Una finestra sulla vera Russia di Putin

di Clementina Carta

L’immagine comune della Russia, di un’opinione pubblica media, si limita a Mosca e San Pietroburgo, le città principali della federazione. Per i più esperti suoneranno forse famigliari le città di Novosibirsk e il giacimento di Yamal, ma oltre al fenomeno degli idrocarburi, il resto del paese rimane un mistero.

Lo sviluppo economico e sociale riscontrato nelle due metropoli ha quasi dell’incredibile se si pensa alla situazione pericolosamente instabile all’inizio degli anni ’90, quando la nazione ha sfiorato il tracollo finanziario.

Il presidente Putin, dal suo primo mandato nel 2000 ad oggi, ha conosciuto quattro fasi diverse, quattro periodi di cambiamenti del paese, riflessi anche sull’immagine stessa del capo dello Stato.

Dopo essersi concentrato, in un primo momento, su una rigida politica interna, dove oltre all’estremismo islamico del Caucaso, ha anche dovuto fare fronte al potere della Semya, degli  oligarchi, e della criminalità, i principali obiettivi di Putin sono stati quelli di riposizionare la Russia in un ruolo di superpotenza.

La scena internazionale è stata il suo palcoscenico, dove ha dimostrato, nel bene e nel male, il ruolo fondamentale tenuto dalla Federazione. Ha saputo mantenere la deterrenza in Siria fiancheggiando Assad, e ultimamente, contrariando di nuovo il mondo occidentale, ha deciso spalleggiare il presidente Maduro nella battaglia contro Guaidò.

Ma le relazioni internazionali non saranno il tema principale di quest’articolo, l’occhio del lettore si troverà faccia a faccia con ciò che è la realtà russa, di tutti i giorni, quotidiana, fuori Mosca. Dovrà guardare verso una terra sconosciuta, dove Putin e il “miracolo russo” sembrerebbero ben lungi dall’essere arrivati.

Chiunque sia andato ultimamente a Mosca è rimasto a bocca aperta dinnanzi alla modernità, all’agiatezza e all’enorme cambiamento avvenuto negli ultimi quindici anni. “La Russia è cambiata”, affermano in molti, ma la Russia non si ferma di certo a Mosca.

Sebbene lo Stato abbia saputo fare un salto di qualità dal punto di vista tecnologico e di modernità, l’economia russa rimane stagnante per non dire in recessione.

Oltre la città d’oro della capitale, oltre le mura del Cremlino, i grandi centri commerciali, le grandi marche e gli sfarzi dei miliardari, c’è dell’altro, è un mondo immenso di cui nessuno parla perché è sconveniente, sia per un russo o per uno straniero.

È il mondo della gente comune, dei pensionati, e degli invalidi.

Un colonnello russo in pensione, dopo aver trascorso quarant’anni in servizio per il proprio paese, riceve un soldo di circa 180 euro mensili.

Come molti anziani, medici, insegnanti, commercianti, anche gli alti ranghi militari sono costretti a vivere in ciò che un tempo si chiamava “Kommunalka”. Ovvero, la condivisione di un appartamento con altre persone, il più delle volte sconosciute. Tale modus vivendi è tornato attuale per mera necessità, per sopravvivenza, dovuta a una pessima ripartizione della ricchezza all’interno del paese.

Entrare in queste realtà lascia sconcertati, e si percepisce un sapore agrodolce di melanconia, tipicamente russa.

Sebbene lo squallore delle abitazioni sia accentuato dalla sporcizia della cucina, dal piano cottura incrostato, dal microonde rotto sistemato, misteriosamente, in salotto e da una quantità inimmaginabile di ciarpame, ricordi di una vita sparsi ovunque, la bellezza della nostalgia riaffiora proprio in questa semplice rusticità.

Le difficoltà economiche si riscontrano per il pagamento delle bollette del gas e della luce, cosa che si risolve vivendo con i coinquilini e dividendo le spese, persino quelle alimentari.

Il freddo, in molti appartamenti in Russia, si combatte come si può.

Chi è stato invitato per un tè da una famiglia russa, si sarà forse chiesto per quale astruso motivo il muro, abitualmente del soggiorno, sia coperto da un enorme tappeto. La risposta è l’isolamento termico. Il tappeto riveste con uno spesso e caldo strato la parete, che data la sottigliezza dello scarso materiale con il quale è stata costruita, lascia passare il gelo invernale. Inoltre, è facile trovare gli inquilini con indosso cappotto, spessi calzini di lana e foulard sul capo persino tra le mura domestiche.

Gli anziani in Russia, raramente rimangono senza far niente, onde la necessità di arrotondare come possono la pensione miserrima.

La bassa prospettiva di vita, che si aggirava per gli uomini intorno ai 55-60 anni, per via dell’abuso di alcol, si è leggermente alzata negli ultimi tempi, e dovrebbe affiorare la soglia dei 70 anni.

È facile quindi incontrare per le strade della provincia russa numerosi anziani intenti a vendere qualche paccottiglia su una bancarella da marciapiede, come vecchi libri usati, tazzine, cucchiaini, filo per cucire e bottoni. I colbacchi caldi fanno capolino alle casse di vecchi chioschi traballanti alle fermate degli autobus, dove si possono acquistare biglietti della lotteria, birra in lattina, vodka, peluche per i bambini o caramelle.

Le babushki, come vengono chiamate le signore di una certa età, letteralmente tradotto significa “le nonne”, per le vie espongono su una cassetta rovesciata i prodotti del loro orto, i più tipici sono i cetriolini, aglio, prezzemolo, fiori oppure cappellini, calze e bamboline lavorate a mano.

Il soldo basso della pensione fa sì che non ci si possa fermare mai, prendere fiato è un lusso, e raramente ci si sofferma a pensare all’ingiustizia della vita, per quanto naturalmente ne siano tutti consci. Più si fa, meno si pensa.

Gli appartamenti dalle pareti scrostate, ammuffite, odoranti di vita e di anni, sono tappezzati, oltre che dai tappeti, anche dalle fotografie dei parenti e dei nipoti.

Piccoli cittadini russi che frequentano la scuola in un qualche villaggio di provincia, e che, talvolta, per raggiungerla, devono percorrere chilometri al gelo a causa dei mezzi di trasporto desueti, precari, che spesso, proprio per via del freddo, si rompono.

In alcune zone della Federazione le infrastrutture scolastiche presentano degli enormi svantaggi, come ad esempio la mancanza dei sanitari. I ragazzi per andare al bagno devono uscire in cortile, che facciano 20 o -20 gradi, entrare in una cabina di legno con all’interno una fossa che va regolarmente svuotata, e che ovviamente, nessuno vuole essere il fortunato a doverlo fare, motivo per il quale spesso sono praticamente inagibili.

A scuola, come in qualsiasi altra istituzione, è quasi impossibile trovare installazioni che agevolino gli invalidi.

La Russia non è un paese per invalidi. Il tabù è rimasto dal comunismo.

Come disse un ufficiale sovietico nel 1980, quando gli fu chiesto dal comitato para-olimpiaco internazionale se fosse possibile che l’Unione Sovietica ospitasse le para-olimpiadi:

“Non ci sono invalidi in URSS.”

L’utopia di una società perfetta, dove la disabilità e l’invalidità sono viste come una debolezza, come parassitismo e come rallentamento produttivo, è ancora per un certo verso radicata, nonostante l’ex presidente Medvedev, nel 2012, firmò la Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità.

L’adesione alla convenzione ha cambiato poche cose all’interno del paese.

Ancora oggi, negli ospedali, alla nascita di un bambino con problemi di salute fisica o mentale, vi è la possibilità di abbandonarlo o di internarlo.

Gli abbandoni di neonati invalidi o affetti da malattie rare avvengono regolarmente, non per spregevole crudeltà, ma per disperazione, dato che il paese offre pochissime possibilità a chi nasce in queste condizioni.

Chi è invalido non ha la possibilità di frequentare una scuola, e vive spesso da recluso in casa, o in istituti dove capita diventino vittime di abusi, violenza e negligenza sanitaria da parte del personale.  Si trasforma in un fantasma, in un invisibile e un dimenticato, come se non fosse mai venuto al mondo.

La previdenza sociale ha un ruolo minimo nella vita russa e non aiuta né sostiene le persone con disabilità, questa mancanza di supporto incrementa il tabù delle malattie mentali e paraplegiche, creando un enorme vuoto intorno alle persone considerati “anormali.”

Ciò avviene anche per gli invalidi di guerra, coloro che hanno combattuto per il proprio paese durante la Seconda Guerra Mondiale, in Afghanistan, in Cecenia o in altre missioni russe. Non ci sono pensioni, sovvenzioni o aiuti per sostenere chi ha perso l’uso delle gambe al fronte o chi ha subito psicopatologie di guerra.

Questo mondo parallelo al lusso tipicamente russo, pacchiano e ostentatore, si materializza a pochi kilometri da Mosca. Non è necessario intraprendere un viaggio con la Transiberiana per vedere la realtà descritta poc’anzi.

Mosca stessa è una città non adeguata a chi soffre di handicap motori e celebrali, e le stesse identiche sorti di chi vive in provincia, capitano a chi risiede nella capitale.

Il gap sociale ed economico russo non è mai stato riempito dalla caduta del comunismo, sebbene ci sia stato un barlume di speranza intorno al 2005, con ciò che sembrava l’inizio di una classe media, che avrebbe favorito il sollevamento delle fasce meno agiate, contribuendo anche a rimpolpare le pensioni scarne in quanto “classe cuscinetto” tra i ricchi e i poveri.

Purtroppo le piccole imprese nate dai primi timidi imprenditori, sono state inglobate dalle grandi società russe, quali GazpromLukoil, o le più importanti società di assicurazioni, spezzando le gambe a chi ha tentato di creare la piccola-media impresa.

Lo scandalo delle tangenti in cui è stato coinvolto Dmitri Medvedev, come di altri esponenti del partito “Russia Unita”, e l’altissimo tasso di corruzione nelle istituzioni pubbliche incrementano un profondo e angosciante malcontento sociale, che è stato preso al balzo dall’opposizione, in particolar modo da Aleksej Naval’ny, regolarmente arrestato alla vigilia di ogni elezione.

L’ondata di proteste nate nel 2011 e che si sono susseguite sino a pochi mesi prima della rielezione del presidente Putin, nel 2018, sono nate proprio da questa realtà muta, di cui nessuno parla e di cui nessuno vuol sentir parlare.

Le tasse pagate dai cittadini russi, seppur più basse di quelle italiane, non si riflettono in nessun servizio pensionistico o di welfare, lasciando alle proprie sorti buona parte della popolazione.

Nonostante la Russia abbia compiuto passi da giganti nel settore del progresso tecnologico, militare, informatico e nella sua fonte di energia principali, gli idrocarburi, per poter vantare il titolo di superpotenza, dovrebbe prima di tutto rimettere in questione la sua politica interna.

Oltre, ovviamente alla risaputa stretta autoritaria sulla stampa e sulla libertà di parola, è fondamentale trovare una soluzione alla precarietà per i 20 milioni di russi che vivono sotto la soglia della povertà.

La difficoltà nel sostentamento della popolazione sta nella distribuzione di essa stessa, sparsa su un territorio che conta undici fusi orari, ogni regione, ogni Repubblica, ha la sua tradizione, la sua cultura e la sua piccola realtà economica, che sia la pesca, l’agricoltura o la pastorizia. Può essere complicato riuscire ad abbracciare le necessità di tutte le comunità, senza togliere all’una per dare all’altra.

La lotta interna contro il terrorismo e contro il potere economico centrato nelle mani degli oligarchi è stata preziosa per la quiete e la sicurezza, più o meno stabile, che adesso si vive nel paese.

Per quanto questi fossero obiettivi primari, rimane in sospeso l’aspetto umano, la dignità di chi ha sempre lavorato, di chi ha subito il trauma psicologico di un cambiamento di regime dall’oggi al domani, adattandosi a condizioni di vita diverse, precarie, dove lo Stato non è più una garanzia di sopravvivenza.

Bisognerebbe inoltre inglobare nella società russa i cittadini invalidi, facendoli sentire parte della Nazione e non fantasmi dimenticati.

Naturalmente, per rimediare a tutti gli effetti ad un miglioramento etico e delle condizioni umane sono necessari finanze solide, ma da dove si possono ricavare i fondi in una Nazione dove il tasso di corruzione è aumentato nel 2017 del 16%, e il denaro per i servizi spesso sparisce misteriosamente?