancanza di opposizione al giorno d’oggi potrebbe essere dovuta alla mancanza di un ideale? Alla mancanza di un veritiero spirito sacrificale a discapito di un atteggiamento più voyeurista?
Una risposta a tale domanda potrebbe nascere osservando come l’Intellighenzija, non solo in Russia ma nel resto del mondo, sia sparita o sia in procinto di sparire.
Secondo il semiologo e storico russo Yuri Lotman, per Intellighenzija ci si riferisce ad un gruppo sociale composto da individui in possesso di una certa istruzione e conoscenze specifiche nell’ambito di scienze, tecnica e cultura, la cui vita è dedicata professionalmente a occupazioni richiedenti un determinato sforzo intellettuale.
Soffermarsi sull’intellettualità dei membri dell’Intellighenzija non è un dettaglio da nulla, al contrario, esso ci riporta ad un pensiero moderno e forse sempre eterno. Per intellettualità ci si riferisce alla caratteristica psicologica di un individuo dotato di sensibilità, gentilezza, cultura, altruismo e filantropia senza fini reconditi. Ci si riferisce a chi utilizza le proprie capacità tecniche non solamente per scopi personali, come il meritato guadagno, ma per una causa alla quale si sacrifica per il resto della vita, ovvero servire il popolo, perché l’uomo ben educato non si eleva al di sopra degli altri ma si sforza di capirli. E tale caratteristica tecnica e psicologica si contrappone all’idea di villania e di arroganza. Si contrappone all’idea del tutto subito, di risposte semplice ed immediate a quesiti complessi, alla mancanza di educazione e di cultura di chi è rapidamente salito ai vertici del potere. E per i vertici del potere non ci si riferisce al Capo di Stato ma a chi lo circonda e ai suoi seguaci più stretti, ai così detti rappresentanti del popolo che invece di venire spronato a crescere lo si tiene piccolo, perché si sa che i piccoli venerano i grandi.
Non fu un caso che diversi decabristi, come Pestel’, Kachovskij, Muravev-Apostol, tutti condannati all’impiccagione,appartenessero a ciò che veniva denominata: “la nobiltà illuminata.” E come ben si sa, la nobiltà in Russia non esiste più da un secolo, eppure un altro tipo di nobiltà ha continuato a vivere e ad agire malgrado le conseguenze tragiche subite, ed è la nobiltà d’animo espressa nel coraggio, nello spirito di sacrificio per dare al popolo i giusti strumenti per non essere sottomessi, per non essere ignoranti, per pensare e per guardare più in là di ciò che gli veniva detto dovesse essere la loro normalità. Molti di essi oggi sono emigrati o hanno lasciato questo mondo, ricordiamo appunto Naval’nij, ma anche Chodorkovskij, in esilio dal 2003, e la giornalista Anna Politovskaja, uccisa dopo essersi apertamente opposta alla guerra in Cecenia. Ricordiamo durante il periodo sovietico Sacharov, Yuri Orlov, Boris Pasternak, Aleksandr Solzhenicyn. In comune possedevano, oltre agli enormi talenti intellettuali, anche il dono dell’autocritica nei confronti del proprio paese e del proprio regime, e l’eroismo di diffonderlo agli altri. Sono loro i decabristi moderni.
Non Nicola I ma Vladimir Putin, consapevole di un calo vertiginoso della popolarità, ha capito come fosse necessario sfilare via quel cuscinetto sociale tra popolo e stato chiamato Intellighencija, e che in Russia è sempre stata la spinta verso un cambio drastico del sistema governativo, motivo per il quale forse, la stampa straniera si stupisce dell’assenza di opposizione.