Il ruolo dell’energia nel sistema economico-politico venezuelanos
di Gianluca Pastore
Il Venezuela non è solo uno dei paesi più importanti dell’America Latina ma è anche uno degli attori principali nel settore dell’energia. Il presente elaborato analizzerà quindi il settore energetico venezuelano, evidenziandone le caratteristiche e sottolineando come le influenze politiche abbiano inciso sulle scelte di policy in tema di energia. La parte principale della tesi riguarderà il settore petrolifero con un’annessa descrizione delle altre fonti ovvero gas ed elettricità. Infine vi sarà un commento sull’attuale situazione politico-economica venezuelana, sottolineando come il basso prezzo del petrolio stia causando una grave crisi economica che potrebbe portare ad un cambio di regime.
Il Sistema Energetico Venezuelano
“Io, davanti al paese e davanti a voi, mi assumo la responsabilità di questo movimento militare bolivariano[1]”. Con questo proclama del 4 febbraio 1992 nacque quel movimento guidato da Hugo Chavez, che durante il fallito colpo di Stato tentò di prendere le redini del Venezuela[2]. Successivamente nel 1998 tramite libere elezioni, Chavez venne eletto presidente e tramite la dottrina chavista[3] cambiò il volto del paese latino-americano.
Petrolio
Il Venezuela non è un paese come tanti altri, è membro fondatore dell’OPEC ed è un global player nel settore della produzione ed esportazione di petrolio. Ne è il primo esportatore verso gli Stati Uniti, fattore che ha influenzato la politica interna venezuelana sia prima di Chavez sia dopo con il tentato golpe del 2002. La politica energetica “bolivariana” ha avuto come obiettivo il finanziamento di programmi sociali, invece di reinvestire le rendite petrolifere nell’esplorazione, produzione o manutenzione delle infrastrutture. Nel 2014 sono stati consumati 3.3 quadrilioni di Btu[4] (British thermal unit), di cui per la maggior parte derivanti dal petrolio e gas. L’idroelettrico rappresenta meno del 25% della domanda totale e il Carbone meno dell’1%.
Il Venezuela ha le più grandi riserve accertate di petrolio del mondo, in particolare 298 milioni di barili. Al secondo posto troviamo l’Arabia Saudita con 268 milioni di barili e il Canada con 173 milioni. Nel 1970 come negli altri paesi produttori è stata nazionalizzata l’industria petrolifera con la creazione della Petroleos de Venezuela (PDVSA). Essa è divenuta il maggior datore di lavoro nonché concorre in larga parte alla formazione del PIL. Negli anni ’90 si era tentato di liberalizzare il settore petrolifero ma con l’arrivo di Chavez, la partecipazione dello Stato nel settore è aumentata. In chiave antimperialista e anticapitalista sono state aumentate le tasse e le royalties, la PDVSA inoltre doveva avere la maggioranza di ogni joint venture per ogni investimento nel campo dell’estrazione/produzione di petrolio.
Come accennato precedentemente, il tentato golpe del 2002 è derivato da uno scontro tra i dipendenti della PDVSA e il governo per la volontà da parte del secondo di avere un maggior controllo sulla compagnia statale. Infatti successivamente venne ristrutturata la governance dell’azienda rendendola di fatto alle dipendenze del governo, creando però una perdita di know how che ne ha penalizzato l’efficienza. Nel 2006 è stato nazionalizzato il settore dell’esplorazione e produzione ed è stata aumentata la partecipazione minima della PDVSA alle joint ventures al 60%. Causando quindi un riassestamento del settore con multinazionali come Chevron ed ExxonMobil che accettarono le nuove condizioni mentre Total e Eni uscirono dal mercato venezuelano. Il successore di Chavez, Nicolàs Maduro, ha seguito questa policy cercando però di aumentare gli investimenti esteri.
La U.S. Energy Information Administration ha stimato che la produzione giornaliera di petrolio e altri liquidi ammonti a 2,69 milioni di barili al giorno. Il petrolio grezzo e i condensati rappresentano il 90% della produzione mentre il gas naturale e i prodotti ottenuti dai processi di raffinazione sono il 10%. Notevole è quindi la produzione petrolifera del Venezuela, essa ha raggiunto il suo picco di produzione durante la fine degli anni ’90. Durante la crisi tra il Governo e la PDVSA del 2002-03 vi è stata una perdita di expertise tale da far diminuire fino a oggi la produzione petrolifera nazionale, a ciò ha anche contribuito usare i profitti ottenuti dalla vendita di idrocarburi per garantire il welfare anziché investire nella manutenzione ed aggiornamento delle infrastrutture. Nonostante questi usi impropri della politica petrolifera venezuelana, al 2014 il paese latinoamericano è il dodicesimo produttore più importante di petrolio nel mondo e il quinto nel continente americano dietro a Stati Uniti, Canada, Brasile e Messico.
Il petrolio Venezuelano è tra i più pesanti in commercio secondo il grado API[5], infatti la maggior parte del petrolio viene trasportata in speciali raffinerie nazionali ed internazionali per essere raffinato. Il bacino principale di produzione è la zona di Maracaibo, nella quale è presente quasi la metà della produzione nazionale di idrocarburi.
La Striscia di Orinoco
La zona compresa tra Boyaca e Carabobo detta “Striscia di Orinoco” può contenere fino a 513 miliardi di barili di petrolio grezzo[6], ma avendo un grado API elevato i costi di estrazione e raffinazione sono più alti. La Stricia si espande per 22,000 miglia ed è divisa in 36 blocchi posizionati all’interno di 4 aree: Boyaca, Junin, Ayachucho e Carabobo. Oltre alla PDVSA sono presenti in joint venture le maggiori compagnie petrolifere come BP,Chevron, China National Petroleum Corporation, Eni, Petrobras, Statoil e Total. Come ricordato, il petrolio venezuelano ha un grado API molto elevato, per cui per poter sviluppare al meglio le sue potenzialità è necessario o miscelare il petrolio “pesante” con uno “leggero” o migliorarlo tramite dei processi chimici. A tal fine sono necessari notevoli investimenti ma i fondi nazionali scarseggiano, a questo scopo la PDVSA è alla ricerca di 23 miliardi di dollari di finanziamenti per poter sviluppare l’area di Orinoco e aumentare la produzione con i partner stranieri. |
Commercio e Raffinazione
Il Venezuela è stato da sempre uno dei più importanti esportatori di petrolio al mondo. Secondo stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia la “Repubblica Bolivariana” è stata il quarto fornitore di petrolio grezzo degli Stati Uniti ma, a causa della perdita di competitività del settore petrolifero[7] tale quota è diminuita. Creando quindi il paradosso che le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate, passando da un minimo di 14.000 barili al giorno di una decade fa ai 76.000 del 2014. La maggior parte di queste importazioni riguardano oli esausti usati per la miscelazione con il petrolio grezzo. In ogni caso nel 2014 il Venezuela ha esportato verso gli Stati Uniti 789.000 barili al giorno posizionandosi dietro Canada, Arabia Saudita e Messico.
Altri mercati importanti per il petrolio venezuelano sono la Cina e l’India. L’AIE ha stimato che nel 2014 sono stati esportati 300.000 barili al giorno a Nuova Delhi e 218.000 a Pechino. L’export verso la Cina è notevolmente cresciuto soprattutto grazie ad un accordo prestiti/petrolio in cui la Repubblica Popolare ha versato fin dal 2007 56 miliardi di dollari[8]. Altra iniziativa molto importante portata avanti da Chavez è stata Petrocaribe[9], con la quale si è usata l’arma del petrolio al fine di creare un blocco di paesi compatto sulle posizioni venezuelane. Ad oggi a causa dei bassi prezzi del petrolio, quest’iniziativa collegata anche ai contratti ventennali conclusi è diventata molto onerosa.
Al 2014 il Venzuela ha avuto una capacità di raffinazione di 2,6 milioni di barili al giorno, di cui 1,3 milioni concentrati nel mercato domestico e tutti realizzati dalla PDVSA[10]. I maggiori centri di produzione sono: il Paraguana Refining Center (955.000 bpd), Puerto de la Cruz (195.000 bpd) El Palito (126.900 bpd) e San Roque (5.200 bpd). Ma a causa degli scarsi investimenti il volume di produzione è andato diminuendo, per non contare gli incendi, come quello avvenuto presso la raffineria Amuary in cui sono morte più di 40 persone e che ha bloccato una parte della produzione del Paraguana Refining Center. Ad oggi le raffinerie presenti nella penisola di Paraguana potrebbero produrre fino a 1 milione di barili al giorno ma la produzione si attesta al 50% della capacità produttiva[11]. I maggiori centri di produzione estera sono presenti negli Stati Uniti Lake Charles in Louisiana, Corpus Christi in Texas e Lemont in Illinois) e in Europa tramite la controllata PDV Europe B.V.
Il Gas Naturale
Le riserve venezuelane di gas al 2014 si attestavano a 196 trilioni di metri cubici al giorno, le più grandi delle Americhe e seconde solo a quelle statunitensi. Nel 2014 il Venezuela ha prodotto 773 miliardi di metri cubici di gas naturale consumandone però 838 miliardi. Acquirente principale è l’industria petrolifera che utilizza il gas per sostenere la produzione dei pozzi petroliferi. Inoltre a causa del declino naturale dei pozzi, l’uso di gas è aumentato del 29% rispetto al 2005. Per cui il settore industriale, residenziale e commerciale devono limitare la loro domanda di energia. A tal fine il Venezuela importa gas dalla Colombia e sono in programma investimenti per sviluppare la produzione nazionale.
A dispetto del settore petrolifero dove la normativa stringente e il ruolo dello Stato limitano la concorrenza, nel settore del gas naturale questo non è presente. Infatti ai privati è concesso agire in autonomia per la fase dell’esplorazione/produzione. Inoltre sia il livello di tassazione che di royalties da pagare è basso (in relazione ai progetti di estrazione). Il ruolo della PDVSA si manifesta solo quando si passa alla fase commerciale in cui l’azienda statale ha la facoltà di detenere il 35% delle quote. In ogni caso esistono diversi operatori privati come Repsol-YPF, Chevron e Statoil. La PDVSA rimane però il più grande produttore nonché distributore di gas naturale.
Uno dei problemi principali del Venezuela è che la maggior parte delle riserve di gas sono associate ai pozzi petroliferi, questo ha comportato una mancanza di expertise per quanto riguarda lo sviluppo di riserve in cui non è presente anche il petrolio. Infatti questo tipo di riserve si trova lungo la costa venezuelana dove la PDVSA sia per mancanza di fondi che di know-how ha devoluto lo sviluppo del settore a multinazionali straniere. Nella costa orientale del Venezuela sono presenti compagnie straniere come la Total, Statoil e Chevron che operano sulle piattaforme Deltana, Marsical Sucre, Blanquilla-Tortuga. Nel nord ovest invece sono presenti Gazprom e Chevron che pianificano sui futuri sviluppi del Golfo di Venezuela. Onshore invece la PDVSA si occupa di sviluppare la capacità dei siti esistenti come l’Anaco, il Barrancas e lo Yucal Placer. Nel luglio 2015 sono incominciate le estrazioni dal campo di Perla[12] situato nel Golfo di Venezuela in cui l’output di produzione ha raggiunto i 150 milioni di metri cubici al giorno, con l’aspettativa di raggiungerne i 450 entro la fine del 2015[13]. Nonostante questi obiettivi importanti vi è una mancanza di fondi che penalizza lo sviluppo di questi progetti, come la creazione del Deltana terminal LNG[14] che sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2014 ma la cui apertura è stata prorogata[15].
Per concludere, sono in programma investimenti per aumentare la capacità di trasporto dei gasdotti. Il Venezuela possiede 44 mila chilometri di infrastruttura di trasporto a cui si aggiungono i 305 chilometri dell’Interconnection Centro Occidente. I progetti attuali prevedono investimenti per aumentarne le interconnessioni al fine di rendere più facile sia la distribuzione di gas per usi interni sia per lo sviluppo dei pozzi petroliferi. Questo progetto in prospettiva farebbe aumentare la produzione giornaliera di gas naturale di 520 milioni di metri cubici. Un altro progetto in costruzione è il gasdotto Sinor che si dovrebbe estendere per 480 chilometri per trasportare il gas prodotto offshore alla rete nazionale attraverso gli stati di Sucre e Anzoategui.
Elettricità e altre fonti
Nonostante la massiccia presenza nel mix energetico del petrolio, l’energia elettrica ha comunque un ruolo importante per l’economia venezuelana. Nel 2012 Il Venezuela aveva una capacità installata di 26 gigawatts. Il 65% dell’energia elettrica prodotta proviene dall’idroelettrico e la restante parte dai combustibili fossili. Tra il 2003 e il 2012 il consumo di elettricità è aumentato del 49% mentre la capacità installata solo del 28%, cosa che ha portato ad un sovraccarico delle linee esistenti. Infatti tra il 2009 e il 2010 l’ex presidente Chavez ha dovuto emanare lo stato di emergenza per la mancanza di elettricità e implementare policies al fine di diminuire la domanda di energia elettrica.
Il settore è controllato dalla National Electricity Corporation, holding di proprietà statale. Essa si occupa di tutta la catena di distribuzione tramite il controllo di tutte le maggiori compagnie elettriche venezuelane. La Electrificacion del Caroni fornisce più del 70% del fabbisogno elettrico del Venezuela ed è controllata dalla CORPOELEC.
I maggiori centri di produzione sono posizionati lungo il fiume Caroni nella regione della Guyana. La centrale Guri situata lungo il fiume è una delle più grandi al mondo, fornisce 10.200 megawatt e provvede per larga parte alla domanda di energia elettrica del paese. Il resto è fornito da centrali a gas e da centrali a olio e diesel.
La fine di un Ciclo?
La crisi dei bassi prezzi del petrolio ha intaccato pesantemente l’economia venezuelana. Negli ultimi due anni il suo Pil ha subito una flessione del 14%[16]. Il presidente Nicolas Maduro ha intrapreso l’ennesima svalutazione del Bolivar[17] e ha imposto un aumento del prezzo dei carburanti del 6.000% per far fronte alla crisi economica. A ciò si deve aggiungere anche la possibilità da parte delle opposizioni di richiedere un referendum per rimuovere il presidente Maduro.
Ma questa crisi non dipende solamente dai bassi prezzi del petrolio, sono stati un insieme di fattori che hanno portato il Venezuela sull’orlo del collasso. Da circa quindici anni vi è un’inflazione tra le più alte di tutte le nazioni latino americane, dovuta ad una spesa pubblica incontrollata che aveva come obbiettivo finanziare i programmi populistici e assistenziali voluti da Chavez. Inoltre vi è stato un crollo della produzione nazionale dovuto ai mancati investimenti e alla presa di controllo da parte del Governo della PDVSA, che ha portato il Venezuela a importare combustibile dagli Stati Uniti.
Per porre rimedio a questa situazione sono stati concordati dei prestiti con la Cina per 45 miliardi di dollari e sono state stampate migliaia banconote. Per difendere il proprio bacino elettorale Chavez ha scelto la formula del congelamento dei prezzi facendo però si che si creasse una penuria di beni di prima necessità, come la famosa “carestia della carta igienica”.
Tutto questo ha portato ad un tracollo del Pil procapite venezuelano, nel 2014 si è posizionato al quinto posto dietro Cile, Cuba, Uruguay e Panama. Nel 2005 il Venezuela aveva il Pil procapite più alto dell’America Latina.
Per la prima volta nelle elezioni di dicembre, dopo 17 anni le opposizioni hanno battuto il Partido Socialista Unido de Venezuela[18] conquistando i 2/3 della camera[19] fattore che può permettere loro di indire un referendum sulla permanenza del presidente in carica[20]. Maduro vedendo limitate le proprie possibilità di manovra ha quindi accusato il settore privato di condurre una guerra economica contro il governo e ha decretato lo stato di emergenza economica. Quest’azione comporta più poteri per l’esecutivo e la sospensione delle libertà economiche. Inoltre sono state attuate una varietà di azioni antidemocratiche come: la sostituzione di 13 dei 32 magistrati della Corte Suprema che, a seguito delle votazioni hanno impugnato l’elezione di 3 parlamentari al fine di diminuire il peso della maggioranza; è stato creato un parlamento parallelo non eletto e composto solo da chavisti svuotando di fatto i poteri dell’Assemblea; l’approvazione prima delle elezioni di un bilancio che ha favorito pesantemente gli alleati del governo.
Il Chavismo oggi come il castrismo e il peronismo prima basano la loro legittimità al di fuori dell’ordine liberale. Il popolo viene inteso come una comunità unanime, la rivoluzione come una redenzione dal male che segna la liberazione da quei pericoli che gravano sul popolo e sulla nazione. Viene quindi continuamente perpetuato uno scontro del popolo con l’oligarchia, della rivoluzione con la controrivoluzione, della nazione contro l’impero. In questo contesto quindi è molto facile il passaggio ad una guerra civile. Il regime infatti sfrutta questa situazione per creare un nemico che gli consenta di tenere unito il popolo, invocare un pericolo incombente che serva a far fare un passo in avanti alla rivoluzione. Maduro quindi cerca uno scontro diretto sapendo che, una reazione violenta della piazza, una dichiarazione golpista dell’opposizione o un intervento dell’amministrazione Obama calzerebbero a pennello per i suoi obiettivi.
I paesi vicini possono avere un ruolo molto importante per convincere governo e opposizione a rispettare le regole democratiche del confronto politico. Sia l’Unasur che il Mercosur di cui il Venezuela è membro hanno adottato una clausola democratica che può essere attuata in caso di rottura o minaccia dell’ordine democratico, di violazione dell’ordine costituzionale o qualunque situazione che possa mettere a rischio la democrazia. Se ci fosse quindi un golpe sia l’Unasur che il Mercosur potrebbero sospendere la membership del Venezuela, chiudere le frontiere, limitare il commercio e adottare sanzioni politiche e diplomatiche.
In conclusione possiamo dire come la situazione del Venezuela tenderà a peggiorare, la Banca centrale del Venezuela ha perso 7 miliardi di dollari in pochi mesi e ha riserve che ammontano a meno di 14 miliardi. Il 26 febbraio scorso è stata pagata una prima rata di 2,3 miliardi di dollari di debito, ne restano però 8 in scadenza fra agosto e novembre 2016. Per cui sia una bassa crescita economica che un mancato rimbalzo dei prezzi del petrolio, potrebbero invece dell’opposizione far saltare il governo Maduro.
[1] Bolivariano deriva dal termine Bolivarismo, visione politico-istituzionale attuata da Simòn Bolìvar per l’indipendenza di Venezuela, Perù, Bolivia ed Ecuador. Il Bolivarismo ha come obiettivo la creazione di un’unione politica dei paesi e delle società latinoamericane avendo sempre come fine la creazione della Grande Colombia, confederazione che esistette dal 1819 al 1831 e dalla cui dissoluzione nacquero gli attuali stati di Colombia, Venezuela, Ecuador e Panama.
[2] Il golpe del 4 febbraio 1992 ai danni del legittimo presidente Carlos Andrès Pèrez fu ideato da una parte dell’esercito capeggiata da Hugo Chavez. Pèrez era accusato di essere corrotto e filo statunitense. Il golpe si risolse con 14 morti e 53 feriti e Chávez fu arrestato e imprigionato. Grazie alle simpatie della popolazione ottenute durante la rivolta del Caracazo, si creò un movimento di protesta che portò alla sua liberazione nel 1994.
[3] Il termine Chavismo è stato coniato dagli oppositori della Rivoluzione Bolivariana, periodo coincidente con la sua elezione a presidente nel 1999. La dottrina Chavista è un misto tra il nazionalismo Bolivarista e il socialismo di origine marxista e guevarista.
[4] BP,”Statistical Review of World Energy2015”, http://www.bp.com/en/global/corporate/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html
[5]Il grado API è un’unità di misura utilizzata per indicare il peso specifico (rispetto all’acqua) di una miscela idrocarburica liquida (ad esempio greggio o gasolio). Il cosiddetto petrolio pesante ha un grado API minore di 25. La “pesantezza” del petrolio sta a indicare che tipo di materiali si possono ottenere e quanta energia occorre per poter essere raffinato. Uno dei derivati più importanti del petrolio venezuelano oltre alla benzina e gasolio sono le sostanze bituminose.
[6] USGS, “An Estimate of Recoverable Heavy Oil Resources of the Orinoco Oil Belt, Venezuela”, Ottobre 2009.
[7] La perdita di competitività è da ricollegare al massiccio controllo governativo della PDVSA.
[8] IHS Energy, “Venezuela need for foreign upstream investment rises” 24 Settembre 2015.
[9] Petrocaribe è un alleanza creata su impulso del governo venezuelano nel 2005 al fine di vendere il petrolio a condizioni più vantaggiose rispetto al mercato. Fanno parte di quest’accordo: Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica, Repubblica Dominicana, Grenada, Guyana, Jamaica, St Lucia, St Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadines, Suriname, Venezuela, Haití e Nicaragua. http://www.petrocaribe.org/ ultima visualizzazione 21/04/2016.
[10] Oil and Gas Journal, “Worldwide Refining Survey 2015”, 1 Gennaio 2015.
[11] Vyas, Kejal, “Venezuela’s Biggest Oil Refinery Confronts Challenges”, Wall Street Journal, 1 Luglio 2015.
[12] Il Consorzio che ha portato a questa scoperta è composto da Eni e Repsol
[13] Economist Intelligence Unit, “Venezuela Energy Report”, August 2015.
[14] Gas Naturale Liquefatto
[15] Economist Intelligence Unit, “Venezuela Energy Report”, August 2015.
[16] ISPI, “Il Venezuela raschia il fondo del barile”, 18 febbraio 2016.
[17] Moneta nazionale del Venezuela
[18] Il partito dell’ex presidente Chavez e dell’attuale presidente Maduro.
[19] Nelle elezioni del 6 dicembre la MUD (Mesa de Unidad Democratica) che raggruppa le varie forze dell’opposizione ha ottenuto 99 seggi contro i 46 del PSUV.
[20] La Costituzione permette che dopo tre anni di mandato presidenziale, che ha una durata di 6 anni, possa essere chiesto un referendum di revoca del mandato. Il numero di seggi può quindi permettere alla Camera di indire un referendum sulla permanenza del presidente o di stabilire una costituente. Può inoltre approvare una legge di amnistia che permetta di liberare gli oppositori politici come Leopoldo Lòpez che sta scontando in carcere una pena di 13 anni.
Bibliografia
- Bonalumi G. – “Dopo l’Argentina, anche il Venezuela si avvia alla fine di un ciclo?”, ISPI, 9 dicembre2015
- British Petroleum – ”Statistical Review of World Energy 2015”
http://www.bp.com/en/global/corporate/energy-economics/statistical-review-of-world-energy.html - Dellera M. – “Venezuela: default in vista per il debito sovrano”, ISPI 20 aprile 2016.
- Economist Intelligence Unit – “Venezuela Energy Report”,agosto 2015.
- IHS Energy – “Venezuela need for foreign upstream investment rises” 24 settembre 2015.
- ISPI – “Il Venezuela raschia il fondo del barile”, 18 febbraio 2016
- Mori A. – “Inflazione, povertà e petrolio: i mali dell’economia venezuelana”, ISPI, 5 marzo 2014
- Mori A. – “Venezuela: un’economia al collasso”, ISPI, 3 marzo 2015.
- Oil and Gas Journal – “Worldwide Refining Survey 2015”, 1 gennaio 2015.
- S. Energy Information Administration, “Country Analysis Brief: Venezuela”, 25 novembre 2015.
- USGS -“An Estimate of Recoverable Heavy Oil Resources of the Orinoco Oil Belt, Venezuela”, ottobre 2009.
- Vyas, Kejal – “Venezuela’s Biggest Oil Refinery Confronts Challenges”, Wall Street Journal, 1 luglio 2015.
Zanatta L. – “Venezuela: radiografia di una crisi annunciata”, ISPI, 3 Marzo 2015