L’ Italia s’è desta! (Ovvero come, all’improvviso, il Paese matura)
La decisione di dispiegare una forza militare in Libia rappresenta per l’Italia una significativa discontinuità nella sua politica estera, un salto di qualità che non deve essere sottovalutato.
Non è stata un decisione improvvisa, impulsiva; sono vari anni che il governo lavorava sul dossier: prima di tutto cercando l’ombrello dell’ONU e delle sue risoluzioni; poi tentando l’ennesimo coinvolgimento dell’Europa e adoperandosi per l’appoggio americano; inviando le nostre forze speciali in Tripolitania e nel Fezzan, più che altro come risposta a quelle francesi ed inglesi; infine – primi due atti di reale autonomia – riaprendo la sua sede diplomatica a Tripoli e dispiegando un primo contingente militare a Misurata sotto la copertura della protezione all’ospedale italiano. In tutto questo, da sempre opera sul territorio la nostra intelligence, vera risorsa strategica nostra e di tutto l’occidente.
Finora però, per i governi che si sono succeduti la soluzione strutturale al problema Libia passava necessariamente attraverso un approccio multilaterale e multinazionale, non volendo nessuno dei nostri politici rompere con la tradizionale prudenza italica nel fronteggiare le crisi, anche quelle a noi più vicine; aldilà delle dichiarazioni pubbliche, dai fatti pareva quindi inevitabile la nostra attesa per l’ennesimo intervento internazionale di cui noi avremmo solo fatto parte.
La realtà delle ultime settimane ha costretto l’Italia ad agire direttamente: di fronte al caos libico, ai flussi migratori ed all’inerzia dell’UE, al disinteresse delle grandi potenze e di alcune medie come la Germania (per tradizione) ed il Regno Unito (con altre priorità), e con il serio rischio di un altro disastro ad opera della Francia (con grande soddisfazione di altri attori, quale l’Egitto di Al Sisi), il nostro governo ha rotto gli indugi, ha finalizzato un piano d’intervento già abbozzato da tempo, ha accettato la tempestiva richiesta di Al Serraj, ed ha lanciato un’operazione militare autonoma – bisogna sottolinearlo, senza reale mandato internazionale e senza alcun supporto ufficiale dai nostri alleati – che nonostante i proclami ufficiali iniziali, si profila di larga scala e di lunga durata; in linea con quanto fanno i francesi in centro Africa e gli americani su vari scenari.
Il salto di prospettiva e di qualità non è banale; rappresenta una maturazione del nostro Paese sotto il profilo della tutela dei suoi interessi geo-politici, economici e, più in generale, strategici di lungo periodo. Indietro non si torna, pena il cadere nel ridicolo ed il sacrificare il nostro futuro, delegandolo definitivamente agli altri. Bisogna ora però fare maturare anche gli italiani, superando definitivamente lo pseudo-buonismo ed il falso pacifismo storicamente imposti al Paese dalla sinistra e da parte del Vaticano (invece, fu proprio Giovanni Paolo II° a suggerire che “con l’uso della forza giusta si può contrastare la violenza ingiusta”) , e comodamente sfruttati dalla maggioranza dei nostri politici; spiegare cos’è in gioco e cosa si intende fare su questo scenario, nonché nelle altre aree che ci interessano; e dotare le nostre strutture, prime fra tutte la diplomazia, l’intelligence e le forze armate, delle risorse necessarie ad una media potenza che intende tutelare i propri interessi dagli avversari, ma anche da qualche amico.
Pievepelago, 8 agosto 2017.