A proposito di fake news

di Caterina Flick

In questa ricerca, Caterina Flick, approfondisce elementi che nel mondo dell’informazione con le fake news, fuorviano opinioni e notizie. Tutti sanno che fin dai tempi più antichi, vedi Omero e la conquista di Troia, la falsa informazione era parte delle strategie messe in campo per beneficiare di vantaggi nei vari terreni: militari, politici e sociali.

Oggi con la diffusione capillare dei mezzi di comunicazione, la calunnia, che nel Barbiere di Siviglia di Rossini, veniva definita “un venticello, un auretta assai gentile”…..diventa un tornado che coinvolge e travolge, senza regole etiche, morali né purtroppo legali, il mondo tutto.

Qualcosa si muove….

Giuseppe Carta – Presidente TAB Associazione

Le fake news non sono un fenomeno legato alla rete, ma in generale ai mezzi di comunicazione di massa. È vero che con il web le fake news si diffondono più in fretta e raggiungono più persone, grazie ai commenti degli utenti che le ri-diffondono. È vero anche che da tempo il web ha maturato alcuni anticorpi: siti e blog “antibufala”, che raccontano le più belle e danno consigli su come riconoscerle.

È vero infine che a partire dalla campagna elettorale del 2016 negli USA, che ha determinato l’elezione di Trump, a seguire con il mancato “si” al referendum costituzionale promosso dal governo Renzi in Italia, sono cambiati il modo di affrontare il tema e il linguaggio: ciò che ieri si chiamava “bufala” oggi si chiama, appunto, “fake news”.

L’uso di questo termine avrebbe avuto un incremento del 365% dal 2016, tanto che il Collins Dictionary ha eletto “Fake news” come parola dell’anno appena trascorso. In effetti il 2017 è stato segnato dal dibattito su come intervenire per distinguere le notizie false dalle notizie vere, dibattito che sta proseguendo nel 2018.

La ragione dell’attenzione al fenomeno sembra essere la preoccupazione che la diffusione di fake news sia uno strumento per manipolare l’opinione pubblica e così incidere sulle elezioni democratiche. Nel corso dell’ultimo anno la preoccupazione si è posta per le elezioni francesi e tedesche. Ora tocca all’Italia, tanto che, in vista delle prossime elezioni, politiche il Ministro Minniti ha inaugurato presso la Polizia Postale un Protocollo Operativo per il contrasto alla diffusione delle fake news.

Ma è davvero possibile attribuire la responsabilità dei risultati elettorali al web e agli oscuri stregoni che sarebbero in grado di manovrarlo, diffondendo ad arte commenti e notizie diretti a screditare o acclamare il candidato prescelto? Fino ad oggi non ci sono prove.

Cosa, chi, perché

Il termine – letteralmente in italiano “notizie false” – si riferisce a storie sensazionali, inventate deliberatamente e proposte al pubblico. Il termine è utilizzato in modo inclusivo per indicare notizie e informazioni di carattere generale su temi sensibili per l’opinione pubblica (la utilità o inutilità dei vaccini, il verificarsi di un evento catastrofico, l’esistenza o meno di controlli massivi), oppure notizie non vere e (ingiustamente) denigratorie, relative a personaggi pubblici in vista, o a gruppi di persone (ad esempio per l’origine etnica, il genere, la religione, le disabilità). Le fake news sono create con modalità tali da richiamare l’attenzione del lettore e portarlo a leggere e condividere la notizia. La diffusione delle fake news generalmente è talmente ampia da considerarsi “virale”, e questo grazie alle caratteristiche del web.

In alcuni casi le fake sono chiaramente paradossali e provocatorie e circolano prevalentemente sui social network; in altri casi sono proposte al pubblico con l’apparenza della verità, sia per la forma con cui sono raccontate (notizie giornalistiche) sia per i siti su cui sono pubblicate. La diffusione in quest’ultima forma di fake di carattere generale, contrasta con l’interesse della collettività ad una corretta informazione. Allo stesso tempo la diffusione di fake può ledere l’interesse di persone singole o di gruppi di persone alla tutela della propria identità e reputazione: è il caso delle fughe di notizie sulle indagini giudiziarie (specie se non vere o superate) e dell’hate speech.

E’ difficile dire chi ne è l’autore, perché è difficile risalire alla fonte della prima pubblicazione. Inoltre le notizie (anche quelle vere) nel passaggio tra siti, social network, blog, testate giornalistiche, spesso subiscono delle modifiche – aggiunte, correzioni, commenti – esattamente come avviene nel gioco del “telefono senza fili”.

Le ragioni per diffondere fake news possono essere diverse.

Una prima ragione è economica: le notizie con titoli sensazionali e scandalistici, così come quelle che ridicolizzano o screditano personaggi pubblici, richiamano l’attenzione degli utenti e le portano a visitare i siti che le pubblicano, a dichiarare il loro gradimento e a loro volta a ripubblicarle. Tutto questo genera un ritorno economico importante, grazie alle inserzioni pubblicitarie e alla profilazione degli utenti.

Una seconda ragione è la volontà di creare consenso o dissenso rispetto a un gruppo di interesse o a una persona. Anche in questo caso alla base della diffusione possono esserci motivi economici: creare consenso rispetto ad un’azienda, così da promuoverla o agevolare la vendita di un prodotto o servizio; creare dissenso rispetto ad un concorrente per distruggerlo.

Una terza ragione, quella che in questo momento sembra preoccupare di più, è l’interesse di gruppi di potere a creare movimenti di opinione, screditare avversari politici, indirizzare le scelte elettorali dei cittadini.

Ed è proprio dal timore di una manipolazione del consenso elettorale che in ambito europeo sono nate diverse iniziative – legislative e non – dirette a contrastare il fenomeno.

In ordine di tempo, la prima iniziativa è stata il disegno di legge per prevenire la manipolazione dell’informazione on line e garantire la trasparenza sul web, presentato da alcuni parlamentari italiani nella primavera 2017, detto ddl Gambaro dal nome della prima firmataria. Il disegno di legge prende spunto dalla risoluzione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sui media e il giornalismo online, e affronta il tema della diffusione di notizie false sul web, in particolare quelle in grado di determinare allarme sociale o manipolare l’opinione pubblica, e le campagne d’odio dirette a minare il processo democratico, prevedendo l’obbligo di rettifica e sanzioni penali, nonché l’obbligo di identificazione dei fornitori di contenuti.

All’inizio dell’autunno 2017 il Parlamento tedesco ha approvato una legge contro post offensivi ed hate speech, soprannominata “legge facebook”. E’ la prima legge al mondo che imporre ai fornitori di servizi internet che svolgono attività commerciale di verificare le segnalazioni degli utenti e cancellare i contenuti palesemente illegali (tra cui notizie false e contenuti d’odio), prevedendo pesanti sanzioni economiche in caso di inosservanza.

Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 il presidente della Repubbica francese Macron ha annunciato la presentazione di una proposta di legge contro le fake news in campagna elettorale. La proposta Macron prevederebbe di sanzionare le fake news che abbiano per obiettivo o per effetto di falsare la competizione elettorale, con l’introduzione di procedure di urgenza che permettano la cancellazione di un contenuto, la disattivazione di utenze o la sospensione dei servizi che permettono la diffusione, nonché un obbligo di verifica e di trasparenza a carico delle piattaforme che ospitano i social network.

Il protocollo operativo per il contrasto alla diffusione delle fake news attivato dalla Polizia Postale italiana, sempre nel gennaio 2018, e il gruppo di lavoro che se ne occupa, dovrebbe costituire un punto di riferimento istituzionale per la verifica dell’attendibilità delle notizie, grazie all’impiego di tecniche di OSINT (Open Source Intelligence), e per la pubblicazione della smentite, durante la campagna elettorale precedente le elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Le iniziative citate hanno il comune obiettivo di individuare e contrastare la disinformazione, diverse però sono le strade ipotizzate per ottenere il risultato. In particolare l’onere di verifica della veridicità delle notizie è affidato in alcuni casi a soggetti pubblici, in altri ai privati fornitori di servizi internet. In tutti i casi manca però una definizione, sia pure approssimativa, di cosa sia una fake news e di quali siano gli elementi da valutare per determinare se vi sia effettivamente il rischio di manipolazione dell’opinione pubblica.

Chiamato a definire cosa siano le fake news è il gruppo di esperti istituito dall’Unione Europea, che si è insediato nel gennaio 2018 e del quale fanno parte giornalisti, dirigenti di grandi gruppi editoriali e fornitori di servizi digitali, accademici e rappresentanti di organizzazioni non governative o associazioni; il gruppo di lavoro dovrà poi definire delle opzioni ed elaborare dei sistemi per individuare le fake news e limitarne la circolazione.

Perché le fake news diffuse sul web sono diverse da quelle diffuse dai media tradizionali

Generalmente, e genericamente, si sostiene che sia la tecnologia a fare la differenza tra le fake news tradizionali e le fake news diffuse sul web. Tuttavia molti elementi comunemente considerati indicatori della diversità e della pericolosità di queste ultime, sono conseguenze inevitabili della tecnologia stessa, a cui gli utenti si sono assuefatti da tempo (con l’adozione dei relativi “anticorpi”) e non sembrano sufficienti a giustificare l’allarme. Tra questi: la diffusione “virale” presso un’ampia platea di persone e l’incapacità dei lettori di analizzare l’informazione e approfondirne la fonte di provenienza.

La diffusione virale può derivare da una strategia concentrica di propagazione: un gruppo di account forti ritwitta o riposta un contenuto che viene a sua volta ritwittato e ripostato da un grande numero di piccoli account più o meno reali. In poco tempo quel contenuto viene diffuso presso un numero (realmente) indeterminato di account, entra in contatto con i giornalisti dei media tradizionali che frequentano i social network e così sbarca anche in tv e sui giornali.

L’incapacità dei lettori di analizzare di analizzare l’informazione e approfondire la validità della fonte non è un fenomeno nuovo, anche se l’analfabetismo funzionale (dei più giovani) e l’analfabetismo digitale (dei più anziani) giocano forse un ruolo maggiore nella diffusione sul web, più che nella diffusione attraverso altri canali.

Si tratta tuttavia di elementi che non sono caratteristici delle fake news e possono essere utilizzati altrettanto bene per diffondere true news. In altre parole: il web è uno strumento di questo tempo e le modalità di diffusione delle informazioni adeguate e coerenti con il numero di persone che accede alle informazioni stesse.

Altri aspetti mi paiono invece più significativi.

Da un lato per la grande facilità con cui gli utenti possono “muoversi” nel web, da cui derivano: la possibilità per qualunque utente di generare contenuti informativi e divulgarli autoreferenziandosi; la possibilità per gli autori di contenuti di rimanere anonimi; la maggiore difficoltà di individuare legami fra e con editori e gruppi di potere “riconoscibili”, con la conseguente possibilità di concentrazione delle fonti informative nelle mani di pochi difficilmente individuabili.

Dall’altro per il supporto che la tecnologia dà per una diffusione indipendente dalle persone. In primo luogo con l’automazione di like, la generazione di profili falsi e quant’altro. In secondo luogo con l’aggregazione incontrollata e non trasparente delle informazioni, grazie a: autocomplete truth, indicizzazione, tag, referenze circolari, rassegne stampa automatizzate, memoria localizzata delle ricerche precedenti, profilazione dei comportamenti sul web.

Infine, la globalità del web fa si che in mancanza di interventi immediati (reazioni rapide) e uniformi non è possibile contrastare la diffusione virale incontrollata.

Come affrontarle

In Europa il timore per la manipolazione dell’informazione è almeno pari al timore che sia limitata la libertà di informazione; diretta conseguenza di tale timore è il dibattito riguardo a chi (soggetto pubblico o privato, uomo o macchina) debba farsi carico dell’individuazione e del contrasto alle fake news.

Gli interventi che si sono succeduti sino ad ora sono stati caratterizzati da incertezze e sono rimasti privi di coordinamento, individuando diverse strade. Prima strada: ci deve pensare il lettore, migliorando le proprie competenze, eventualmente con l’aiuto di “professionisti” dello smascheramento. Seconda strada: devono pensarci i fornitori di servizi internet, e in particolare i gestori dei social network, i quali possono o devono (anche su questo le opinioni sono diverse) intervenire, sulla base delle segnalazioni degli utenti, per verificare ed eliminare le fake news. Terza strada: devono pensarci i governi, introducendo previsioni normative che impongono un obbligo di verifica, segnalazione, rimozione a soggetti privati o pubblici, e prevedono sanzioni in caso di violazione delle norme stesse.

Tuttavia la verifica delle fake news, così come la verifica della prevalenza tra il diritto a comunicare, il diritto a essere informati e il diritto a scomparire dal web, richiedono competenze specifiche e approfondimenti. Allo stesso modo, contrasto delle fake news – ovvero il ripristino della correttezza informativa – richiede interventi tecnici e legali, che permettano la rettifica e la diffusione virale delle informazioni corrette. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, fattibile se focalizzato su informazioni specifiche, molto difficile se relativo a informazioni di carattere generale.

Un coordinamento a livello europeo permetterebbe di affrontare la questione in modo più sistematico, con possibilità forse maggiori di intervento.

Spunti di riflessione.

I social network più diffusi (Facebook, Twitter e Linkedin) e i motori di ricerca più utilizzati al mondo (essenzialmente google) sono basati negli USA e nel 2017 hanno affermato di avere dichiarato guerra alle fake news, introducendo sistemi di verifica (e cancellazione) delle notizie false basato sulle segnalazioni degli utenti e promuovendo la verifica dei fatti, in collaborazione con associazioni e organizzazioni che si occupano di fact checking. Insomma, posizioni ben diverse da quelle adottate in tempi non lontani (nel novembre 2016 Mark Zuckerberg dichiarava che era “folle” pensare che Facebook avesse condizionato il voto nelle elezioni americane), a cui hanno fatto seguito iniziative di impatto.

Google a dicembre 2017 dichiara che bloccherà dai risultati del suo motore di ricerca per le notizie i siti e le pagine di informazione che mascherano il loro paese di origine. Questa mossa dovrebbe contrastare casi come quello della Internet Research Agency, l’agenzia russa accusata di avere interferito nelle elezioni presidenziali americane.

Facebook a gennaio 2018 – quasi contemporaneamente al lancio del team anti-fake news della polizia postale – sbarca in Italia con un progetto di contrasto alla diffusione delle Fake News in campagna elettorale (al momento in collaborazione con Pagella Politica), che prevede la segnalazione delle notizie giudicate false. Da notare che progetti simili sono stati avviati anche in altri Paesi.

Si tratta di iniziative forse legate al timore di perdere quote di mercato a causa della sfiducia degli utenti, ma anche contemporanee a delle prese di posizione importanti negli USA.

Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 la denuncia del rischio di una interferenza russa sulle elezioni politiche italiane, che potrebbe realizzarsi con la diffusione di fake news, da parte del vice presidente della Commissione affari esteri del Senato USA, Ben Cardin, ribadita in un articolo pubblicato su Foreign Affairs da Joseph R. Biden, vice presidente degli USA sotto la presidenza Obama e da Michael Carpenter, segretariato della difesa nello stesso periodo.

Nel dicembre 2017 l’annuncio da parte della Federal Cmmunication Commission dell’addio alle politiche di “net neutrality”, basate sul principio che tutto il traffico su Internet deve essere trattato allo stesso modo, e che in teoria dovrebbe consentire ai piccoli fornitori di contenuti e servizi di essere visibili alla pari dei grandi.

I paesi europei dovrebbero riflettere.