La Normalizzazione delle Relazioni tra Emirati Arabi Uniti e Israele
di Filippo Tritonj
Il 13 agosto e’ avvenuto l’annuncio congiunto della normalizzazione delle relazioni tra gli Emirati Arabi Uniti e Israele. Il 30 agosto c’e’ stato il primo volo commerciale da Tel Aviv ad Abu Dhabi con a bordo le delegazioni ufficiali del governo di Israele e degli Stati Uniti per discutere e concordare, con le controparti emiratine, il contenuto degli accordi politici e commerciali che verranno firmati a Washington a settembre di quest’anno. Gli Stati Uniti sono i mediatori di tale operazione denominata da Donald Trump come “L’Affare del Secolo”. A tal riguardo l’American Jewish Committe (AJC) ha gia’ annunciato sul proprio sito l’apertura di un ufficio commerciale negli EAU, ricevendo parole di supporto all’iniziativa da parte emiratina.
La normalizzazione di cui sopra prevede l’avvio di relazioni diplomatiche tra i due stati che lo Sceicco e Crown Prince di Abu Dhabi ha definito un’opportunita’ ma anche essenziale per fermare l’annessione, da tempo annunciata e minacciata dal PM di Israele (B. Netyanau), dei territori occupati della West Bank in Palestina. A sua volta Netyanau ha elogiato la normalizzazione ma ha subito corretto che si tratta solo di sospensione della decisione di annessione.
L’iniziativa di normalizzare le relazioni diplomatiche e commerciali ha suscitato la netta opposizione da parte del governo Palestinese e di partiti e fazioni varie nel Medio Oriente. La Turchia e l’Iran si sono espressi in netta opposizione a tale iniziativa.
Non e’ un segreto che i rapporti politici tra i paesi arabi e Israele esistono dall’avvio del processo di Oslo anche se in forma non ufficiale. La soluzione pacifica del conflitto israelo – palestinese era stato posto, dai paesi arabi, come requisito essenziale per la normalizzazione dei rapporti dei paesi arabi con Israele.
La situazione fluida geopolitica del Medio Oriente, i molteplici interessi di parte e le ambizioni dei vari attori dell’area e non, le crisi economiche hanno portato a considerare la questione con Israele da un punto di vista pratico piuttosto che di principio (e di giustizia verso i palestinesi).
Dal punto di vista degli EAU i fronti (militari) aperti nell’area, in particolare Yemen e Libia, le notevoli sfide economiche tra cui quelle nuove determinate dal COVID-19, gli importanti piani strategici governativi di diversificare le entrate economiche oggi provenienti esclusivamente dal petrolio hanno spinto il paese a guardare con interesse alla sicurezza e al potenziale di crescita generabile atraverso una distensione totale delle relazioni con una potenza regionale influente, ricca e tecnologicamente avanzata quale Israele.
I dividendi di tale operazione soddisfano le parti coinvolte (almeno nel breve periodo). Positivi ritorni di immagine a favore delle due leaderships Israeliana e Americana che possono, in tal modo, rafforzare da una parte la posizione politica del PM israeliano, a fronte di un molto probabile processo giudiziario e quella elettorale del Presidente americano dall’altra.
Per la leadership emiratina il dividendo ottenibile dalla normalizzazione con Israele e’ rappresentato dall’avvio di una cooperazione strutturata alla luce del sole nell’ambito dell’industria, dell’ universita’ e della ricerca. Nell’ambito militare e dell’ intelligence giocano un ruolo fondamentale la preparazione, gli strumenti ed i mezzi a disposizione di Israele che la rendono una potenza militare indiscussa nell’area e per questo un partner regionale ideale per gli Emirati per affrontare le sfide geopolitiche che li vedono impegnati direttamente dal Mar Arabico al Mediterraneo. Il Mar Arabico e’ oggetto di duro contendere da parte di potenze regionali e non, da una parte gli EAU, Arabia Saudita, USA (e l’India) dall’altro Cina, Pakistan e Qatar e come contrapposizione ideologica e politica al primo gruppo l’Iran.
Il supporto militare e di Intelligence di Israele permette agli Emirati di rafforzare il controllo nel golfo di Aden e nel Mar Rosso, attraverso lo stretto di Bab al-Mandab, con l’occupazione di isole e arcipelaghi appartenenti allo Yemen che fungono da avamposti e postazioni di controllo. In tal modo l’EAU (e Israele) puo’ governare il flusso di mezzi e persone diretti in Yemen ma anche oltre, in particolare in Libia, dove gli Emirati Arabi Uniti sono coinvolti in un confronto militare tutt’altro che risolto ed in contrapposizione con un’altra ambiziosa potenza regionale, la Turchia. Inoltre il rafforzamento di tali postazioni strategiche permette agli Emirati (e USA e India) di contrapporsi ad una fervida agenda economica nella regione sostenuta da Cina-Pakistan-Qatar che si basa sulla posizione strategica del porto di Gwadar (in Pakistan) il cui potenziamento e pieno sviluppo alimenterebbe il maestoso progetto della Via della Seta da un lato, mentre dall’altro metterebbe in serio pericolo la supremazia ed il monopolio nell’area degli scambi commerciali attraverso i porti di Dubai.
Negli Emirati la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele non ha suscitato indignazione nella popolazione. Il che puo’ essere in parte comprensibile in quanto le manifestazioni di dissenso non avvengono negli Emirati. C’e’ sempre un sentimento di accettazione e allineamento alle decisioni dello Sceicco. In parte pero’ c’e’ anche una sorta di fiducia nelle azioni e nelle scelte che fa il numero 1 per quanto strane o sorprendenti esse possano apparire. Tra la gente c’e’ la percezione che oggi piu’ che mai occorra allearsi, trovare punti di incontro con altri paesi per superare le difficolta’ ed i rischi per l’economia e per fronteggiare concorrenti potenti alla conquista dello stesso “bottino”.
E’ evidente che gli USA hanno giocato, per loro esigenze di politica interna, un ruolo decisivo nell’accellerare un evento che probabilmente sarebbe avvenuto comunque prima o poi (la normalizzazione). La macchina diplomatica americana e israeliana sono cosi’ fortemente in azione che e’ stata ufficialmente annunciata anche la normalizzazione tra il Kosovo e Israele (ed il reciproco riconoscimento), a tal punto che gli USA sono disposti a togliere dalla lista “nera” la Somalia a patto che accetti di “normalizzare” con Israele.
Israele sta cercando di raccogliere piu’ risultati possibili fintanto che c’e’ l’attuale Amministrazione alla Casa Bianca. Le elezioni americane del 3 novembre sono tutt’altro che scontate sia da una parte che dall’altra. E’ probabile che un cambio di Amministrazione a guida Democratica potrebbe cambiare gli scenari e le strategie nella regione del Medio Oriente fino a non coincidere piu’ totalmente con le aspettative di Israele (vedi Amministrazione Obama). Il processo di normalizzazione tra l’EAU e Israele una volta avviato dovrebbe continuare e svilupparsi a prescindere da chi vincera’ le elezioni del 3 novembre, in quanto motivato da esigenze pratiche, oggi piu’ che mai attuali, di tipo politico-economiche e da una esigenza tecnica americana di disimpegno graduale dall’area e di avvicendamento con i paesi alleati della regione (Israele in primis) in difesa degli interessi strategici comuni. In tale ottica, la normalizzazione non garantira’ mai a nessun paese del Medio Oriente di guadagnare crediti a proprio favore verso gli USA per ambire a diventare la prima potenza regionale ottenendo l’accesso a mezzi e tecnologie militari di altissima tecnologia (i.e. l’F35). Questo verra’ sempre impedito da Israele, oggi agli EAU, domani alla Arabia Saudita, etc..
Il che sta ad accentuare che Israele, consapevole della sue immense risorse politiche, organizzative, decisionali ed economiche a livello globale, in particolare in USA, non rinuncera’ mai alla sua posizione di esclusivita’ come superpotenza regionale e molto probabilmente non rinuncera’ mai alle sue ambizioni nazionali. Gli EAU avranno sicuramente previsto che i rapporti di forza con Israele su questioni strategiche potranno in futuro essere spesso sfavorevoli a loro (agli EAU).