L’Antiterrorismo dal punto di vista russo

di Clementina Carta

Uno dei punti principali è la condizione che porta a creare il reclutamento di nuovi terroristi, focolai di radicalizzazione che vedono coinvolti gruppi o popolazioni vulnerabili.

Nel Caucaso, a causa dei problemi sociali presenti nella regione, i giovani senza lavoro e senza sbocchi, sono attratti dalle idee propagate da alcuni Imam estremisti della zona. Le stesse famiglie dei ragazzi, possono talvolta esse stesse far parte di gruppi terroristici.

Il governo russo ha bloccato e arrestato gli Imam provenienti da moschee salafite che militavano contro gli “infedeli”, indottrinando e indirizzando verso un tipo d’Islam violento.

Nella Repubblica d’Inguscezia, nel Nord del Caucaso, è stato creato un campo speciale di riabilitazione per i figli provenienti da famiglie i cui genitori facevano parte di gruppi terroristici. I bambini sono stati presi e messi in questi centri con giovani provenienti da nuclei famigliari con disagi sociali che non avevano niente a che veder con l’estremismo religioso, facendoli interagire e reintegrandoli nella società.

In Russia, la propagazione e la militanza d’idee estremiste viene punita con una pena che va dagli otto ai quindici anni di carcere. Una volta scontata la pena, l’individuo viene riabilitato per essere nuovamente integrato nella società evitando il rischio di recare danni a terzi.

L’anti-estremismo e l’anti-terrorismo devono essere un tutt’uno, un’unica lotta che permette di prevenire il terrorismo ancora prima di combatterlo.

Bisogna prevenire e bloccare la disseminazione d’idee estreme e pericolose, gli individui e le organizzazioni che le propagano.

Non si può distinguere tra l’estremismo violento e l’estremismo non violento. Tale riflessione permette di giustificare l’aggressione contro i regimi legittimi, come sta avvenendo in queste ore in Siria. Il sostegno ai così detti “gruppi ribelli” che lottano contro il presidente Assad, è un sostegno a gruppi estremisti che si nascondono dietro la maschera del “dissidente.”

Inoltre, secondo il Diritto Internazionale, è vietato ingerire negli affari di un Stato e di un governo legittimo.

L’anti-terrorismo funziona se vi è una cooperazione tra i Paesi, uno scambio di dati e d’informazioni costante.

Uno dei compiti principali della comunità internazionale e delle Nazioni Unite, è quello di riconoscere una definizione comune di “Estremismo”:

“Una scelta consenziente da parte di un gruppo di persone, o individuale, messa in atto per risolvere alcuni problemi di ordine politico, ideologico, sociale e nazionale tramite la violazione dei valori e delle tradizioni degli Stati e della società, e recando danni ai diritti di un vasto numero di persone.”

Tali violazioni spesso, ma non sempre, includono la violenza, il terrorismo e la propagazione e manifestazione d’idee estreme e radicali.

L’accordarsi su una definizione comune di “estremismo”, permetterebbe una facilitazione nella cooperazione internazionale, velocizzando i termini per la prevenzione a tale fenomeno.

I Governi, soprattutto i membri dell’UE, devono collaborare tra di loro  visto che gli stranieri nella zona Schengen hanno assoluta e libera circolazione, ed inoltre inter-operare con la Russia e con gli Stati Uniti .

Diversi Stati dell’UE, tra cui l’Italia, sono paesi di transito e molti degli individui che vi arrivano non possono essere né individuati né schedati, passando tranquillamente da una Nazione all’altra.

Per evitare la circolazione d’individui pericolosi, possibili fautori di attentati, è necessario un maggiore controllo alle frontiere di ogni Stato Membro e lo scambio di dati e d’informazioni con i governi anche al di fuori dell’UE.

Non vi è solo il Medio Oriento come zona che produce nuovi terroristi. I Balcani, periferia d’Europa, in particolar modo il Kosovo è un focolaio di reclutamento e addestramento di possibili militanti e attentatori.

L’Europa, inoltre, ha al suo interno mine vaganti pronte ad esplodere, spesso a piede libero sebbene siano state schedate come elementi pericolosi, o “fichés S” in Francia.

Gli ideatori di tutti gli attentati avvenuti in Francia e in Belgio dal 2012 sino a maggio 2018 (come per l’attentato di Avenue de l’Opéra a Parigi, messo in atto da un cittadino ceceno residente in Francia) erano schedati con S, eppure, liberi di circolare senza nessuna forma di controllo.

I Foreign Fighters non sono il problema del singolo Stato, ma di tutto il mondo. Spesso lupi solitari, fenomeno che sta dilagando sempre di più, attaccano con le armi più svariate, dagli accoltellamenti per le strade sino a investire la gente con camion, furgoni o automobili.

Il compito della collaborazione internazionale è di bloccarli prima che questi attacchino, e per impedire ciò bisogna prima di tutto inibire, controllando, le idee estremistiche che portano poi ai seguenti atti di violenza.

Gli Stati devono cooperare tra di loro, basandosi su i seguenti principi:

-La necessità di costruire e sviluppare una struttura legale anti-terroristica internazionale, (seguendo le risoluzioni del UN Security Council e l’UN Global Counter-Terrorism Strategy).

-Il riconoscimento del ruolo deli Stati centrali nelle loro competenze nel combattere il terrorismo e l’estremismo, incluso al livello internazionale. Di conseguenza, non intromettersi negli affari dei governi legittimi. Si collabora e non unilateralmente come avviene in molti casi.

L’anti-terrorismo e l’anti-estremismo, non devono essere un pretesto per la violazione e la restrizione dei diritti e le libertà fondamentali. Ciò detto, proteggere l’incolumità della società da tali fenomeni, spesso violenti, è un principio fondamentale tanto quanto la stessa libertà.

Osservare i diritti fondamentali non deve essere una contraddizione, la libertà non deve andare contro la sicurezza e il diritto di vivere in pace.

In Russia e in Bielorussia, i Foreign Fighters che rientrano ai paesi di origine dopo essere stati addestrati da Daesh, vengono automaticamente arrestati. Ciò però, sembrerebbe non avvenire in alcuni paesi occidentali.

La lotta all’estremismo deve sì, essere messa in atto dalla cooperazione tra Stati e dalle singole nazioni, ma anche dalla società civile, incluse figure pubbliche, ONG, media, settore scientifico e la business community.

I media, anche loro, devono migliorare il loro operato bisogna minimizzare il rischio di atti pericolosi. Alla luce degli attentati terroristici avvenuti negli ultimi anni, i giornalisti hanno evidenziato troppo le figure e personalità degli attentatori, divulgandone le fotografie, il passato, la vita e i metodi di uccisione. Pubblicizzare in tale modo la figura di un assassino, può essere molto pericolosa per l’emulazione da parte dei più giovani, spesso vulnerabili, che vedono in queste figure un modello da imitare. Inoltre il mondo è pieno di squilibrati che sperano in un momento di fama, e pur di stare sotto i riflettori farebbero qualsiasi cosa.

I media quindi, per di ottenere audience, enfatizzano l’immagine di un terrorista, elevandolo a uno status che non aiuta minimamente. Bisogna dare meno importanza al criminale e più importanza alle vittime.

Il giornalismo dovrebbe prendere coscienza, in questa fase critica, per tornare ad essere come quello di una volta, descrivere i punti salienti e fondamentali che possono essere utili anche agli Stati e alla società civile per contrastare il terrorismo ed il fondamentalismo ideologico e religioso. Deve necessariamente smettere di rendere il tutto uno show.

L’estremismo, la sua militanza, la sua propagazione ed il reclutamento di nuove teste da indottrinare, avvengono ormai tramite la tecnologia.

Internet è una piattaforma gremita di siti dove l’estremismo islamico viene propagandato con grande facilità. Bisogna evitare ogni sorta di proselitismo della violenza ideologica e religiosa, dei suoi slogan e dei suoi obiettivi.

Bisogna chiudere i relativi siti per monitorare ed escludere l’accesso. Ciò può avvenire grazie a una collaborazione tra servizi di intelligence internazionali.

L’FSB, intelligence russa, dispone di una Banca Dati ricca d’informazioni ed è pronta a condividerla con gli Stati che desiderano collaborare con la Russia alla lotta contro il terrorismo.

“La libertà di espressione” non deve essere un pretesto per non lottare contro il fenomeno dell’estremismo religioso. Ormai su internet tutti possono parlare e tutti possono essere ascoltati, e come ogni fenomeno, anch’esso è una medaglia con due facce.

Permettere la divulgazione di certi siti in nome della libertà di espressione, equivale ad essere complici con la militanza dell’estremismo islamico e con l’indottrinamento di migliaia di individui che potrebbero essere un pericolo per l’incolumità degli Stati, della società e delle persone.

La libertà degli uni termina quando inizia la libertà degli altri. E soprattutto, la libertà non deve essere causa di pericolo.

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Rif. scheda rapporto conferenza dell’OSCE – Roma- maggio 2018.