Magreb: “chasse gardee”

di Giuseppe Cucchi

C’è un termine francese, “chasse gardee” (zona di caccia riservata) che indica molto bene il modo in cui i francesi considerano l’intero Magreb Arabo, dalla Mauritania a sud est alla Tunisia, e fors’anche alla Libia, ad Ovest. Per loro esso è una zona di esclusiva competenza della Francia. È stato così per tutta la durata dell’epoca dei grandi imperi coloniali. Lo è ancora adesso, in un periodo in cui le dominazioni coloniali sembrano storia lontana ma in parecchie parti dell’Africa sopravvivono ancora forme di presenza europea che altro non si possono definire che “neocoloniali”.

La preoccupazione francese era forse giustificata alla fine dell’Ottocento, allorché la rivalità fra l’Italia, la Spagna e la Francia appunto per il predominio in tale area era particolarmente accesa, mentre ad una Parigi in cerca di riscatto bruciava ancora la feroce umiliazione della debacle del 1870, conclusasi con la rovinosa disfatta di fronte alla Germania. Resa poi peggiore dalla puntura di spillo inflitta da una Italia che aveva approfittato della rovina transalpina per occupare lo Stato Pontificio che le baionette francesi non erano più in condizione di garantire. Sconfitta in Europa, la Francia si era così rifatta nel Magreb, ed in particolare in Tunisia, imponendo al Bey di Tunisi un Trattato del Bardo con cui iniziava la occupazione coloniale del paese malgrado la presenza in territorio tunisino di una numerosissima colonia di immigrati italiani e malgrado il fatto che l’Italia, in particolare il Ministero Cairoli, non avesse mai fatto mistero delle aspirazioni italiane su quel paese. Da segnalare comunque, a scusante dei francesi, come la geografia imponesse particolari cautele ai transalpini. Il completo controllo da parte italiana delle due sponde opposte, tunisina e nazionale, del Canale di Sicilia avrebbe infatti nettamente separato i due bacini del Mediterraneo rischiando di rendere malagevole per la Francia l’accesso a quel levante arabo in cui Parigi contava ancora molto. Da quel momento comunque i rapporti fra Italia e Francia in ambito africano presero una pessima piega e furono caratterizzati da una permanente ostilità che ancora oggi stiamo in parte scontando.

Nella sua lotta contro l’Italia il Negus abissino Menelik godette infatti appieno dell’appoggio dei francesi che lo rifornirono costantemente di armi, puntualmente poi usate contro di noi, e approfittarono della nostra sconfitta di Adua per intensificare la loro penetrazione commerciale In Etiopia. Nel 1911 poi, ai tempi della Guerra di Libia,i francesi ce li trovammo di nuovo contro, pronti a sostenere i turchi e la Confraternita dei Senussi che si opponevano alla nostra conquista tanto politicamente che con la fornitura e la vendita di armamenti. Sempre in Libia non andò meglio nei venti anni successivi, tanto è vero che avemmo una lunghissima diatriba per la definizione del confine fra Libia e Ciad che si concluse con un nulla di fatto ed una zona di sovranità indeterminata – la striscia di Auzu – grande quanto un terzo dell’Italia e oggetto in tempi successivi di un conflitto fra due paesi indipendenti che vide la sconfitta di Gheddafi e la cattura da parte dei ciadiani del Generale Haftar che allora comandava le forze del colonnello. Non scordiamoci poi come la prima azione di guerra della Francia Libera di De Gaulle sia consistita nella conquista ad opera del Generale Leclerc dell’oasi di Cufra, strappata a forze italiane e come sempre Leclerc, appoggiato entusiasticamente da Parigi, si sia battuto dopo la fine del conflitto perché a Roma non venisse affidato un periodo di amministrazione fiduciaria per la Libia sul modello di quello già deciso dalle Nazioni Unite per la Somalia.

Tenendo tutto questo in mente diviene forse più agevole comprendere il ruolo che la Francia ha giocato e sta giocando nella crisi libica con la spregiudicatezza che ha sempre contrassegnato la sua politica africana e che le consente, di volta in volta ed a seconda della situazione e del tornaconto del momento, di presentarsi come Stato sovrano autonomo o come membro della Unione Europea. Una crisi tra l’altro, di cui la Francia porta sulle proprie spalle gran parte della responsabilità. Al di là di tutte le ipotesi fantasiose e riferite a singole persone che sono state avanzate a suo tempo, sembra infatti adesso quasi sicuro il fatto che essa sia stata innescata dalla paura transalpina per il prestigio e l’influenza di cui Gheddafi cominciava a godere anche nella cosiddetta Comunità dell’Africa Francofona nonché dal potenziale danno economico che avrebbe subito il franco francese africano qualora fosse stata sviluppata la moneta unica proposta dal Colonnello all’Unione Africana e che sembrava sul punto di essere adottata.
Ovviamente, come hanno dimostrato anche gli avvenimenti successivi, dai calcoli francesi on era estranea una componente politico strategica, vale a dire l’idea di sanare dopo cento anni la ferita causata dalla occupazione italiana del 1911 riportando Tripoli e Bengasi – anche essi una parte del Magreb, importante benché periferica – nell’ambito della “chasse gardee” francese. Un proposito cui si associava poi anche un disegno economico, centrato su una Elf Total destinata, secondo le speranze transalpine, a ereditare il posto dell’ENI in terra libica.

Così nell’intricato gioco delle fazioni locali Parigi non si era mai chiaramente schierata fino ad oggi. Come membro delle Nazioni Unite e della Unione Europea essa continuava infatti a sostenere ufficialmente il Presidente Serraj, evitando comunque tutte le forme di coinvolgimento che le sembrassero troppo impegnative e troppo dirette. Nel contempo però le sue truppe speciali ed i suoi mezzi addestravano ed appoggiavano le azioni del Generale Haftar, cosa che la schierava nel medesimo campo di Egitto, Arabia Saudita e forse Russia. Proprio i paesi che oggi plaudono all’iniziativa del Presidente Macron di invitare i due rivali a sedersi intorno ad un tavolo a Parigi il prossimo 25 luglio per cercare di definire un accettabile compromesso. Anche se ci si augura che la mossa possa avere un favorevole esito per la Libia, non si può non rimarcare come essa danneggi fortemente l’immagine dell’Italia e tutto ciò che eravamo riusciti a fare sino ad oggi con il nostro impegno in quel paese per consolidare una linea che era quella concordata in ambito Nazioni Unite ed Unione Europea e nel cui ambito tutti i nostri partner, Francia compresa, ci avevano garantito che la leadership sarebbe stata italiana.

Promesse da marinaio? Forse si, visto che all’atto pratico la politica di Parigi non è affatto quella europea che tutti speravamo dal neo Presidente Macron, ma bensì quella di un ritorno della Francia a velleitarie illusioni di grande potenza che speravamo fossero state dimenticate dai nostri cugini d’oltralpe…ma forse certi difetti sono destinati ad attenuarsi solo molto lentamente senza in realtà arrivare mai a scomparire del tutto!


* Contributo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 24/07/2017
Qui riportato integralmente su gentile concessione dell’autore.