Istanbul 2019, un punto di svolta?
di Edoardo Incani
L’elezione di Ekrem Imamoğlu a sindaco di Istanbul il 23 giugno 2019 ha costituito un evento che, in virtù del significato simbolico, non ha potuto non finire sotto i riflettori dei media di tutto il mondo.
La vittoria del candidato del CHP nella metropoli che produce circa il 30% del PILdella Turchia e che vanta 15 milioni di abitanti, ha originato un profondo dibattito sulle conseguenze che tale avvenimento produrrà nella vita politica del Paese.
Imamoğlu, originario della regione di Trebisonda, ha rappresentato un profilo accattivante in virtù del suo carisma, della giovane età e dell’alto livello d’istruzione.
Ha mostrato una indiscussa abilità nella conquista di voti tra i settori diversi della società di Istanbul, attingendo consensi dalle fasce laiche e nazionaliste ma anche tra i fedeli musulmani, riuscendo ad ottenere sorprendenti affermazioni nei quartieri più conservatori della città. Ha inoltre favorito la coesione dell’opposizione all’AKP, attraverso un’alleanza tra il CHP e altre formazioni politiche.
La dinamicità e il carattere inclusivo della leadership del nuovo sindaco di Istanbul hanno indotto numerosi osservatori ad ipotizzare per lui un futuro nei piani alti della politica nazionale, che col suo profilo democratico, potrebbe diventare fonte di studi per contrastare la crescita dei populismi in Europa.
İmamoğlu, dopo aver già sconfitto il 31 marzo l’avversario Binali Yıldırım, nonostante il forte appoggio riservato a quest’ultimo da parte del Presidente Erdoğan, e convalidato dalle sue affermazioni in sede di campagna elettorale, ha mantenuto il sangue freddo anche in seguito alla controversa decisione dell’Alta Commissione Elettorale di annullare il voto e di ordinarne la ripetizione.
Seguente mossa, appoggiata anche da Erdoğan e dall’AKP, è in realtà finito per favorire İmamoğlu. Se quest’ultimo, il 31 marzo, ha sconfitto Yıldırım (con un margine di meno di 20.000 voti), il 23 giugno il divario si è allargato al punto da superare gli 800.000 voti.
Numerosi elettori, anche dopo aver scelto il candidato dell’AKP nella prima tornata, hanno scelto il volto dell’opposizione mossi da un evidente senso d’ingiustizia, in occasione di un voto che ha assunto il significato di una vera e propria battaglia per la democrazia.
Istanbul, si sta trasformando in un laboratorio dove, le opposizioni al governo in carica, potranno agire per proporsi come un’alternativa al potere costituito.
I prossimi anni chiariranno le prospettive politiche dei vincitori delle elezioni del 23 giugno. La cautela, comunque, è d’obbligo. Erdoğan mantiene le redini del potere ed ha approfittato del fallito golpe del luglio 2016 per colpire vari settori della società civile, nonché delle forze dell’ordine e delle forze armate.
Erdogan ha ampliato i propri poteri in seguito al referendum costituzionale del 2017, per intraprendere, in seguito, una durissima lotta contro gli individui sospettati di essere legati a Fethullah Gülen, impegnandosi ad eliminare la sua influenza nello “stato profondo” turco.
Varie dinamiche si evidenziano in modo inequivocabile. Le opposizioni stanno conquistando il controllo dei grandi centri urbani, il 31 marzo il candidato del CHP è stato eletto sindaco di Ankara e sono ormai giunte a controllare una serie di città, totalizzanti circa il 70% del PIL della Turchia.
In questo contesto, Erdoğan e il governo a guida AKP, sono chiamati a dare delle risposte concrete ai cittadini turchi. Dall’efficacia della loro azione dipenderà in misura rilevante il futuro politico del Presidente, di cui molti immaginano già la caduta, individuando nella perdita di Istanbul l’inizio del suo declino.
Erdoğan, in effetti, ha sempre evidenziato il legame tra il controllo della città sul Bosforo e il comando del Paese. Proprio ad Istanbul, nel 1994, è iniziata la sua cavalcata politica attraverso la conquista della carica di sindaco.
Vari osservatori ipotizzano la nascita di nuove entità partitiche per mano di figure appartenenti al mondo dei conservatori. La perdita della guida dei grandi centri urbani rende più difficile la costruzione e il mantenimento del consenso attraverso una politica di patronageattuata a livello locale dall’AKP.
Un settore in cui Erdoğan sarà messo alla prova è indubbiamente rappresentato dall’economia, uno dei principali punti deboli della Turchia e uno degli argomenti più ricorrenti nell’ambito della campagna elettorale per la corsa alla carica di sindaco di Istanbul.
La lira turca ha subito una consistente svalutazione nel corso dell’estate 2018 e l’inflazione si è mantenuta su valori vicini al 20% per tutta la prima metà del 2019.La governance economica è stata oggetto di innumerevoli critiche, riferite anche alle figure a cui è stata affidata da parte del Presidente.
Per ciò che riguarda la politica estera, le vicende caratterizzanti gli ultimi anni costringono la Turchia in una posizione complessa.
La scommessa delle Primavere Arabe è fallita e il loro outcome è stato talvolta disastroso:
In Egitto i Fratelli Musulmani non hanno ottenuto il controllo del Paese, mentre la Siria è precipitata in una guerra civile dove Erdoğan è stato a lungo sostenitore della fine del potere del Presidente Assad. Il ribaltamento delle sorti del conflitto, principalmente in seguito all’intervento militare russo, ha indotto Erdoğan ha cambiare la propria linea stabilendo un dialogo con Iran e Russia, dopo aver visto i rapporti con quest’ultima deteriorarsi nel corso dell’inverno 2015-16. Superata questa fase delicata, la Turchia ha ritrovato nella Russia di Putin uno stabile interlocutore.
Proprio intorno a questo rapporto verte oggi una delle principali controversie riguardanti la politica estera turca, in quanto Erdoğan non intende rinunciare all’acquisto del sistema di difesa aereo russo S-400 a dispetto dell’appartenenza alla NATO del Paese.
La questione del sistema di difesa S-400 contribuisce ulteriormente a inasprire i rapporti con gli USA, particolarmente turbolenti nel corso dell’ultimo anno, esponendo Ankara al rischio di sanzioni economiche e determinandone l’esclusione dal programma dei caccia F-35.
Resteranno complessi anche i rapporti con l’Europa. Tra le questioni calde, il mese di giugno 2019 ha riproposto il tema delle presunte violazioni turche della sovranità delle isole del Mediterraneo, in particolare attraverso le esplorazioni petrolifere nell’area di Nicosia, provocando reazioni negative da parte della Grecia e di Cipro.
Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, i rapporti bilaterali con vari paesi europei sono stati messi a dura prova, a discapito dell’affidamento a Istanbul del compito di contenere i flussi migratori innescati dalla guerra siriana nel mese di febbraio.
La commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo ha votato per la sospensione formale dei colloqui turchi sull’adesione all’UE, e varie personalità politiche si sono espresse in questo senso nel corso della campagna elettorale che ha preceduto le elezioni europee.
La Politica interna, economia e i rapporti internazionali sono i fronti sui quali Erdoğan sarà chiamato a dare delle risposte. Da Istanbul, un forte segnale inaspettato lo mette in guardia: ogni errore potrebbe essere pagato a caro prezzo.