Destabilizzazione dell’Algeria
Con l’attenzione calamitata da scadenze elettorali e problemi interni al nostro paese stiamo probabilmente dedicando troppo poca attenzione a quanto da qualche tempo sta avvenendo in Algeria.
Una disattenzione resa ancora più grave dal fatto che oltre ad essere uno dei nostri dirimpettai dell’altra sponda mediterranea , e quindi almeno potenzialmente la chiave di una delle possibili rotte di quella emigrazione africana che è da tempo uno dei nostri maggiori incubi , l’Algeria è anche il paese da cui ci giunge una fornitura di gas che è già importante ( 10 % del nostro fabbisogno ) e che costituisce per il momento l’unica alternativa a quanto ci fornisce la Russia .
Nel caso di un inasprimento delle tensioni fra Mosca e l’Occidente , una ipotesi che l’aggressiva imprevedibilità del Presidente americano Trump rende possibile in ogni momento e che del resto risulterebbe molto gradita anche a quella parte dell’Unione Europea che è orientata prevalentemente verso la frontiera nord est del continente , l’Algeria quindi si ritroverebbe caricata di un ruolo , in primo ordine nei nostri riguardi ma anche , sia pure in misura minore , in quelli di parecchi dei nostri partners che più che preziosa ci porterebbe a definirla come insostituibile.
Nonostante questo , e malgrado il fatto che il flusso migratorio africano proveniente dalle coste algerine e diretto principalmente in Sardegna vada a poco a poco intensificandosi – un chiaro segno di come il progressivo deterioramento della situazione politica del paese stia iniziando a produrre nefaste conseguenze – noi rimaniamo inerti tanto a livello nazionale quanto a quel livello dell’Unione Europea che sarebbe forse il più idoneo per portare avanti una azione di adeguate dimensioni , intensità e rilievo.
In parte , ma soltanto in parte , si tratta di un atteggiamento giustificato dal modo in cui non soltanto da noi ma anche da un buon numero dei nostri partners europei l’Algeria è sempre stata considerata a causa dei suoi stretti ed ancor recenti legami storici con la Francia come un problema che , se del caso , avrebbe dovuto interessare in primo luogo i nostri cugini transalpini.
Nell’inerzia di Parigi , che non si muove nonostante il fatto che l’ondata di proteste contro l’incapacità dell’attuale classe dirigente di Algeri di proporre una successione accettabile all’attuale Presidente Bouteflika – grande invalido ormai da troppo tempo – stia progressivamente estendendosi anche alla numerosa comunità francese di origine magrebina , anche noi italiani dovremmo comunque porci almeno un paio di fondamentali domande .
In primo luogo se sia o meno il caso di intervenire prima che il caos in cui sta rapidamente scivolando il paese abbia generato una situazione che a ben sperare potrebbe ricordare quella difficile delle primavere arabe , mentre se si vuole essere pessimisti si apparenterebbe molto da vicino all’incubo libico.
In secondo luogo poi vi è da chiedersi quali potrebbero essere i mezzi più efficaci per un eventuale intervento , nonché i tempi ed i modi con cui esso potrebbe conseguire i risultati desiderati.
Si tratta quindi di far quadrare una equazione che risulta già particolarmente difficile da risolvere . L’Algeria è infatti un paese che è passato soltanto due decenni fa attraverso una guerra civile sanguinosa che ha fatto centinaia di migliaia di vittime ed è terminata soprattutto per stanchezza delle parti e con un gentleman agreement , ovviamente non scritto , che lascia gli estremisti islamici indisturbati nelle loro roccaforti montagnose del sud e liberi di esportare l’instabilità in tutto il Sahel , purché ciò avvenga al di fuori dei confini meridionali del paese.
La dirompente esplosione demografica , e la conseguente impossibilità di fornire un impiego adeguato a tutti i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro ,ha poi portato al calor bianco una situazione che il calo delle rendite petrolifere aveva già reso difficile.
La riduzione degli introiti statali aveva infatti considerevolmente ridimensionato quella politica di sussidi che era stata usata dal Governo , con innegabile efficacia , come il moderatore principale delle tensioni sociali.
Le conseguenze perverse di questi cambiamenti cominciano a vedersi ora , nel tumultuare delle piazze.
Che cosa possiamo fare dunque? Inutile innanzitutto pensare ad un intervento nel settore della sicurezza . In quel dominio l’Algeria , che ha Forze Armate , Corpi di Polizia e Servizi di Intelligence fra i più numerosi ed i meglio addestrati dell’Africa , ha già dimostrato in passato di essere in grado di badare a se stessa.
Gli strumenti che potrebbero efficacemente usati rimangono quindi quelli economici e quelli politici.
In questa ottica una azione congiunta della Unione Europea mirante a sollecitare i vari centri di potere in cui si articola l’oligarchia del paese perché raggiungano al più presto un accordo su una successione a Bouteflika che possa risultare accettabile al paese risulterebbe forse fondamentale.
Essa dovrebbe , ovviamente , essere accompagnata da aiuti economici tali da permettere se non altro al Governo di riprendere con immediatezza quelle politiche di sussidio che come già detto sono state parzialmente sospese negli ultimi tempi.
Si tratta di azioni che eccedono , e di gran lunga , la capacità di un paese singolo e che per di più attraversa , come l’Italia, una congiuntura economica non favorevole. Quello che potremmo fare è però cercare di rivestire un ruolo di promotori di una comune decisione europea a riguardo , magari dimenticando i recenti futili screzi e ricercando una sponda comune con la Francia.
Ciò che dobbiamo soprattutto aver presente è che il tempo disponibile non è molto : in Algeria il Partito che si ispira alla Fratellanza Islamica ha già lasciato la coalizione di governo , probabilmente tentato da altre ipotesi . E se ciò non è un indizio di quanto potrebbe in futuro succedere nel paese…….
* Contributo pubblicato su Limesonline nel Marzo del 2019. Qui riportato integralmente su gentile concessione dell’autore.