USA/Medio Oriente non desiderare le guerre d’altri

di Giuseppe Cucchi

Una delle ragioni che nel 1974 indussero il Presidente Sadat a firmare la pace fu la malinconica considerazione di come ” tutti gli Stati arabi apparissero determinati a combattere Israele sino all’ultimo soldato Egiziano “.

Da allora sono passati quasi cinquant’anni ma le logiche del Medio Oriente sembrano non essere affatto cambiate.

Allorché si esaminano le politiche attuali dei due Stati che dominano la scena medio orientale del momento appare infatti ben chiaro come tanto Israele quanto l’Arabia Saudita sarebbero ben felici di poter “combattere l’Iran sino all’ultimo soldato statunitense”.

Le loro scelte nell’ambito del contrasto che li oppone al capofila del mondo islamico sciita sono infatti costantemente motivate dalla speranza di poter prima o poi – o se possibile quanto prima!  – coinvolgere appieno gli Stati Uniti in uno scontro che rischia da un momento all’altro di generare fiammate pericolosissime per tutto il mondo.

Per fortuna, almeno per il momento , l’Amministrazione Trump ha ancora due politiche , di cui la prima ,  dichiaratoria , è  composta da proclami roboanti e da prese di posizione destinate non a tradursi in realtà ma piuttosto a trasmettere una immagine di intransigenza e risolutezza di ” Mr President ” , alias ” Commander in Chief ” ,  all’elettorato profondo del paese .

La seconda invece , quella che viene tradotta in pratica giorno dopo giorno , rispecchia soprattutto la necessità , che condiziona anche gli USA come e forse anche più di altri grandi paesi , di non accettare a scatola chiusa sfide che potrebbero facilmente tradursi domani in impegni bellici estremamente costosi sotto ogni punto di vista .

Primo fra tutti quello delle perdite umane che l’opinione pubblica USA non sembra più in condizioni di poter tollerare nel medio e nel lungo periodo.

Resistere alla pressione congiunta dei due paesi non deve comunque risultare affatto facile over l’Amministrazione Trump.

Da un lato infatti nelle sue recenti dimostrazioni di amicizia e simpatia per ambedue i paesi medio orientali coinvolti il Presidente si è particolarmente esposto, giustificando fra l’altro con il suo atteggiamento l’emergere di speranze non fondate.

Dall’altro poi Israele e Arabia Saudita hanno dimostrato negli anni quanto essi siano in condizione di influenzare ove se ne presenti la necessità la scena politica statunitense appoggiandosi l’uno alla cosiddetta “lobby ebraica” , l’altra al “complesso militar industriale ” degli USA , pesantemente dipendente dalle stratosferiche commesse degli Stati della penisola .

Infine , a rendere il tutto più cogente ,  sono arrivati negli ultimi tempi prima gli episodi che hanno innescato un botta e risposta di punzecchiature navali nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz , poi quel deciso attacco alle raffinerie dell’ARAMCO Saudita che gli Houti yemeniti hanno molto opportunamente rivendicato , ma dietro a cui si intravede chiaramente l’ombra – se non altro politica – dell’Iran.
Un insieme di avvenimenti che ha conferito ai problemi dell’Arabia Saudita una netta priorità rispetto a quelli di Israele .

Priorità tra l’altro rinforzata anche dal fatto che mentre il timore di Tel Aviv  relativo ai possibili sviluppi di un nucleare militare iraniano potrebbero trovare una soluzione diplomatica , ed in effetti parecchie aperture in quel senso ci sono già state , lo scontro in corso nell’ambito islamico  fra il mondo sciita e quello sunnita , guidati l’uno dall’Iran , l’altro dall’Arabia Saudita , appare come una vera e propria lotta a morte per il predominio completamente refrattaria a qualsiasi compromesso .

Un coinvolgimento degli USA in tale scontro che andasse oltre i limiti da essi già raggiunti sino ad ora finirebbe quindi con l’assumere l’aspetto di una definitiva e totale scelta di campo , destinata fra l’altro a coinvolgere inevitabilmente , per i noti meccanismi di costante richiamo alla solidarietà Atlantica , anche l’intera costellazione degli alleati occidentali degli Stati Uniti .

Se ciò si verificasse per ironia della sorte finiremmo poi col ritrovarci alleati proprio con quel campo islamico sunnita da cui partono tutti gli attacchi del terrorismo fondamentalista che hanno insanguinato l’Occidente, un peccato da cui gli sciiti risultano sino ad ora immuni.

Oltretutto poi si tratterebbe di uno gruppo che non soltanto riconosce la leadership dello Stato su cui più forti gravano i sospetti di favoreggiamento, perlomeno economico , del terrorismo nei tempi andati ma che è ora guidato da un principe giovane ed ambizioso teso a  far dimenticare il disastroso andamento di quella guerra contro gli Houti dello Yemen di cui è il primo responsabile .

Per non focalizzarci poi sulla mancanza di scrupoli dei suoi apparati di sicurezza, evidenziata  in tempi abbastanza recenti dal caso Kashoggi .

Appare estremamente opportuno quindi che prima di lasciarsi coinvolgere da prove più o meno concludenti dell’origine della recente escalation del confronto gli Stati Uniti – e noi con loro ! – approfondiscano adeguatamente quanto sino ad oggi accaduto senza lasciarsi influenzare da dubbie considerazioni altrui e soprattutto tenendo ben presente tutto ciò che è a monte dell’attuale confronto.