Democrazia in pericolo
Prima del crollo del Muro di Berlino, la Polonia si preparava da molto tempo a lasciare i modelli politici imposti della dittatura comunista, per avviarsi verso quella che nel Preambolo dell’attuale Costituzione è stata definita “una determinazione sovrana e democratica del proprio destino.” La transizione dal blocco sovietico è avvenuta in modo pacifico permettendo l’affermarsi del primo governo non comunista, subito dopo le elezioni del 1989. I cambiamenti interni alla rinata democrazia polacca sono stati consolidati dalla svolta nelle relazioni internazionali del paese, con l’ingresso nella NATO e l’adesione all’Unione Europea. In questa prospettiva, la Polonia ha rafforzato la sicurezza nazionale e riformato il sistema militare mediante l’introduzione del controllo civile sulle forze armate, ed è riuscita a massimizzare l’uso dei fondi europei per politiche di investimento e sviluppo. Infine, tra questi due ambiti si colloca il Gruppo di Visegrad che è servito per una collaborazione regionale privilegiata e stabilizzare l’area.
Questi step hanno permesso al paese di compiere quella che in molti hanno considerato come una cesura netta con il tempo delle dittature. Tuttavia dopo un quarto di secolo aumentano i rischi per la natura democratica delle sue istituzioni, a causa del crescente potere del movimento politico “Diritto e giustizia” (più conosciuto con l’acronimo “PiS”), che controlla la maggioranza parlamentare e la presidenza della repubblica.
Il PiS promuove una visione di destra, che è possibile riassumere come conservatrice, filo-cattolica ed euroscettica. A seguito delle elezioni del 2015, il partito ha formato il primo governo monopartito della storia polacca dalla fine del comunismo ed ha rinnovato la leadership del paese. Nonostante sia una forza politica fondata da figure di spicco come Jarosław Kaczyński, i ruoli di governo sono stati affidati ad una nuova generazione. È il caso del presidente della repubblica, il quarantacinquenne Andrzej Duda. Un politico molto controverso che dopo aver posto il veto su una delle tanto contestate leggi di riforma della Corte costituzionale, ha diviso i polacchi, fra chi l’ha acclamato di aver salvato la democrazia e chi l’ha accusato di aver tradito la patria.
Diversamente da quanto avvenuto in passato, la minaccia non è più estera, bensì legata alla politica interna ed in particolare alle deboli garanzie costituzionali e all’utilizzo strumentale del potere legislativo. Oltre le riforme della Corte costituzionale, vi sono molti altri aspetti da tenere a mente per far luce sui rischi per la democrazia polacca, considerando che non è necessario cambiare la costituzione per dominare il potere giudiziario o imporre il dominio di un solo partito su tutto il sistema istituzionale polacco.
In Polonia mancano molti di quegli anticorpi a difesa della democrazia presenti in alcuni paesi occidentali. In particolare, l’intero sistema paese non sta proteggendo la sua identità democratica contro leadership che si servono delle procedure della democrazia per finalità illiberali, cercando di attaccare il sistema di check and balances dal suo interno come il tentativo del PiS di convertire la Corte in un’istituzione politica priva della sua indipendenza.
La minaccia del PiS è accresciuta dall’assenza di un’opposizione che possa fermare le sue scelte, nel paese, in parlamento, nel partito stesso e dall’assenza di meccanismi internazionali di tutela dello stato di diritto. Ad eccezione delle concessioni ai manifestanti, sia nel caso delle cosiddette “donne in nero” contro le restrizioni all’aborto, sia nel caso delle protese di luglio contro la riforma costituzionale, non vi è altra legge che non sia stata approvata secondo i piani del partito ed alcune di queste sono cruciali per lo stato di diritto nel paese. È il caso della riforma delle comunicazioni che ha conferito il potere di nomina dei direttori delle TV e radio pubbliche al Ministro del Tesoro, e delle nuove norme antiterrorismo che hanno alzato il livello di controllo sulla vita privata dei cittadini, introdotto nuovi blocchi dei siti web e limiti al diritto di assemblea.
In secondo luogo, la minoranza in parlamento non costituisce un’opposizione al partito di governo che può approvare autonomamente le nuove leggi, senza il sostegno di altri gruppi parlamentari. Inoltre seppure non è un sistema parlamentare con vincolo di mandato, il dissenso nel partito è praticamente inesistente, a differenza di quanto avviene in altre democrazie come negli Stati Uniti, dove leader politici repubblicani hanno più volte votato contro proposte di legge avanzate dal loro stesso partito (basti pensare al voto contro l’Obamacare). Già quando il partito era all’opposizione, suoi parlamentari votavano uniti nel 98,65% dei casi. (Fonte: The Washington Post, 2017).
L’ultima salvaguardia potrebbe esser il legame con la NATO e quello con l’UE, ma difficilmente la democrazia in Polonia potrà esser salvata dal vincolo esterno. Ogni azione esterna sarebbe additata come nuova ingerenza finalizzata a sottomettere la Polonia ad una potenza straniera, con l’effetto indesiderato di aumentare il consenso del PiS e la sua narrativa nazionalista.
Il problema della deriva autoritaria di uno stato della NATO potrebbe esser completamente ignorato dagli alleati. Il prevalere di una linea di politica internazionale ispirata alla realpolitik e l’attenzione per gli interessi più che per i diritti, potrebbero prevalere nel tempo della presidenza Trump e giocare a favore di uno stato membro che non può esser in alcun modo criticato, dal momento che ha già aumentato la spesa militare, nonostante fosse tra le più alte.
Infine, l’Unione Europea non ha una strategia per contenere le derive autoritarie interne agli stati membri a causa della natura fortemente intergovernativa dei suoi processi decisionali. Inoltre, laddove fatti politici imprevisti o le prossime elezioni non dovessero cambiare il corso degli eventi, c’è il rischio che un importante blocco autoritario cresca nel cuore dell’Europa, formando una minoranza non democratica che prenderà parte alle decisioni europee, in aperto contrasto con i suoi valori, ed è in dubbio che l’UE possa esistere se la democrazia dei suoi stati membri dovesse venir meno.
La forza del PiS, fuori e dentro i palazzi, e le debolezze di una democrazia ancora giovane, rappresentano un mix di condizioni sfavorevoli alla tenuta delle istituzioni liberali che potrebbe costare molto al futuro della Polonia e farla scivolare in una vera e propria “fake democracy”, dove la separazione dei poteri sembra esser una pura formalità e chi domina il parlamento, può estendere la propria egemonia su tutto lo stato. Una condizione già descritta nel 1919 dallo storico inglese Eric Hobsbawm che parlando di un altro paese dell’Europa centro-orientale (l’Ungheria), la cui democrazia oggi non gode di buona salute, avvisava del pericolo di “uno stato autoritario che rimane parlamentare, ma non democratico.”
* Contributo pubblicato sulla rivista “eastwest“, numero 74 (Novembre-Dicembre 2017). Qui riportato integralmente su gentile concessione dell’autore.