Africa

di Giuseppe Cucchi

Dio rende ciechi coloro che vuole perdere …… Suona così un vecchio detto popolare ormai quasi del tutto dimenticato ma che rispecchia comunque in maniera più che appropriata la relazione che lega attualmente l’Africa all’Unione Europea.


Oltre ad essere un gigante ammalato, il continente africano è infatti un gigante alle nostre porte, un vicino da cui ci separa soltanto una striscia di mare tutt’altro che invalicabile .

Per di più si tratta di un gigante cui la geografia ha concesso un unico sfogo possibile, circondandolo di oceani tanto vasti da far sì che, allorché erutterà, il vulcano possa eruttare soltanto verso nord. In direzione cioè dell’Europa!


Dalla decolonizzazione in poi, a parte qualche rara eccezione , le condizioni dei paesi africani sono andate costantemente peggiorando , mentre ai mali tradizionali , malattie ,  guerre , colpi di stato  , regimi militari , assurda definizione delle frontiere , nessun controllo delle nascite , assenza di una governance idonea ….. , se ne aggiungevano progressivamente dei nuovi .

Ad esempio il costante saccheggio dei beni nazionali da parte delle elites e di conseguenza la crescente tendenza dei governanti  , espressioni di tali elites , a rifiutare di cedere democraticamente le redini del potere a mandato scaduto . L’esplosione di tensioni interconfessionali e la nascita di vari movimenti di terrorismo fondamentalista , per di più in costante competizione e contrasto fra loro . Il dilagare del crimine organizzato in aree ormai prive di ogni controllo governativo , la rinascita della pirateria , l’intensificarsi dei rapimenti a fini di riscatto . La crescita in alcune zone di generazioni che ormai non conoscono più la pace non avendola mai vissuta , e che quindi considerano guerra e crimine come le uniche possibili fonti di sostentamento …e si potrebbe ancora continuare a lungo!

Ai margini di questa enorme pentola all’interno della quale la pressione diviene sempre più alta , l’Unione Europea continua a rivolgere al continente africano uno sguardo relativamente distratto , considerando  come di proprio interesse soltanto i temi del terrorismo e dei migranti e limitando la propria azione al cercare di rendere le frontiere del proprio continente assolutamente impenetrabili ad entrambi.


Le poche iniziative dirette ad occuparsi realmente della malattia  anziché a cercare di arginare l’esplosione dei suoi sintomi   si sono rivelate sino ad ora assolutamente inadeguate alle dimensioni ed al tipo dei problemi , oltre ad essere state condotte con una discontinuità che ha sottratto loro anche quel minimo di residuale efficacia che avrebbero potuto avere.

Per di più , a rendere lo scenario ancora più difficile e nel medesimo tempo inconcludente , sono insorte anche rivalità e tensioni fra paesi diversi dell’Unione che sembrano conservare ancora del continente africano nonché delle prerogative e responsabilità nazionali europee una visione che sarebbe riduttivo definire soltanto come anacronistica . I contrasti che da tempo oppongono Francia ed Italia su questo argomento sono indubbiamente il peggiore degli esempi a riguardo.

Mentre noi perdiamo tempo in questa maniera ,la tensione interna del continente africano sale verso la linea rossa di sicurezza e si moltiplicano, nel contempo ,   quegli episodi indici di instabilità che dovrebbero almeno metterci in allarme.

Lo Zimbabwe e’ così in preda ad una rivolta del pane, gli  Shahab dilagano dalla Somalia al Kenia , la dinastia Bongo e’ contestata in Gabon , le elezioni in Zaire sono condizionate da un risultato truccato , la Costa d’Avorio e’ di nuovo instabile , il Sud Africa non è più la “nazione arcobaleno ” che sognava la grande anima di Mandela , BoKo Haram da Sud e l’AQMI da Nord insanguinano l’intero Sahel Occidentale ….


A peggiorare le cose si fa sempre più forte nel continente la presenza di paesi come la Cina , l’India , gli Stati Arabi della Penisola che dietro una vetrina di mano tesa praticano da tempo una politica di spoliazione di stile neo colonialista delle risorse africane , cui tra l’altro alcune recenti iniziative , come la cinese “One Belt , One Road” , finiranno presto col conferire dimensioni e ritmo prima inimmaginabili.


Quali siano le azioni con cui l’Unione Europea potrebbe aiutare gli Stati dell’Africa a crescere,  cessando di essere schiavi dei propri problemi , almeno in parte lo si sa da tempo e da tempo se ne discute.

Sul piano culturale il problema è quello della formazione di elites africane adeguate ai tempi nuovi e dotate di un reale spirito di servizio  . Si tratta di un compito che purtroppo i paesi coloniali europei non svolsero o svolsero in maniera inadeguata ai tempi della decolonizzazione e che adesso dovrebbe essere ripreso alla mano.

Su quello economico l’idea della necessità di un piano Marshall africano è da tempo consolidata e quasi universalmente condivisa . Quando però si tenta di passare all’atto pratico le risorse che vengono rese disponibili sono sempre assolutamente inadeguate alle dimensioni continentali del compito.

Sul piano della sicurezza infine il discorso si fa più intricato e se possibile ancora più complesso. L’obiettivo da raggiungere ovviamente è quello di porre ciascun paese africano in condizione di provvedere in proprio alle sue necessità in questo settore. In questo senso l’UE sta già facendo molto , soprattutto se si considera il totale degli interventi “non operativi” dell’Unione e di quelli dei singoli paesi membri.


L’aspetto del problema che invece ci rifiutiamo assolutamente di affrontare e’ quello del cosa fare sino a quando gli africani non saranno pronti.

Aiutarli ? E in quale misura ? Con quali forme ? Affrontando poi quali livelli di rischio?

Si tratta di domande fondamentali poiché quando i problemi si fanno gravi si arriva sempre ad un punto oltre il quale i mezzi della economia e della diplomazia non riescono ad andare . Promettere aiuti e sviluppo o indurre  le parti a sedersi intono ad un tavolo ed a siglare un accordo va bene , ma ciò può non servire a nulla in assenza di un potere che sia disposto a garantire il rispetto di quanto concordato con la propria presenza e la propria forza , almeno  sino a quando la sicurezza non sarà consolidata.

E’ un ruolo che sino a tempi recenti e almeno nelle aree di interesse prioritario l’Occidente svolgeva sotto la leadership degli Stati Uniti , anche se la maggior parte delle forze impiegate apparteneva alla UE.

Ora gli USA sembrano voler progressivamente abdicare a tale ruolo di guida , soprattutto in aree come l’Africa che considerano periferiche per la loro politica.

Per noi invece l’Africa non è affatto periferica e si configura in un certo senso come il vulcano ormai prossimo ad  eruttare sul cui cratere stiamo seduti.

Dovremmo quindi probabilmente cercare di dimenticare quelle idee cui l’impegno americano , il lunghissimo periodo di pace che abbiamo vissuto ed una mentalità irenica sempre più diffusa ci avevano col tempo abituati.

Ricordandoci , fra l’altro anche noi che la sicurezza è qualcosa che si costruisce giorno per giorno con una opera di costante , oculata e costosa manutenzione che dovrà essere pagata in termini di oro e purtroppo anche di sangue , come ci ricordano ogni giorno le dolorose perdite delle nostre forze di sicurezza interne impegnate nella lotta al crimine.

La storia degli ultimi quaranta anni , anche quella di una potenza medio piccola come l’Italia , ha reso ineluttabilmente evidente come la sicurezza vada ricercata allorché indispensabile anche oltre frontiera , aiutando magari i vicini a spegnere campi in fiamme che potrebbero col tempo attizzare anche presso di noi grandi fuochi.

È il caso della Libia , che ne è l’esempio più evidente ed ove l’azione diplomatica ha da tempo raggiunto i propri limiti . In tale quadro  le ultime iniziative di paesi europei in tal senso si sono rivelate un mero “esercizio” e nulla più , considerato come ai convegni non abbia fatto seguito l’offerta di una reale forza di garanzia . Che si presentasse ovviamente con tutte le regole , vale a dire sotto l’egida dell’ONU e con bandiera dell’Unione , stroncando così sul nascere la ricorrente facile accusa di neo colonialismo.

E’ altresì il caso di molte altre zone dell’Africa ,  in cui l’aggiunta di un peso anche limitato su uno dei piatti della bilancia potrebbe veramente costituire la differenza.

Che vogliamo fare allora ? Siamo disposti a rischiare nell’immediato l’oro ed il sangue che saranno necessari , perdita terribile e deprecabile certamente , ma a volte indispensabile in una logica di scelta che non potendo essere quella del “bene migliore” è necessariamente quella del “male minore” ? O vogliamo restarcene seduti sulla nostra enorme pentola a pressione , attendendo una esplosione che l’inerzia renderà di giorno in giorno sempre meno evitabile?