Il Dilemma Russia

di Stefano Silvestri

“Le simpatie del neo-Presidente Donald Trump per Vladimir Putin sollevano paure e timori all’interno dell’Unione Europea (UE), fragilmente esposta alle mire russe di riconquista dello spazio di sicurezza, un tempo Repubbliche sovietiche, oggi Paesi membri o vicini all’UE e alla NATO. Confinare la relazione con Mosca alla sola cooperazione energetica, rinunciando a una discussione aperta sul dossier nucleare e sul destino dei Paesi ad Est dell’UE, tradisce l’inesistenza di una politica europea unitaria verso la Russia e apre alla possibilità che Putin riesca a sfruttare l’indebolimento del contesto multilaterale europeo a vantaggio di rapporti bilaterali più favorevoli a Mosca.”

Donald Trump non è il primo Presidente americano a voler riannodare i rapporti con Mosca. La stessa cosa volevano fare i suoi due predecessori, George W. Bush e Barack Obama, che parlavano della necessità di un vero e proprio «reset». Ambedue peraltro fallirono clamorosamente l’obiettivo. Bush provvide a liquidare il trattato sulla limitazione dei sistemi antimissile e sostenne politiche fortemente impopolari in Russia, come l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO. Obama, pur riuscendo ad accordarsi con Vladimir Putin (e con gli alleati europei) sulla questione del nucleare iraniano, ha subìto il montare degli interventi militari russi in Siria e in Ucraina. Non sono chiare le intenzioni di Trump che, per il momento, si è limitato a pronunciare affermazioni generiche di apprezzamento nei confronti di Putin. Gli europei temono che il nuovo Presidente americano possa essere tentato da un’intesa bilaterale a spese dei suoi alleati; se non del Giappone e della Corea del Sud, che hanno un grande significato strategico anche nei confronti della crescente potenza cinese, almeno dei paesi europei. L’atteggiamento critico assunto da Trump nei confronti dell’Unione Europea (UE), gli incoraggiamenti a Londra a proseguire sulla via della Brexit e, da ultimo, ma non meno importante, l’espressa volontà di condizionare il contributo americano alla difesa dell’Europa a un netto aumento delle spese europee per la difesa, fanno pensare che tutto sia diventato negoziabile e che i vecchi pilastri del rapporto transatlantico siano ormai in forse. Ma il vero problema europeo è che non esiste una chiara strategia comune, una politica soddisfacente o quanto meno accettabile, nei confronti della Russia, benché questo Paese sia militarmente importantissimo, abbia un gigantesco arsenale nucleare, stia conducendo conflitti armati in Europa e in Medio Oriente e sia essenziale per la sicurezza energetica europea.

1. UNA RELAZIONE CONFLITTUALE // ANTICHE DIVERGENZE // ALLE RADICI DI UN CONTRASTO

L’errore strategico iniziale è stato commesso negli anni immediatamente successivi al 1989, quando, con la caduta del muro di Berlino e il rapido disfarsi dell’impero sovietico (inclusa la stessa URSS), fu ormai chiaro che l’Occidente aveva vinto la Guerra Fredda. A differenza delle precedenti guerre mondiali, quest’ultima non si è conclusa con un atto formale, un trattato di pace. Tuttavia le decisioni prese in quegli anni si stanno dimostrando tanto sbagliate quanto furono quelle sottoscritte a Versailles, che pavimentarono la strada che condusse dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale. Ora c’è da augurarsi che gli errori del dopo-1989 non ci spingano verso un altro analogo disastro. Benché oggi Putin appaia all’attacco, in particolare in Ucraina (ma non dimentichiamo l’intervento contro la Georgia che portò al distacco da quel Paese dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale), e soprattutto per l’annessione della Crimea, per anni la Russia si è sentita costretta nella posizione del perdente. La dissoluzione dell’URSS non può essere direttamente imputata alla politica occidentale, ma non si può neanche dire si sia tentato in qualche modo di tener conto delle legittime preoccupazioni di Mosca, né degli equilibri strategici di lungo termine. Al contrario, la sin troppo rapida integrazione nella NATO e nell’UE dei paesi europei orientali e delle tre Repubbliche baltiche (che facevano parte dell’ex-URSS) e poi l’estendersi di un analogo interesse alla Moldavia, alla Georgia e infine all’Ucraina, sono stati chiaramente percepiti in Russia come un attentato diretto alla sicurezza del Paese e al suo status internazionale. Non ha certamente aiutato alla comprensione reciproca il conflitto della NATO con la Serbia e il forzato distacco del Kosovo da Belgrado, malgrado la forte opposizione russa. Non è un caso se, a giustificazione dell’annessione della Crimea, Mosca citava ampiamente il «precedente» del Kosovo. Poco importa se in linea di diritto le due situazioni sono molto diverse e se comunque un’eventuale violazione del diritto internazionale non ne giustifica una successiva: qui parliamo di percezioni e di politica. In realtà ci fu un momento in cui sembrò delinearsi la possibilità di una storia diversa. Gli anni sono quelli attorno al 2002, quando si svolse a Pratica di Mare, presso Roma, il vertice NATO-Russia e, pur restando le due entità separate, venne istituito il Consiglio NATO-Russia, con l’idea di avviare una concertazione permanente tra queste due realtà. Ma l’illusione fu di breve durata. Le scelte unilaterali dell’Amministrazione americana in Medio Oriente (in particolare l’invasione dell’Iraq) vennero vissute negativamente a Mosca, come del resto in altre capitali europee, e le incomprensioni vennero ulteriormente rafforzate dall’incapacità di arrivare a un accordo sul dispiegamento delle difese antimissile in Europa da parte dell’Alleanza Atlantica. Successivamente, la decisione di aprire la NATO a una possibile adesione di Georgia e Ucraina (quest’ultima diplomaticamente «dimenticata» sin dal Vertice atlantico in Galles del 2014) e le acuite incomprensioni nei rapporti con l’UE, accresciute dall’irritante retorica antirussa dominante in molti paesi dell’ex-Europa orientale, si sono aggravate in particolare in campo energetico, quando alcune posizioni negoziali dell’UE sembrarono a Mosca come un appoggio esterno di avversari politici del Presidente Putin. Tutto ciò contribuì a svuotare di ogni senso lo «spirito» del 2002 e al pressoché completo abbandono del Consiglio NATO-Russia (anche se ora sembrano delinearsi possibilità di una sua, pur modesta, ripresa). Gli errori americani ed europei non giustificano le scelte inaccettabili del Cremlino, in particolare in Ucraina, né l’involuzione autoritaria del regime russo, ma contribuiscono a spiegare come mai dobbiamo ora affrontare i rischi e i costi di un nuovo confronto Est-Ovest in Europa: nella speranza, questa volta, di non ripetere gli stessi errori. Ciò non esclude la possibilità di migliori rapporti bilaterali con alcuni paesi europei, in particolare attorno alla politica energetica: basti pensare alla Germania e all’Italia. Tuttavia questo è vissuto più come un’eccezione, legata alla soddisfazione di reciproci interessi settoriali, che come un’alternativa strategica alle posizioni assunte in campo multilaterale, nella NATO e nell’UE. Il fedele allineamento italiano e tedesco alla politica delle sanzioni economiche contro la Russia, decise in seguito all’aprirsi della crisi ucraina, ha certamente convinto Mosca dell’opportunità di indebolire al massimo questi contesti multilaterali, in netto contrasto con le politiche esplicitamente sostenute a Berlino e a Roma.

2. MOSCA GUARDA A ORIENTE

La Russia ha cercato di rispondere a queste pressioni, e all’indebolimento della sua posizione strategica complessiva, cercando a Oriente quello che non trovava a Occidente. Tradizionalmente in competizione con la Cina, sin dalla rottura decisa dal Presidente Mao Zedong, e alleata dell’India, Mosca ha visto in questi anni indebolirsi il suo rapporto con Nuova Delhi e ha invece puntato a rafforzare quello con Pechino, in particolare entrando a far parte della Shanghai Cooperation Organization (SCO). In questa direzione va anche l’istituzione della Comunità (futura Unione) eurasiatica, volta a integrare le cinque Repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale con Russia e Bielorussia in un unico quadro politico-economico, con evidenti implicazioni di sicurezza. In questo quadro entra anche la Cina, fortemente interessata alla stabilità della regione eurasiatica, che costituisce una delle due direttrici del suo grande progetto di proiezione economica internazionale che prende ispirazione dall’antica «via della seta». Non è una scelta strategica di tutto riposo. Se un tempo, tra URSS e Cina, il rapporto gerarchico era chiaramente a favore di Mosca, oggi il quadro, se non completamente invertito, è certamente molto più orientato a favore di Pechino. Tuttavia la Cina deve fare i conti con la crescente difficoltà dei suoi rapporti con gli Stati Uniti e con i paesi chiave dell’Asia-Pacifico, come il Giappone, la Corea del Sud, il Vietnam e i paesi dell’ASEAN, preoccupati dalle rivendicazioni territoriali di Pechino. La Cina ha quindi un interesse crescente ad assicurarsi uno stabile retroterra strategico nei territori dell’ex-URSS. Ma in ultima analisi, a parte la sua residuale potenza militare convenzionale e il suo ancora imponente arsenale nucleare, la maggiore carta strategica della Russia moderna resta l’energia, di cui la Cina ha certamente bisogno, ma che in realtà, ad oggi, solo in minima parte soddisfa la domanda di Pechino, essendo piuttosto legata a infrastrutture dirette verso l’Europa. Benché questo sistema stia già oggi accrescendo la sua flessibilità così da essere più presente sul mercato asiatico, bisognerà anche tenere conto di altri sviluppi significativi, che potrebbero invece andare nel senso auspicato dal Presidente Trump (che non è certo un amico della Cina). Il grande accordo che l’allora CEO della ExxonMobil – attualmente Segretario di Stato americano – Rex Tillerson, ha concluso con la Russia per la ricerca e lo sfruttamento delle risorse energetiche dell’Artico potrebbe preludere anche a migliori intese con Washington, indipendentemente da Europa o Cina. Tuttavia, qualsiasi nuova politica europea si voglia concepire nei confronti di questa Russia è necessario in primo luogo domandarsi quali siano gli obiettivi strategici di Putin, e come potrebbero impattare sulla sicurezza europea. Non sono considerazioni facili. Se all’inizio la politica russa poteva apparire essenzialmente reattiva e difensiva, questo stadio è stato definitivamente superato con la decisione di intervenire in Siria e con la ripresa di una diplomazia attiva della Russia in Medio Oriente (incluso il comparto energetico, che ha visto una più stretta cooperazione tra Mosca e OPEC).

3. UNA POLITICA UE VERSO LA RUSSIA // LO SCACCHIERE EUROPEO // RIAPRIRE AL DIALOGO

Probabilmente l’obiettivo iniziale di Putin era quello di ricostituire lo spazio strategico di sicurezza della Russia (grosso modo coincidente con quello dell’ex-URSS). Ora tuttavia potrebbe porsi obiettivi più larghi, magari anche profittando di possibili aperture della nuova Amministrazione americana. In tal caso, egli potrebbe trovarsi in accordo con Trump sull’opportunità di indebolire un contesto multilaterale come quello dell’UE, a vantaggio di più stretti rapporti bilaterali. L’obiettivo non sarebbe quello di una costosa (e tutto sommato inutile) riconquista dell’Europa orientale, quanto piuttosto la sua intimidazione e il suo indebolimento attraverso il logoramento del contesto multilaterale che oggi la sorregge. A questo fine Putin potrebbe contare sulla cooperazione di quegli «utili idioti» che in quei paesi conducono campagne nazionaliste e anti-europee, nonché dei movimenti nazional-populisti che guadagnano seguito e forza nel resto d’Europa. L’UE si troverebbe così a dover affrontare contemporaneamente importanti pressioni esterne e forti crisi interne, dando maggiore spazio ai rapporti bilaterali con Mosca, non solo in campo energetico. Questi sviluppi non sono inevitabili, ma divengono tanto più probabili quanto più assente e incerta è una linea politica comune europea nei confronti di Mosca. Il fatto che sia probabilmente impossibile, in questo momento, unificare i diversi punti di vista dei 27 paesi membri, malgrado la leadership dimostrata in questi mesi dalla Germania per quel che riguarda il conflitto in Ucraina, dovrebbe essere considerato un punto di partenza e non di arrivo. Se almeno fosse possibile concepire una posizione comune tra i maggiori paesi europei, con o senza tutti i nuovi membri europei orientali, così da dare a Mosca un segnale preciso e una sponda di eventuale dialogo, il quadro apparirebbe più positivo. Non sarebbe però prudente ignorare alcune questioni difficili, da porre sul tavolo dell’alleato americano oltre che dell’interlocutore russo, per evitare che siano troppo facilmente aggirate o dimenticate. La prima questione riguarda le armi nucleari in Europa. Mosca sembra ormai decisa a ignorare il Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) che aveva posto fine alla crisi degli euromissili degli anni 1980, eliminando quest’intera categoria di sistemi d’arma. Oggi, il dispiegamento di un nuovo missile di crociera con quelle caratteristiche tecniche riapre quel capitolo e si aggiunge alle preoccupazioni europee circa l’imponente arsenale russo di armi nucleari «tattiche» (con un rapporto di circa 10 :1 a sfavore della NATO). Ciò va di pari passo con l’elaborazione di una dottrina strategica che prevede l’uso ravvicinato di ordigni nucleari in caso di guerra. Trump ha a volte confusamente accennato alla necessità di un nuovo accordo nucleare strategico con la Russia. In realtà sembra molto più urgente arrivare a ridefinire i rapporti nucleari tattici e di teatro di guerra, nonché regolare e ridurre il crescente numero di «invasioni di campo» di mezzi militari russi negli spazi aerei e marittimi europei. La seconda questione riguarda lo statuto delle Repubbliche indipendenti ex-sovietiche. Se da un lato è stato certamente improvvido e affrettato puntare a una loro integrazione a Occidente, che avrebbe fortemente danneggiato, politicamente, economicamente e strategicamente, la Russia, dall’altro non è neanche accettabile una politica di sistematica violazione dei diritti umani e di intimidazione armata di questi paesi. Un certo numero di reciproche concessioni e garanzie potrebbe dar luogo a un quadro molto più stabile e soddisfacente per tutti. Ciò si estende ovviamente anche alla sicurezza dei paesi membri della NATO e dell’UE, incluse le Repubbliche baltiche (anche se, in alcuni casi, potrebbe essere utile esercitare su di loro pressioni per un miglior trattamento delle minoranze russofone e un più completo riconoscimento dei loro diritti civili). Non scordiamoci infatti che nel Trattato UE, ereditata dal vecchio Trattato di Bruxelles dell’Unione Europea Occidentale, vi è una clausola automatica di solidarietà tra i paesi membri in caso di attacchi o minacce che è anche più stringente di quella contenuta nell’art. 5 del Trattato di Washington che ha istituito l’Alleanza Atlantica. Benché l’UE non rifletta molto su questi impegni, né abbia ancora una sua politica di difesa comune, ciò non la esime dalle sue responsabilità. Ragione in più per chiarire preventivamente e meglio il rapporto con Mosca. In questo stesso senso bisognerebbe considerare i problemi dell’area mediterranea, dove la Russia non è solo impegnata in Siria, ma è politicamente sempre più presente anche in Egitto e in Libia. Si possono trovare qui occasioni di convergenza, oltre che di divergenza, che andrebbero certamente esplorate. Infine, naturalmente, sul piano interno europeo bisognerà vigilare affinché la possibile saldatura tra la strategia russa e il montare dei movimenti nazionalisti anti-europei non si solidifichi e soprattutto non porti al tentativo di influenzare indebitamente l’andamento delle consultazioni elettorali. Nell’attesa che un miglior rapporto politico multilaterale tra la Russia e l’Europa si sviluppi, è essenziale evitare che Mosca possa considerare più facile e pagante puntare sui fenomeni di disgregazione. Nessuna di queste politiche è facile o evidente, tuttavia la posta in gioco è molto alta e le incertezze strategiche della nuova Amministrazione americana obbligano gli europei a una maggiore coerenza e a un pensiero di più lungo termine. I buoni rapporti energetici esistenti tra la Russia e svariati paesi europei possono essere un biglietto da visita, ma non possono definire l’insieme dei dossier aperti. Al contrario, l’incapacità di affrontare tali dossier finirebbe per ripercuotersi negativamente anche sul mercato dell’energia.


*Pubblicato su Rivista Energia in data 20/03/2017