L’occasione da cogliere
C’è nell’Occidente intero una convinzione, ormai radicata e diffusa, concernente il fatto che il modo usato dai cinesi per scrivere la parola “crisi” comprenderebbe tanto l’ideogramma riferito al concetto di “rischio” quanto quello che definisce invece l’idea di “opportunità “. Con buona pace della oriental saggezza, la realtà non corrisponde però affatto alla leggenda e rischio ed opportunità non si fondono, con mirabile sintesi. in un’unica parola della lingua mandarina e nel corrispondente concetto unitario.
Il fatto che nella vita reale rischio ed opportunità siano parimenti presenti in ogni attimo ed in ogni aspetto di ogni crisi corrisponde comunque a verità sacrosanta, come anche è vero il fatto che il prevalere dell’aspetto rischio su quello opportunità dipende spesso principalmente dalle scelte effettuate nei momenti più critici dai soggetti che la crisi investe con intensità maggiore. È un concetto che l’Unione Europea ha o dovrebbe avere ben chiaro. anche perché al di là della teoria è proprio nei periodi di maggior crisi, e quindi di massima paura e frustrazione. che l’UE è riuscita sempre a trovare il guizzo che le ha consentito di uscire dal pantano e l’ispirazione che le ha permesso di progredire.
Il feroce attacco che il terrorismo di matrice fondamentalista islamica sta portando in questo momento a quello che è forse il nostro diritto più sacro ed importante – vale a dire il diritto di continuare a vivere ed a pensare come meglio riteniamo opportuno – ha innescato da tempo una gravissima crisi. Sottovalutata all’inizio essa si è poi progressivamente estesa ad una area molto vasta, rivelandosi densa di imprevedibili e sanguinosi incisi, foriera di tensioni, limitazioni e condizionamenti, rischiosa per la spaccatura che tende a creare fra il mondo musulmano e quello cristiano e soprattutto estremamente difficile da seguire nel suo svolgimento e prevedere nei suoi esiti data la molteplicità e l’ambiguità degli interessi ad essa connessi nonché dei protagonisti in essa coinvolti.
Pur nel generale disorientamento esistono però alcune linee guida degli avvenimenti che hanno finito l’evidenziarsi come costanti di cui occorrerebbe tenere assolutamente conto, Ciò principalmente nel caso, che diviene di giorno in giorno più certo, in cui o per nostra autonoma decisione o per altrui costrizione il nostro livello di coinvolgimento nella palude finisca con l’aumentare progressivamente fino a livelli di elevata pericolosità.
Il primo punto da tener presente è come a nessuno dei protagonisti si possa attribuire con assoluta sicurezza né la qualifica di “buono” né quella di “cattivo”. Tutti sono buoni e cattivi nel medesimo tempo, ed il prevalere momentaneo dell’una o dell’altra qualifica dipende solo dalle particolari circostanze del momento e dall’ottica personale di chi sta effettuando la valutazione. Persino l’ISIS, per noi dell’Occidente male allo stato più puro, ha sempre riscosso una notevole percentuale di approvazione ( in un caso persino l’ottanta per cento) nei sondaggi effettuati nell’ambito del mondo sunnita. Amministra inoltre, nei territori che occupa, una popolazione che sembra preferire la regola di una durissima sharia all’assenza di regole ed al clima di costante sopraffazione in cui la mantenevano i governi sciiti della Siria e dell’Iraq.
Il secondo è che buona parte della complessità cui ci troviamo di fronte deriva dal fatto che siamo immersi nel turbine di ben due guerre, “combattute a pezzi ” come ha detto il Santo Padre e con tutti i mezzi, convenzionali e non, che possono essere usati in simili circostanze. Al cuore di entrambi i conflitti vi sono regolamenti di conti interni al mondo islamico, considerato come l’uno schieri i sunniti contro gli sciiti mentre l’altro ha per posta la leadership assoluta dell’intero ecumene sunnita. Con la non trascurabile conseguenza che alla fine la movenza religiosa sunnita trionfante sarà quella dello stato che riuscirà a prevalere. Un punto che rischia di rivelarsi estremamente importante anche per noi dell’occidente, se si considera come il ventaglio delle opzioni parta dall’ Islam classico e tollerante di Al Azhar, in Egitto, nonché da quello per molti versi sufico della Turchia, per inasprirsi poi nelle varie sfumature della Fratellanza Islamica ed approdare infine al rigido credo Wahabita dell’Araba Saudita.
Il terzo è che, come cantava un tempo l’Internazionale Socialista, non dobbiamo attenderci in una situazione del genere l’arrivo di “alcun salvatore supremo, né Dio, né Cesare, ne’ tribuno…” e potremo contare unicamente su noi stessi. Detto in altri termini è perfettamente inutile sperare che per una volta ancora il grande fratello Stati Uniti si decida prima o poi ad attraversare ancora l’Oceano ed a venire a toglierci le castagne dal fuoco. Perlomeno non nel breve e nel medio termine, vale a dire cioè fino a quando non si sarà perfettamente cicatrizzata nel tessuto della società americana la ferita delle perdite subite in più di dieci anni di Afghanistan ed Iraq. Su questo punto il Presidente Obama è stato estremamente esplicito, prima nella definizione della nuova dottrina strategica USA, poi attraverso il suo atteggiamento nei riguardi del guazzabuglio siro-iracheno. Non è affatto un caso il fatto che, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, non ci sia in questo momento alcuna portaerei statunitense in grado di aprire il fuoco su bersagli siti in area mediterranea.
Il quarto riguarda la Turchia. cui ci unisce da anni un filo estremamente ambiguo di promesse non mantenute e speranze deluse da entrambe le parti, ma che pure rimane. in tutta questa ambiguità. un protagonista indispensabile nella ricerca di un tragitto che ci conduca ad approdare a lidi maggiormente sicuri. Se da un lato le si può infatti rimproverare una eccessiva tolleranza verso l’ISIS – che essa ha probabilmente aiutato con fondi ed armi almeno in una prima fase, continuando poi a lasciarla prosperare indisturbata allorché combatteva contro i curdi e permettendone sino ad oggi il finanziamento indiretto per il tramite del contrabbando di idrocarburi dalla Siria alla Turchia – dobbiamo pero sempre tener conto di come Ankara ci risulti assolutamente indispensabile e per flemmatizzare il flusso di profughi sulla rotta balcanica e per un eventuale uso massiccio delle sue basi aeree nel caso in cui l’intervento della coalizione già in atto dovesse crescere in serietà e decisione, e quindi in intensità di fuoco. La presenza dei turchi in qualsiasi altra eventuale coalizione, fosse pure in una a guida NATO, le toglierebbe inoltre quel carattere di ” crociata cristiana contro l’Islam” che risulterebbe altrimenti troppo facile attribuirle.
Il quinto concerne poi la Russia, che l’evoluzione dei fatti siriani impone ora di considerare non solo come potenza anche mediterranea ma altresì come una potenza mediterranea cui è già necessario attribuire il dovuto rilievo. Se poi si valuta anche l’interesse che l’Unione Europea avrebbe a trovare quanto prima possibile una soluzione per lo stallo ucraino che riporti tutti i contendenti con le armi al piede, allora si ha un quadro complessivo di come le crisi medio orientali abbiano finito col rendere chiara l’ineluttabile necessità di un legame ben diverso da quello attuale fra Mosca e Bruxelles.
Infine, sesto punto, vi è da considerare come il processo di cancellazione delle vecchie frontiere coloniali del Medio Oriente al momento in atto abbia ormai raggiunto uno stadio che lo rende definitivamente irreversibile. Qualsiasi cosa succeda in futuro la carta geografica del Medio Oriente non sarà mai più quella che noi abbiamo conosciuto sino a ieri. Di sicuro la zona occupata dall’ISIS appare fin da ora destinata a configurarsi. allorché la crisi sarà terminata, come un nuovo stato sunnita. Più difficile indovinare quale possa invece essere il destino di altre aree ed altri popoli, primo fra tutti quello curdo.
Poste le premesse proviamo dunque, a questo punto, a valutare la situazione complessiva in termini di opportunità, cioè delle opportunità che la crisi medio orientale ci offre e che dovremmo essere pronti a cogliere se saremo effettivamente riusciti a far piazza pulita di tutti quegli stereotipi cui in condizioni più tranquille ci saremmo ferocemente ancorati, rifiutandoci di vedere la realtà per non uscire dal calore confortevole della illusione. Per il momento basterà comunque limitarci a sottolineare pochi concetti, lasciando poi a ciascuno dei lettori il compito di partire da essi per trarne le dovute conseguenze.
In un mondo di giganti solo i giganti contano e se si vuole fare la storia e non soltanto subirla se giganti non si è bisogna darsi da fare per divenirlo. La crisi ci costringe a riconoscere la verità di questo assunto e ci da quindi l’opportunità di riprendere una strada che l’inadeguatezza dei nostri leaders e l’assenza di visione strategica dei nostri partiti politici ci avevano fatto abbandonare. Per essere parte attiva l’UE in questo momento non ha soltanto la necessità di disporre di una politica estera e di sicurezza comune ma altresì quella di disporre di tutti i mezzi di difesa necessari per porla in atto. Un processo di revisione delle priorità collettive si evidenzia quindi come indispensabile, tenendo sempre presente l’importanza del vecchio detto secondo cui prima bisogna sopravvivere e poi, ma soltanto poi, si potrà pensare a filosofare! Il rischio, se si continuerà ad agire come si è fatto sino ad ora, è di essere tutti etichettati come è già avvenuto con i francesi in maniera di sicuro ingenerosa, ma che contiene almeno un fondo di verità, come fautori velleitari di un “imperialismo straccione”.
Gli avvenimenti convulsi delle ultime settimane ci offrono altresì l’opportunità di rivedere radicalmente i nostri rapporti con la Turchia e la Russia rivelatesi entrambe, sia pure in maniera diversa, partners indispensabili per la nostra unione mentre anche l’Europa, simmetricamente, si evidenziava come partner indispensabile per Istanbul e Mosca. Si tratta di una lezione della storia che gli altri due protagonisti sembrano aver ben compreso, Da chiedersi però se anche noi saremo in grado non soltanto di afferrarne in tempo utile la portata e l’urgenza ma anche di trovare il coraggio necessario ad affrontare la resistenza ad ogni cambiamento in questo campo che sarà prevedibilmente esercitata in maniera congiunta dagli USA nonché dai membri europei di nord est della Alleanza Atlantica.
Ci si apre infine davanti anche l’opportunità di riprendere su diverse basi la nostra collaborazione con “l’Islam sano” dando vita a un clima di intensa, totale collaborazione che possa col tempo rivelarsi attraente anche per coloro che in questo momento appaiono orientati verso altre strade, sia che si tratti di paesi e di organizzazioni o che ci si riferisca ad individui. In questa prospettiva sarebbe forse veramente il caso di riprendere l’idea della “cintura degli amici” destinata a proteggerci e a rinforzarci, soprattutto alle frontiere meridionali della Unione.
Ripresa del cammino della UE e definizione di una politica estera e di sicurezza comune, revisione e messa a giorno degli strumenti europei di sicurezza e difesa, miglioramento e balzo in avanti delle relazioni con la Turchia e la Russia, attenzione al sud mediterraneo ed amicizia stretta con i locali protagonisti … pare proprio che di opportunità di revisione questa crisi ce ne stia offrendo parecchie, e tutte di grande portata!
Al lettore, come accennato in precedenza, l’onere di approfondire ulteriormente!