Alfonso XIII: Il profilo più umano di un sovrano dimenticato
Alfonso XIII, nato Alfonso di Borbone e Austria-Lorena, fu l’ultimo re di Spagna prima dell’instaurazione della seconda Repubblica, poco prima dello scoppio della guerra civile.
Il suo regno tra instabilità, movimenti indipendentisti, crisi politiche e colpo di stato durò ventinove anni.
Di rado, oggi, che sia in Patria o all’estero, si scrive o si parla a proposito di questo Monarca, il quale è stato un pivot, non solo per la storia spagnola, ma anche della storia d’Europa.
Andando a rispolverare tale periodo storico, tornano alla luce situazioni e problemi della Spagna contemporanea, che permettono d’ incastrare tutti i tasselli di una società complessa e sofferta, che da poco ha riscoperto la pace.
Oltre a portare vecchie risposte a quesiti moderni, il personaggio di Alfonso XIII è indubbiamente interessante per il carattere forte, deciso, per lo spiccato senso dell’umorismo e per le sue debolezze private che suo malgrado, si riversavano anche nella sfera pubblica, plasmando così la sagoma di un monarca che aveva più del terrestre che del celeste.
Alfonso XIII è stato un sovrano caratterizzato da un fortissimo senso patriottico, con un amore sincero per il suo popolo. Viene definito dagli storici un monarca liberale, seppur non democratico, dato che la società spagnola dell’epoca era quella che si poteva definire come una società “pre-democratica”.
La sinistra lo considerava autoritario mentre alcuni membri della destra più conservatrice, futuri falangisti e franchisti, lo criticavano per la sua indole progressista, poco adatta ad una testa coronata.
Amante del cinema, prediligeva e produceva anche un certo tipo di film erotici e scandalosi all’epoca, conosciuti nella cattolica Spagna come: “Peliculas sicalípticas.” Ovvero, il moderno cinema porno.
Oltre a questa parentesi salace, sovvenzionava la cultura e l’arte, fu fautore delle nuove tecnologie era un grandissimo appassionato di automobili.
Mandò avanti la ricerca scientifica, il settore navale, aereonautico e la meccanizzazione industriale che si sarebbe rivelata un’autentica rivoluzione, in un Paese prevalentemente agricolo al Sud e minerario al Nord. Inoltre apportò un cospicuo sostegno alle Università e fu colui che stimolò la creazione della metropolitana di Madrid.
Nonostante queste iniziative per lo sviluppo, la Spagna permaneva un Paese arretrato, con una classe operaia molto povera, un’industrializzazione lenta e scarsa, e una desolante miseria contadina, soprattutto nelle zone più isolate del paese.
Alfonso XIII , nel 1922, decise intraprendere un viaggio, a cavallo, per raggiungere Las Hurdes, luogo remoto dell’Extremadura, dove la popolazione a causa dell’alimentazione insufficiente e a causa di un livello altissimo di analfabetismo, con una pessima conoscenza della lingua spagnola, viveva condizioni talmente misere che obbligavano ad avere matrimoni tra consanguinei, il che determinava gravi conseguenze, circa 15% di persone erano affette da nanismo e molti altri con gravi ritardi mentali.
Il viaggio del Monarca fu documentato da un giornalista che lo seguì in quest’avventura, con film e fotografie, da poter utilizzare nelle sale cinematografiche per informare la società civile.
Il documentario lo si trova, oggi, anche su Youtube: (Las Hurdes. El viaje de S. M. el rey D. Alfonso XIII en 1922).
Si dice fosse il primo tentativo di marketing dei Borboni, che nel far vedere il coraggio del Re nel recarsi nella zona più malfamata di Spagna aggiungeva il secondo fine, quello di farsi lodare per l’atto generoso, dato che lo scopo del viaggio era proprio quello attirare l’attenzione generale per promuovere un miglior livello di vita della popolazione; un “auto-elogio”, come molti lo definirono, con il quale Casa Reale sensibilizzò il Paese sulle condizione di compatrioti meno fortunati, geograficamente non così distanti, eppure, dagli stili di vita lontani anni luce.
A differenza di altre monarchie, non vi era un intento da parte della Corona di nascondere sotto il tappeto gli enormi disagi che viveva la Spagna, sperando così di far tacere i giornali antimonarchici o per illudere il popolo di un benessere, che in verità, non esisteva.
Alfonso XIII era conscio dei limiti del suo Paese, del suo regno, e sapeva bene che occultandoli non avrebbe aiutato di certo a trovare una soluzione per risanarli.
Non fu da parte del Monarca l’unico atto di umanità.
Come si sa, la Spagna fu neutrale durante la prima guerra mondiale, e ciò nonostante Alfonso XIII mise su una modesta ma efficace associazione di aiuto umanitario per ritrovare i soldati scomparsi durante il conflitto. L’impresa ebbe un’eco in tutta Europa, dove i volontari spagnoli, disseminati sui fronti e nelle campagne, cercavano le migliaia di combattenti dispersi.
Si ricorda la lettera scritta al Sovrano da una donna francese, che lo ringraziava per l’opera di carità che aveva permesso di riportare a casa il marito dato per scomparso.
Il Re, per quanto aperto, liberale e compassionevole su alcuni fronti, visse non poche sventure che segnarono un carattere testardo, istintivo, tracotante e terribilmente arrogante.
Le sue disgrazie ebbero inizio ancor prima della sua nascita: Suo padre, Alfonso XII, tisico e affetto da sifilide, morì quando la moglie era incinta. La regina Maria Cristina, madre di Alfonso XIII, regnò per diciassette anni, fino alla maggiore età del figlio, al momento della sua incoronazione.
Fu una sovrana amata dal popolo per la razionalità e il sangue freddo, che dovette vivere due enormi ferite per il Regno di Spagna: La perdita di Cuba e delle Filippine nel 1898, gli ultimi colpi di tosse di un impero coloniale morente. Il prestigio mondiale spagnolo, le sue colonie con le sue élite e i viceré, si spense una volta per tutte, lasciandone solo il ricordo nei libri di storia.
Alfonso XIII fu un bambino privo d’infanzia, perennemente circondato da ministri, consiglieri e cortigiani che lo adulavano e soddisfacevano ogni suo capriccio. Lo vestivano a letto e gli lavano i denti, esattamente come all’età di quattordici anni gli trovarono una donna con la quale ebbe il suo primo rapporto sessuale.
Sebbene fosse nato Re e preparato ai doveri reali sin dalla primissima infanzia, il suo Regno fu infausto per la questione catalana, per i disagi sociali nelle fasce della popolazione agricola e operaia, che, assieme agli studenti, diedero adito a partiti repubblicani, antimonarchici e a gruppi anarchici terroristi.
Alfonso XIII sopravvisse a diversi attentati, uno di questi avvenuto il giorno delle sue nozze con Victoria Eugenia di Battenberg, il 31 maggio 1906, quando Mateo Morral Roca, un terrorista anarchico catalano, gettò una bomba nascosta in un mazzo di fiori sulla carrozza dei sovrani. Gli sposi si salvarono, ma perirono venticinque persone tra militari e civili.
Nell’arco degli anni il problema dell’indipendenza catalana rimaneva una questione in sospeso, che si aggravò nel 1909, con il governo de Maura. La Spagna aveva ripreso l’avanzata coloniale in Marocco, e il ministro della guerra decise di richiamare la Terza brigata mista, composta da unità attive e di riserve in Catalogna. Tra queste unità vi erano 520 soldati che avevano completato il servizio attivo sei anni prima e rifiutare di riarruolarsi sarebbe costato sei mila Real, cifra impossibile per la più parte dei lavoratori.
La protesta dei soldati contribuì al sollevamento di gruppi operai a Barcellona, come Solidariedad Obrera, sostenuta e guidata da anarchici, comunisti e repubblicani durante l’ultima settimana di luglio, quando diedero fuoco a scuole e a chiese. La più parte dei manifestanti erano antimilitaristi e anticlericali, che vedevano nella curia il riflesso e il sostegno alla corrotta borghesia spagnola.
L’intento di ristabilire l’ordine da parte della Guardia Civil fu violento, con una sparatoria nella celebre via della Ramblas, causando un centinaio di morti, e con la proclamazione della legge marziale.
Tali avvenimenti turbavano intimamente il Monarca, il quale non accettava di non essere amato incondizionatamente dal popolo, forse, non intuendo che l’identità spagnola non era da tutti percepita e accettata allo stesso modo. Proprio per conciliare i nazionalismi aragonesi, che si aggiungevano ai malumori catalani, il secondogenito del matrimonio reale venne chiamato Jaime, nome tipico delle due regioni.
Alfonso XIII, che aveva sempre messo la Spagna e la sua unità in primo piano, cercò comunque di andare incontro al leader catalanista Francesco Cambò, le cui parole, nel 1918, furono:
“È giunta l’ora per la Catalogna.”
Il Sovrano mandò avanti le politiche per l’autonomia della regione, che però furono bocciate in Parlamento, creando un fortissimo malcontento tra i ranghi catalani indipendentisti. La Catalogna, spiegava il leader di allora, si sentiva intrappolata da partiti e da una Corona che non li rappresentava, in quanto per i catalani l’identità spagnola andava a seguito di quella regionale. La Catalogna vantava uno stile di vita assai liberale e un’industrializzazione sviluppata, a differenza di come avveniva nel resto del paese, e di conseguenza, percepiva un freno a una società che sarebbe stata decisamente più avanzata di quella nazionale.
Le pareti del regno vacillavano sotto le spinte indipendentiste catalane, sotto i partiti anarchici, gli attentati e i movimenti repubblicani, mentre nel resto del mondo le teste coronate iniziavano cadere, in primis, in Russia.
Il regno di Alfonso XIII, forse, anche per via del momento storico, fu caratterizzato da una fortissima instabilità parlamentare, con partiti incapaci di governare il paese, e governi che cadevano uno dopo l’altro a rotta di collo. Il Sovrano interveniva quasi direttamente nelle decisioni del governo, pur sempre rispettando le volontà del Parlamento, nonostante diffidasse completamente dei politici, dato che dubitava della loro onestà, vedendoli come subdoli traditori. Al contrario, si trovava perfettamente a suo agio nel settore militare, dove tra i suoi ranghi vantava anche grandi amicizie e conoscenze, con i quali, in futuro, avrebbe preso importantissimi accordi per le sorti del paese.
Le tensioni nervose causate dall’instabilità dello Stato, dai problemi economici e sociali, da una vita famigliare tormentata e dal non sentirsi completamente amato dagli spagnoli, tramutavano il Re in un frivolo Don Giovanni, alla continua ricerca di distrazioni nei bar e nei teatri della capitale.
In verità la frivolezza non era altro che una camuffata malinconia, sebbene quelle notti brave, a Madrid come altrove, gli avessero regalato non poche soddisfazioni.
Una descrizione più intimista di questo Re è necessaria per capire il personaggio studiato:
Don Alfonso di Borbone, dedito ad una vita libertina assai vivace, per niente nascosta alla Corte e ai media spagnoli e stranieri, possedeva quel che in castigliano viene chiamato “tirón”, più conosciuto con l’espressione francese di “Je ne sais pas quoi”. Non era bello, le fotografie parlano chiaro, ma l’insieme del suo essere; il portamento spavaldo e allo stesso tempo retto, da cavallerizzo, il senso dell’umorismo sottile e il sorriso acceso negli occhi vispi facevano sì che tutti esaudissero i desideri più svariati del Re. Le dame a Corte se lo litigavano, allo stesso modo delle attrici e cantanti più celebri del paese e d’Europa, regalando alla vita del Monarca un’esistenza lussuriosa e allegra, la quale possedeva però il suo lato oscuro: le relazioni extraconiugali o le fughe di qualche ora nei bar e nei cabaret di Madrid, erano le conseguenze di un matrimonio infelice, precipitato nell’abisso con la nascita di tre bambini malati su sei: due emofiliaci e uno sordomuto. Le bambine erano sane ma con un’alta percentuale di essere portatrici del gene dell’emofilia, e ciò avrebbe fatto sì che nessun futuro pretendente di una casa reale europea le avrebbe prese in sposa, non volendo incombere nell’errore del monarca spagnolo e di Nicola II.
L’unico erede sano fu l’Infante Juan, colui che diventerà il padre del re Juan Carlos I.
Doña Victoria Eugenia di Battenberg, moglie di Alfonso XIII e regina di Spagna, era cugina prima della zarina Aleksandra Fëdorovna, e come lei, era portatrice del gene dell’emofilia in quanto nipote della Regina Vittoria, la nonna d’Europa. Di fatti, come lo zarevich Aleksej Nikolaevich, anche suo cugino, il principe di Asturias, Don Alfonso de Borbón y Battenberg, soprannominato il Principe di Cristallo, era affetto dall’emofilia, così come suo fratello minore Don Gonzalo.
La dura malattia li costringeva tutti e tre a vestire con speciali abiti imbottiti per evitare urti e
colpi che gli sarebbero stati fatali. Fragili, sensibili e delicati, la perpetua sofferenza aveva fatto si che i due eredi al trono, spagnolo e russo, sviluppassero un’empatia più marcata del comune, sensibilizzandoli nei confronti del dolore altrui.
Il secondogenito del Re di Spagna, don Jaime de Borbón y Battenberg, per via di una mastoidite rimase sordo, e di conseguenza, muto. Imparò ad esprimersi più o meno convenientemente in spagnolo grazie a due suore che gli insegnarono a leggere le labbra, e anche lui, come i fratelli e il parente russo, sviluppò un candore e una sensibilità fuori dall’ordinario. Estremamente unito alla madre, rispettava con timore il padre, il quale non sopportava l’idea di aver tre figli malati, rancoroso nei confronti della moglie, attribuendo a lei tale disgrazia, e rifugiandosi in una vita dissoluta con altre donne e con il whisky.
La malattia della progenie, probabilmente, fu ciò che portò Alfonso XIII in un disperato intento di salvataggio della famiglia imperiale russa tra il 1917 e il 1918, proponendo la Spagna come terra di asilo per i Romanov. Oltre ad essere, come naturale, un sostenitore della Corona russa, provava compassione ed empatia per Nicola II, comprendendo le severe preoccupazioni che il padre di un erede al trono emofiliaco provasse costantemente.
Il Sovrano spagnolo fu l’unico d’Europa a cercare di trarre in salvo i sette membri della famiglia Romanov. Tentò accordi con diplomatici russi in Inghilterra, recandosi a Londra per parlare con essi e con il primo ministro Lloyd George, cercando di persuadere il re Giorgio V ad aiutarlo nel soccorso, sfortunatamente con scarso interesse dall’altra parte. Gli inglesi, terrorizzati dagli scioperi in tutto il Regno Unito, temevano che aiutando Nicola II avrebbero aizzato ulteriormente i movimenti operai e sindacali contro la Corona inglese, rischiando anch’essi di finire come gli alleati russi.
Il “no” da parte di Giorgio V tardò ad arrivare, e la sorte dei Romanov fu definitivamente segnata.
Gli anni che seguirono la Rivoluzione russa furono particolarmente burrascosi anche nel resto d’Europa, persino nei Paesi che rimasero neutrali durante la Grande Guerra.
La Spagna, a causa della pessima industrializzazione e dei i macchinari obsoleti, era rimasta indietro sul piano competitivo, le fabbriche e le miniere dovettero chiudere, lasciando senza lavoro migliaia di operai. La disperazione della gente non faceva che incrementare l’odio nei confronti della Corona, che, per obbligo Costituzionale, non poteva interferire direttamente nelle politiche del governo, e perciò veniva vista come un enorme peso dorato schiacciante uno Stato sempre più in miseria. Pochi all’epoca erano a conoscenza del fatto che il Monarca, di tasca sua, finanziò l’espansione di molte fabbriche, oltre ad elargire cento mila pesetas per le miniere di Rio Tinto, investì nel petrolio e in in buoni del Tesoro ammortizzabili.
Elargì un milione di pesetas per la costruzione della metropolitana di Madrid per dare un’allure più dinamica e moderna alla capitale del Regno.
Nonostante ciò, le tensioni sociali si facevano sentire sempre di più, gli scioperi si moltiplicavano e con essi i gruppi terroristici di estrema sinistra, soprattutto per protestare contro la guerra in Marocco che sembrava non terminare più, con migliaia di giovani caduti.
Nell’agosto del ’21 quasi dieci mila soldati spagnoli perirono durante il disastro della battaglia di Annual: umiliante e drammatica sconfitta della Spagna contro la Repubblica del Rif (*), che portò ad un accrescimento di un sentimento antimilitarista accompagnata da una profonda ideologia sempre più violenta.
Pochi mesi prima del disastro in Marocco, nel marzo del ’21, il presidente del governo, Eduardo Dato, venne assassinato nella sua auto da tre anarchici catalani: Pedro Mateu, Luis Nicolau e Ramón Casanellas.
I malumori indipendentisti, antimiltaristi, antisistemi, i sindacati e gli operai in sciopero tramutavano Madrid in un’iberica Pietrogrado, macchiata di bandiere rosse.
Data la situazione insostenibile, e i timori di una rivoluzione affine a quella bolscevica, nel 1923, il generale Miguel Primo de Rivera decise, con il sostegno del Re e di una buona parte della società civile, di prendere in mano la situazione. Alla luce degli eventi oggi conosciuti, ciò sembrerebbe essere stato più un miraggio che aveva illuso Sovrano e popolo di una salvezza repentina, poco ragionata ed istintiva, con le conseguenze che oggi conosciamo.
Il colpo di Stato e la dittatura di Primo de Rivera iniziarono con l’applicazione della legge marziale, seguita da una censura ferrea, soprattutto nei confronti di giornali e associazioni simpatizzanti di sinistra, l’abolizione dei partiti e l’imposizione di un sistema monopartitico.
Per quanto vi fosse stato un tentativo di recupero morale e finanziario dello Stato Spagnolo, il crollo della borsa di Wall Strett, nel ’29, gettò benzina su una fiamma che non aveva assolutamente possibilità di spegnersi. Il tasso di disoccupazione crebbe spaventosamente, e il malcontento generale portò ad una nuova ondata di proteste, represse con la violenza tipica di un regime di natura militar-fascista.
Nel ’30, Primo de Rivera perse l’appoggio delle parti sociali e del Sovrano, che lo convinse a dimettersi. Gli effetti delle dimissioni del Generale però, ricaddero anche sulla Corona.
Nell’aprile del 1931 le elezioni municipali nelle città più importanti della nazione parlarono chiaro: gli spagnoli erano ormai stanchi della Monarchia, era giunto il momento di cambiare sistema e di andare avanti, di aprirsi al progresso sociale in un Paese ancora estremamente retrogrado, bigotto e conservatore.
Scelsero la Repubblica.
Se si analizza uno ad uno lo svolgersi degli eventi, dall’incoronazione di Alfonso XIII sino al voto della Repubblica, sembrerebbe quasi un susseguirsi di disgrazie perfettamente concatenate che hanno portato alla fine della Monarchia in Spagna. Esattamente allo stesso modo di come avvenne in Russia; le sciagure della vita privata del Sovrano si andavano ad incastrare alla perfezione in quella pubblica; la malattia del Principe di Asturias, l’emofilia, aveva profetizzato un’ipotetica impossibilità di successione. Di fatti, come il cugino russo, Don Alfonso de Borbón y Battenberg non si sedette mai sul trono.
Il Re, pronto a partire per l’esilio nell’aprile del ‘31, si oppose a qualsiasi tentativo di restaurazione della Corona, chiedendo ai filo monarchici di rispettare la volontà degli spagnoli e di rispettare la nuova autorità repubblicana. Profetico, temeva che un intento di restaurazione avrebbe condotto ad una guerra civile, che lui, assolutamente, voleva risparmiare al popolo di cui sempre era stato innamorato.
“Non una sola goccia di sangue sarà versata per me.” Disse convinto, prima di partire da solo per Londra in esilio.
Il resto della famiglia reale, la moglie e i figli, abbandonarono la Spagna per la Francia in una tragica fuga in treno, con il Principe di Asturias, al momento della partenza, in preda ad un doloroso attacco di emofilia.
Si pensa che con l’esilio Alfonso XIII abbia trovato la pace interiore che mai poté vivere o sentire durante il suo regno. Purtroppo non è stato così, dato che la nostalgia provata per il suo paese, lo struggeva ancor più di quanto non facesse il turbamento che un Monarca è costretto a vivere per i suoi doveri inderogabili. I giornalisti dell’ABC che lo raggiungevano in Francia, in Inghilterra o in Italia per intervistarlo, affermavano che nel pronunciare il nome della sua nazione si commuovesse come fosse stato quello di un grande amore andato perduto.
Le disgrazie del Re in esilio continuarono con la morte dei figli, del primo e dell’ultimogenito, entrambi per incidenti di auto.
Don Gonzalo alla giovane età di 20 anni e Don Alfonso, quattro anni più tardi, all’età di 30. Per quanto, in tutti e due i casi, le ferite non sembravano particolarmente gravi, fu l’emorragia causata dall’emofilia a condannarli a morte.
Alfonso XIII si spense al Grand Hotel di Roma, il 14 aprile 1941, all’età di cinquantacinque anni. Il cuore, martoriato da alcol, fumo e patimenti, si arrestò, dandogli il tempo di pronunciare le sue ultime parole: “Ay, España.”
Nonostante l’opinione comune nei confronti di questo monarca e del suo regno, Alfonso XIII ha rappresentato la tenacia e il patriottismo, oltre ad aver perfettamente personificato le vesti di un essere umano completo, che non si è mai nascosto dietro una maschera di cera per occultare le debolezze, le paure, le volontà e i sentimenti che caratterizzano qualsiasi uomo, di sangue reale o meno.