Il rapporto franco-tedesco nella costruzione europea ed il ruolo dell’Italia

di Roberto Nigido

Le due più significative organizzazioni
internazionali nate dalla solidarietà tra i Paesi
occidentali dopo la seconda guerra mondiale –
la NATO e le Comunità Europee – furono
concepite con obiettivi specifici diversi: di
cooperazione militare, per far fronte alla
minaccia sovietica, la NATO; di cooperazione
economica, per ricomporre definitivamente le
rivalità intraeuropee e promuovere uno
sviluppo economico condiviso, le Comunità
Europee. Le due Organizzazioni hanno avuto
tuttavia sin dall’inizio anche un obiettivo
comune, non dichiarato ma di rilevanza
primaria almeno per l’Europa: contenere la
Germania coinvolgendola nella stessa
iniziativa collettiva.
Avendo in mente questo obiettivo, la
Francia si è fatta promotrice nel 1950 del
primo progetto di integrazione europea – la
Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio

  • associandovi immediatamente la Germania e
    poi Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
    Il piano proposto nel 1955 dal Ministro degli
    Esteri olandese Beyen, presidente di turno del
    Benelux, per la creazione della Comunità
    Economica Europea, trae origine dalle idee di
    Jean Monnet che avevano ispirato la
    dichiarazione Schuman del 1950 (nel 1955
    Jean Monnet era Presidente dell’Alta Autorità
    della CECA). Francia e Germania hanno
    svolto di comune accordo un ruolo
    determinante per il progresso del processo di
    integrazione, con il costante e talvolta
    determinante contributo dell’Italia. Negli anni
    ‘70 Giscard e Schmidt sono stati tra i più
    convinti sostenitori dei vari progetti miranti
    alla stabilizzazione delle monete europee:
    progetti che si sono tradotti prima nel
    Serpente Monetario Europeo, poi nel Sistema
    Monetario Europeo e infine nella Moneta
    Unica nel 1992, passando per il Mercato
    Unico nel 1987. L’unione monetaria fu

proposta dalla Germania ad Hannover nel
giugno 1988: fu approvata a Madrid nel
giugno 1989 (prima della riunificazione
tedesca) – con ottimi risultati – ed estesa su
iniziativa francese all’unione politica – con
risultati insoddisfacenti – in occasione del
Consiglio Europeo di Strasburgo del dicembre
dello stesso anno (dopo l’unificazione
tedesca).
Il contributo dell’Italia è stato
costantemente ricercato dalla Francia –
quando da parte italiana si manifestavano la
disponibilità e la capacità a rispondere
positivamente – anche ma non solo per
riequilibrare il rapporto con Berlino: rapporto
che diventava sempre più squilibrato man
mano che la posizione della Germania si
rafforzava. Ricordo alcuni passaggi
fondamentali del contributo dell’Italia alla
costruzione europea: Conferenza di Messina
nel 1955 sotto presidenza italiana del
Consiglio dei Ministri della CECA, che ha
dato vita alla Comunità Economica Europea e
all’Euratom; Consiglio Europeo di Milano del
giugno 1985, che portò al Mercato Unico;
Consigli Europei di Roma dell’ottobre e
dicembre 1990, che lanciarono le due
conferenze intergovernative su,
rispettivamente, unione monetaria e unione
politica (poi confluite nel Trattato di
Maastricht del 1992); Consiglio Europeo di
Maastricht del dicembre 1991, quando
Andreotti e Mitterrand convinsero Kohl ad
accettare una data finale e non procrastinabile

  • il 1998 – per la decisione definitiva
    sull’entrata in vigore dell’EURO (soluzione
    che metteva fine ai tentennamenti sulla
    moneta unica esistenti in alcuni ambienti
    tedeschi).
    Il rapporto franco-tedesco è stato da
    sempre complicato: “Difficile vicinanza sul
    Reno” è il titolo eloquente di un interessante

2

libro tedesco degli anni ‘80 sulle relazioni con
la Francia. E’ entrato in crisi a partire dai
primi anni 2000 per il verificarsi di alcuni
eventi di grande portata: innanzitutto e
soprattutto la riunificazione della Germania e
il senso di superiorità che ha dato ai tedeschi,
riaccendendone le pulsioni egemoniche;
l’ampliamento dell’Unione ad EST che ha
ingrandito il “giardino di casa” della
Germania e ulteriormente rafforzato la sua
posizione; infine l’indebolimento del ruolo
dell’Italia sulla scena europea negli ultimi
venti anni, a seguito della perdita di
credibilità del nostro Paese per l’incapacità di
riformarsi (perdita di credibilità rispecchiata
dalla qualità di alcuni dei nostri leader).
La Francia si sta sforzando di riportare il
rapporto con la Germania a livelli di
cooperazione soddisfacenti. A tal fine si
propone di riuscire finalmente a riunire, dopo
una lunga interruzione, il Consiglio dei
Ministri congiunto franco-tedesco. Gli
elementi di frizione si sono infatti moltiplicati
negli ultimi anni in vari settori: energia,
politica di bilancio, riforma del patto di
stabilità, politica industriale, aiuti di stato,
trasporti, relazioni con la Cina, solo per
citarne alcuni. E anche in materia di difesa,
dove la Francia pensava di avere un rilevante
punto di superiorità rispetto alla Germania:
ricordo in particolare la decisione della
Germania di aumentare la spesa militare da 56
a 80 miliardi l’anno (in pratica il doppio della
Francia) e di costruire un sistema anti-missile
con altri 13 Paesi europei, inclusa la Gran
Bretagna, ma senza la Francia, l’Italia e la
Spagna. In queste decisioni di Berlino è stato
assente qualsiasi riferimento a una capacità di
difesa dell’insieme dei Paesi dell’Unione
Europea: assenza rimarcata nelle reazioni
francesi.
Dopo il Trattato di Lisbona del 2007 la
Germania – non più “contenuta” da una
coalizione di Paesi a vocazione europeista e
anti-egemonica facente capo alla Francia ma
anche all’Italia – ha frenato ogni tentativo di
approfondire il processo di integrazione: per
decidere a nome di tutti. Ha frenato in
particolare il completamento dell’unione
monetaria mediante una vera unione
economica, nonostante i tentativi fatti da

Francia e Italia. E ha obbligato tutti gli altri
Paesi fino al 2020 a politiche recessive.
E’ urgente una chiarificazione sulle regole
di funzionamento dell’Unione Europea. Il
processo decisionale è diventato ancora più
tortuoso dopo l’ampliamento del 2004. Le
decisioni nelle politiche più sensibili sul piano
della sovranità (politica estera, sicurezza,
difesa, fiscalità) sono bloccate dalla regola
dell’unanimità. Ma anche in altre politiche,
come immigrazione ed energia, posizioni
comuni sono ostacolate dai contrasti di
interessi tra gli Stati Membri, dato il loro
numero non più governabile con le regole
attuali. Se ne potrebbe uscire, come sostenuto
da alcuni illuminati europeisti, costituendo un
nucleo duro di Paesi disposti a rinunciare alla
regola dell’unanimità, nella speranza che gli
altri Paesi si convincano a seguire. Ma anche
per muoversi in questa direzione è necessario
il concorso della Germania, che continua a
mantenere un atteggiamento ambiguo su tutti
i temi europei. E’ essenziale che i Paesi
interessati a evitare egemonie in Europa
(Italia, Francia, Spagna, Belgio, Portogallo e
persino i Paesi Bassi, in passato molto attenti
agli equilibri europei) superino i pregiudizi
reciproci e i contrasti di interessi e
costituiscano quella massa critica dotata di
volontà comune che possa indurre la
Germania a una maggiore cooperazione con
gli altri Paesi Membri. In questa prospettiva
l’apporto dell’Italia potrebbe essere cruciale,
come lo è stato nelle storiche occasioni che ho
ricordato.
L’attuale costruzione europea è l’unica
della quale disponiamo: dopo settanta anni di
pazienti tentativi e incessanti lavori, altre non
se ne vedono, nonostante le invocazioni – che
vengono da destra e da sinistra – di costruire
“un’altra Europa”, non meglio identificata
peraltro in termini concreti negli obiettivi e
nei contenuti. La costruzione europea va
certamente completata e migliorata. In
alternativa la si può distruggere: distruggere è
certamente più facile che costruire. E
accettare che la Germania determini le scelte
di tutti gli altri. Come avveniva prima della
creazione della Banca Centrale Europea,
quando le banche centrali dei Paesi europei
attendevano le decisioni della Bundesbank in

3

materia di tassi di interesse, per adeguarsi.
Tanto da indurre il Financial Times a
suggerire, in uno straordinario editoriale
scritto nella prospettiva del Consiglio
Europeo di Roma del 27 e 28 ottobre 1990

dedicato alla moneta unica, che fosse
preferibile “avere un seggio nella futura
Banca Centrale Europea che nessuno nella
Bundesbank”.