Politica italiana in Africa

di Giuseppe Cucchi

A volte la storia ha le sue ironie….magari pesanti! Fra tutte le potenze europee coinvolte nell’avventura coloniale l’Italia è stata infatti l’unica che non sia mai riuscita ad essere presente nell’Africa nera. Ci siamo andati vicini con la Somalia, che però si considerava araba, e poi con la conquista dell’Etiopia, che però era quasi bianca e cristiana, ed in più il nostro dominio là è durato giusto il tempo di un sospiro!
Ciononostante in questo momento è soltanto sull’Italia che si riversa dall’Africa nera ondata dopo ondata di migranti. Che a dire la verità privilegerebbero magari altre destinazioni, salvo dover riscontrare come esse siano almeno momentaneamente interdette da un egoismo cieco e stupido che sembra aver contagiato tutti coloro che dall’avventura coloniale europea in Africa nera trassero il beneficio maggiore.
Si tratta di una situazione per molti versi assurda ed è anche giusto che per contrasto noi italiani finiamo con l’inorgoglirci della nostra apertura e disponibilità, soprattutto allorché riscuotiamo elogi come quello del Presidente della Commissione europea, Junker, che sottolinea come in questa occasione “l’Italia stia salvando l’onore dell’Europa”.
Ma quella che noi operiamo è veramente la scelta cosciente di un paese aperto all’altro, al diverso? oppure abbiamo imboccato una via che soltanto la necessità ci costringe a percorrere, nell’assoluta assenza di alternative possibili?
A ben guardare infatti il nostro orientamento appare dettato, almeno in pari misura, da un lato da quel senso di fraternità nei riguardi dei diseredati che per fortuna il popolo italiano ha sempre preservato nel suo DNA più radicato e profondo, riscoprendolo poi nei momenti di grave necessità. D’altro canto invece ci sono da considerare, in parallelo, tutta una serie di fattori che ci renderebbero difficilissimo, se non impossibile, fare altrimenti.
Basterà citarne tre. Il primo è una posizione geografica che vede il nostro paese allungato nel Mediterraneo, quasi un ponte fra Europa ed Asia cui manchi soltanto l’ultima arcata.

 Il secondo è il sommarsi di condizioni politiche che affiancano a governi pressoché inesistenti in una Libia ancora frazionata, governi deboli e del tutto incapaci di decisioni dure ed impopolari in Italia. La rotta delle migrazioni rimane quindi completamente aperta su entrambe le sponde contrapposte.
Soprattutto -e questo è il terzo punto – allorché si considera come l’Italia altro non sia che una media potenza costretta dalle vicende della storia a convivere sullo stesso territorio con una grande potenza, la Chiesa Cattolica, che ha in questo momento alla sua guida un Papa che esce da una famiglia di migranti nonché un Sacro Collegio formato da Cardinali per la maggior parte provenienti da quello che un tempo si chiamava “il terzo mondo”.
Una delle regole di base della nostra politica è così rimasta sempre quella di cercare di non assumere, salvo che in rarissimi casi e con il garantito appoggio della maggioranza degli italiani, posizioni che potessero risultare in netto contrasto con quelle della Chiesa.
Quale sia il nostro atteggiamento attuale nei riguardi dei migranti africani lo indica di conseguenza chiaramente il fatto che alla Farnesina la “delega per l’Africa” sia stata conferita ad un Sottosegretario che è si membro del Governo Italiano ma che nel contempo proviene dalle fila della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione che svolge nell’ambito della Chiesa opera di carità e di diplomazia informale, quest’ultima soprattutto in terra d’Africa.
In simili condizioni è ovviamente il problema dei migranti quello che maggiormente influisce sulla politica italiana nei confronti dell’Africa.

Ad esso si affianca però, almeno da qualche anno, l’idea che il continente possa avere nei prossimi decenni uno straordinario sviluppo, considerati da un lato la spinta inarrestabile della sua demografia, dall’altro la grande ricchezza di risorse naturali di ogni tipo. Un fatto che spiega come i nostri più recenti governi abbiano avviato da circa un lustro una attività di visite di alto livello, di anno in anno più frequenti, che finiscono col toccare quasi tutti i paesi dell’Africa nera divenuti mete di soste ufficiali del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio, accompagnati ogni volta da delegazioni di operatori economici di grande rilievo.
Si tratta in ogni caso di una attività difficile e da portare avanti con grande senso della misura ed estrema attenzione. Una delle caratteristiche dell’Africa nera è infatti quella di essere ancora suddivisa in zone in cui l’influenza di soggetti esterni all’area rimane considerevole. È il caso, se vogliamo riferirsi a legami antichi, degli stati aderenti al Commonwealth e del loro legame superstite col Regno Unito nonché della Comunità dei paesi francofoni e del loro cordone ombelicale con Parigi. Non dimenticando poi il Portogallo, ben presente in area lusofona, specie in Angola. Se invece esaminiamo i legami più recenti possiamo individuare quelli con la Cina ed il mondo arabo, che coinvolgono quasi tutto il continente, senza scordarci come la Turchia abbia la rete aerea più estesa fra quelle che coprono il continente africano. E vorrà ben dire qualcosa, se non altro in termini di mire politiche!
La nostra politica di penetrazione e presenza rischia quindi, se non è portata avanti con discrezione ed estrema accortezza, di scontrarsi con gli ormai consolidati interessi di altri paesi che tra l’altro sono in parecchi casi quelli con cui dovremmo muoverci all’unisono per riuscire a creare nei paesi di provenienza dei migranti le condizioni di base di benessere ed occupazione che sono universalmente riconosciute come l’unico deterrente efficace alla corsa al nord ed al Mediterraneo attualmente in atto .
L’Africa nera ha dimensioni tali da vanificare e rendere trascurabile qualsiasi sforzo che sia portato avanti su scala nazionale da una media potenza delle dimensioni dell’Italia. Ogni volta che essa è’ coinvolta in qualche problema i numeri assumono infatti immediatamente rilevanza biblica: la sola crisi della siccità nel Corno d ‘Africa rischia così di coinvolgere quest’anno circa venticinque milioni di persone!
Soltanto un gigante quindi può sperare di aiutare efficacemente un gigante e nel nostro caso questo gigante è facilmente identificabile con l’Unione Europea.
Noi lo abbiamo capito da tempo ed infatti è sin dall’inizio che abbiamo da un lato ricercato una gestione congiunta delle rotte dei migranti in Mediterraneo mentre dall’altro abbiamo giocato una parte importante nel fare approvare a Bruxelles quel “migration compact” che dovrebbe contribuire ad avviare lo sviluppo all’origine.
Come abbiamo anche capito, grazie al disastroso esempio libico, cosa possa succedere allorché una o più forze estranee ad una area o ad un paese cercano di imporre loro interessi economici, incuranti della delicatezza e della vulnerabilità del tessuto sociale su cui intervengono. Sperando anche, in ogni caso, che ciò sia stato ben compreso anche dagli altri, in particolare da Francia e Regno Unito!