La Russia dopo Putin: Vittoria democratica o disastro imminente?
Vladimir Putin, considerato, da molti, l’uomo più potente del mondo, negli ultimi mesi sta costatando all’interno della sua Nazione, un calo non indifferente del suo indice di gradimento. Ciò non era mai accaduto prima, le manifestazioni contro il governo diventano sempre più numerose, supportate soprattutto dal leader dell’opposizione Aleksej Navalny.
Navalny, nel 2011, aveva pubblicato sul suo blog, https://navalny.com/, gli scandalosi fenomeni di corruzione avvenuti tra i politici della maggioranza, iniziando così la sua campagna anti-corruzione.
Il giovane avvocato, paladino della giustizia e della correttezza politica, ha fondato, sempre nel 2011, la ONG “Anti-corruption Foundation (Fond bor’by s korruptsiei, FBK)”, composta da a un team di 30 persone che investigano sugli atti illeciti tra i ranghi della politica.
Il 7 ottobre 2017, giorno del compleanno di Vladimir Putin, le vie di San Pietroburgo hanno visto sfilare un gruppo di cittadini in protesta contro il governo.
A cento anni dalla rivoluzione, la sua eco non si è ancora del tutto acquietata. Proprio nelle strade che hanno visto il sollevamento del popolo contro lo Zar, i russi hanno marciato manifestando il loro disappunto nei confronti del governo e del capo dello Stato, gridando: “Abbasso lo Zar!”
Questi piccoli “revival” rivoluzionari sono forse uno dei motivi per il quale Putin ha deciso concedere uno spazio quasi insignificante alla cerimonia per il centenario dalla Rivoluzione di Ottobre? Teme forse una sedizione che lo vedrà costretto alle dimissioni, se non all’esilio, com’è accaduto al collega Viktor Janukovic nel 2014?
Gli indici di gradimento del presidente della Federazione Russa sono stati sempre particolarmente elevati, soprattutto nelle aree suburbane del paese. I cambiamenti dell’opinione pubblica stanno avvenendo per lo più nelle grandi città, dove soprattutto i giovani, costretti spesso a lasciare il paese per cercare lavoro e forse libertà altrove, chiedono un veritiero cambio della guardia.
Quali sono state le azioni di Putin che l’hanno reso indispensabile per il paese e il popolo russo? Quali sarebbero, quindi, le conseguenze della fine dell’era “Putinista”, e delle politiche da lui messe in atto in questi ultimi diciotto anni? La Russia è pronta a questo cambiamento, a vivere in una “democrazia piena”?
La Federazione Russa ha visto la sua nascita dopo quasi un millennio di assolutismo e settant’anni di regime comunista, la sua storia è impregnata di dolore e sofferenza, com’è possibile leggere nei suoi romanzi più celebri. La melanconia e l’amaro sarcasmo degli autori dei classici russi non sono altro che il riflesso di una società despota e arretrata che non si è mai preoccupata del benessere del popolo.
Lo zarismo, così come il comunismo, ha governato con pugno di ferro su una popolazione terrorizzata dai propri governanti, spaventata di parlare, di esprimere con sincerità un’opinione politica che divergesse dalla voce del coro, dalla collettività. Ciò è possibile osservarlo ancora adesso, spesso, se si prova a chiedere un’opinione del proprio governante a un russo, potrebbe rispondere in modo vago, senza dare un’idea concreta del suo pensiero politico. Tale tentennamento non è dovuto a una mancanza di fermezza nelle proprie convinzioni, ma al semplice ricordo di un passato, non così remoto, dove tutti i muri avevano le orecchie. Il terrore di essere spiati, persino dalle persone più care, e denunciati all’Ochrana, la polizia zarista, o al KGB, fa tremare ancora.
Le dimissioni in diretta di Gorbachev, il 25 dicembre 1991, hanno segnato un punto di svolta nella storia, dopo 45 anni di bipolarismo. La Guerra Fredda era finita, il comunismo aveva fallito e la storia russa era tutta da riscrivere.
Il suo popolo, smanioso di libertà politica, economica e sociale, aveva visto in Boris Yeltsin, nonostante i palesi vizi alcolici, un uomo nuovo, con idee aperte a un cambiamento radicale, enfatizzate dalla sua audacia politica e lontana dal pacato riformismo di Gorbachev.
Il 12 dicembre 1993, entrò in vigore la prima Costituzione democratica mai apparsa nel paese dal giorno della sua esistenza.
Questa prevede una separazione dei poteri secondo la teoria di Montesquieu (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario), un sistema multipartitico (l’attuale Duma conta quattro partiti), elezioni legislative ogni quattro anni (oggi ogni sei) e una sovranità del popolo espressa attraverso il voto diretto.
Il parlamento della Federazione Russa è composto da due camere, la Duma di Stato, con 450 membri e il Consiglio della Federazione, contante 175 rappresentanti delle diverse entità amministrative: gli Oblast (le regioni), gli Okrug (le repubbliche autonome), le due città federali (Mosca e San Pietroburgo) e il Birobidzhan, la regione ebraica creata da Stalin nel 1931.
La Russia è diventata, tecnicamente, una democrazia.
Negli anni ’90 le politiche di privatizzazione messe in atto dal ministro Anatolij Chubajs, durante il governo Yeltsin, favorirono un gruppetto d’imprenditori intenti a costruire la loro fortuna con gli import-export e le energie, in particolar modo gas e petrolio.
Questi giovani rampanti, poco più che trentenni, hanno sfruttato le loro relazioni con la nomenclatura per impadronirsi delle imprese di Stato, approfittando dei buoni distribuiti dal governo per ogni cittadino.
A metà degli anni 90, le casse dello Stato erano asciutte e per risparmiare il governo Yeltsin decise di tagliare i fondi all’assistenza sanitaria, ai servizi sociali e le spese militari, ma ciò nonostante il baratro sembrava sempre più vicino.
In Russia, le uniche a disporre di capitali erano le banche, le quali prestarono denaro al governo chiedendo in garanzia le azioni dei giganti di stato, petrolio, gas e metalli. In questo modo le più grandi aziende statali (Norilks Nickel, Yukos, Lukoil e Sibneft) passarono nelle mani di pochi banchieri privati.
Oltre alle energie e ai metalli, gli oligarchi si accaparrarono anche di canali televisivi, mezzo fondamentale per rafforzare il proprio potere politico, sostenendo e facendo vincere uno sfavorito Yeltsin, alle elezioni del 1996.
Gli oligarchi riuscirono così a scavalcare le mura del Cremlino, come ad esempio Boris Berezevoskij, divenuto segretario esecutivo della Comunità degli Stati Indipendenti.
Si era creata la “Semja”, la Famiglia, un governo composto da ex membri del partito comunista che avevano abbandonato tutti gli ideali nei quali erano cresciuti e avevano creduto, per allearsi con nuovi ricchissimi imprenditori senza scrupoli.
Vladimir Putin, all’epoca pupillo di Anatlolij Sobchak (sindaco di San Pietroburgo dal 1991 al 1996), divenne nel 1999 primo ministro del presidente Yeltsin.
Il compito non si prevedeva semplice, doveva far fronte al terribile disastro economico nel quale era sprofondato il paese, la guerra in Cecenia, iniziata nell’agosto del ’94, era terminata da poco, e il potere della “Semja” si dilagava sempre di più, enfatizzando un enorme divario sociale all’interno della Nazione.
La Federazione Russa, un paese con undici fusi orari, che conta 175 etnie diverse, aveva a suo tempo trovato un punto in comune nell’ideologia comunista, una volta sparita, tutte le divergenze erano tornate a galla, e con esse, i fondamentalismi, in particolar modo nella calda regione del Caucaso.
La seconda guerra in Cecenia, scoppiata con l’ascesa di Vladimir Putin alla carica di primo ministro, era sorta con l’invasione del Daghestan da parte del fondamentalista leader ceceno, Shamil Basaev, che si proclamò protettore della sua fazione separatista. L’esercito russo entrò a sua volta nella regione e come risposta, i ceceni iniziarono una serie di attentati contro la popolazione civile russa, facendo esplodere i condomini nelle città, dove le più colpite furono Mosca e Volgodonsk.
Putin dimostrò caparbietà e ordinò all’esercito, all’epoca terribilmente indebolito dalla caduta del comunismo e dai tagli alle spese militari, d’invadere Groznij, la capitale cecena, con mezzi che avrebbero dovuto giustificare il fine.
Il 26 marzo 2000 Vladimir Putin è eletto presidente della Federazione Russa con il 53% dei voti, la battaglia che gli si presenta dinanzi, è più difficile del previsto. Il paese riversava in condizioni disastrose, ma gli obiettivi del neo capo di Stato erano chiari.
Alla prima presidenza, Putin decise di porre fine al governo dorato degli oligarchi, iniziando con l’interruzione delle privatizzazioni, onde “evitare di svendere la proprietà statale”, come il presidente stesso ha affermato nell’intervista di Oliver Stone. “Interruzione” non è però il termine giusto, avrebbero continuato a privatizzare ma seguendo un modello più corretto, proteggendo le proprietà e i suoi diritti, evitando così un eccessivo e pericoloso depauperamento.
Un’altra sfida era la ricostruzione dell’Armata russa, ormai dimezzata, con gli stipendi ai minimi sindacali e un armamentario obsoleto, non corrispondeva più all’esercito della super potenza che un tempo fu l’Unione Sovietica.
Uno dei piani di Vladimir Putin era proprio quello di riportare la Russia al prestigioso livello geopolitico di un tempo, concentrandosi sulla deterrenza nucleare, una delle poche caratteristiche di super potenza che gli era rimasto con il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza.
Il popolo russo, un tempo legato dall’ideologia, si stava ritrovando intorno alla figura del nuovo presidente che pian piano stava forgiando una Russia più unita (nome tra l’altro del suo partito, Edinaya Rossiya, Russia Unita) e sempre più influente dal punto di vista internazionale.
La figura di Putin non era l’unico punto di riferimento per i russi, la sempre più emergente Chiesa Ortodossa, sostenuta anche dalla religiosità del Capo di Stato, il quale ha sempre avuto relazioni strette con i patriarchi, Alessio II e il suo successore, Cirillo I, era un nuovo polo di convergenza nazionale e religioso per i cristiani del paese.
Il presidente Putin non ha mai celato il suo credo religioso, nel commentare la Madonna Litta di Leonardo disse: “Veramente la Madonna guarda negli occhi il Bambino Gesù sottolineando così che è lui il centro del quadro; ma il Salvatore guarda a noi ed è come se dicesse: so che avete delle difficoltà, ma io sto con voi.” Può darsi che anche in lui, il suo popolo, ha visto in qualche modo un Salvatore.
L’immagine forte del presidente era stata incrementata particolarmente negli anni dove il terrorismo ceceno stava diventando una piaga pericolosa per il paese. La celebre frase: “Noi perseguiteremo dappertutto i terroristi, e quando li troveremo, mi perdoni l’espressione, li butteremo dritti nella tazza del cesso” aveva fatto comprendere ai russi, per quanto colorita fosse stata l’affermazione del presidente, che erano protetti.
Vladimir Putin avrebbe messo sempre al primo posto la sicurezza e gli interessi del popolo russo, che in quegli anni di trambusto politico era in uno stato shock psicologico, avendo visto fallire il proprio ideale, e ciò lo risollevava enormemente.
Putin era ed è un mix perfetto del passato russo in salsa moderna. La sua carriera nel KGB evoca nei suoi cittadini il melanconico ricordo di una storia finita, che non esiste più, ma la sua ortodossia e il suo essere marziale costituiscono le perfette caratteristiche di un moderno Zar, intento nel forgiare le fondamenta di un nuovo Impero.
La rinascita dell’armata russa con l’incremento del budget militare, sacrificando altri settori, era iniziata nel 2008 durante la guerra in Georgia, con 700 miliardi di dollari d’investimento. Lo scopo era una riorganizzazione totale dell’esercito, creando forze più flessibili destinate a guerre locali .
E vi riuscì. In poco meno di dieci anni la Russia aveva acquistato una credibilità militare, non solo per la rinnovata armata, ma anche per la “prepotente determinazione” dimostrata nella riannessione, non violenta, della Crimea ed analogamente nel suo intervento in Siria.
Si sa però, che non è tutto oro quel che luccica e per quanto la forte personalità di Putin possa essere apprezzata in Patria come all’estero, questa denota di una certa indole autoritaria.
L’immagine di Zar del presidente russo, ovvero di autocrate, è incrementata dalla scarsa opposizione presente nel paese e nella limitazione di comunicazione. I media sono per lo più mezzi di propaganda che spesso e volentieri distorcono le notizie provenienti da occidente, gonfiando invece i dati nazionali.
Inoltre, la morte della giornalista Anna Politovskaja nell’ottobre del 2006, la quale aveva messo nero su bianco fatti assai sconcertanti riguardanti le guerre in Cecenia, e le morti ambigue degli oppositori, hanno calato un macabro velo dispotico sull’immagine di “Salvatore” di Vladimir Putin.
L’annessione della Crimea, la “guerra ibrida” in Ucraina, le “Fake news” propagate da siti e agenzie russe all’estero sempre pronte a puntare il dito contro l’Occidente e l’ingerenza nelle elezioni americane, hanno contribuito ad accrescere le ostilità non solo nei confronti di Putin, ma del paese in generale, il che ha avuto serie conseguenze negative anche sull’economia russa.
Il “Democracy Index” di The Economist colloca la Russia al centotrentaquattresimo posto, tra i Regimi Autoritari, con un punteggio di 3.24 su 10. Una posizione molto bassa che denota della mancanza totale di democrazia, sebbene la struttura costituzionale dello Stato dimostri proprio il contrario.
Paradossalmente, la struttura politica russa è più democratica di quella americana, dove la costituzione prevede che il presidente sia eletto mediante una procedura di secondo grado e scelto in seguito dai grandi elettori. Il candidato che ottiene la maggioranza è eletto da questi ultimi, che però, potrebbero rappresentare solo la minoranza di tutti i votanti, cosa già successa tre volte negli Stati Uniti.
Ma i fatti parlano chiaro, de Jure e de Facto, gli Stati Uniti sono una democrazia, la Russia no.
L’assenza di libertà di stampa, di un sistema giudiziario super partes e di un’opposizione parlamentare forte, colloca la Russia nella zona rossa del “Democracy Index”.
Anche il Freedom House, l’ONG che ricerca con lo scopo di sensibilizzare su temi come democrazia, libertà politica e diritti umani, colloca la Russia tra i paesi: “Not Free.” Accusata però da diversi politici e studiosi russi di essere una delle tante associazioni “russo fobiche”.
Un’altra accusa d’intolleranza rivolta al presidente Putin è stata l’emanazione della dibattuta legge sul divieto di “Manifestazione dell’omosessualità dinanzi a minori”, la quale è stata fortemente contestata dalla comunità LGBT russa e internazionale.
Secondo Putin, nell’Intervista di Oliver Stone, tale legge “cerca di proteggere i bambini che prima devono crescere e maturare, e solo in seguito potranno decidere il loro orientamento sessuale. Gli stiamo solo dicendo di lasciare stare i bambini, di lasciarli crescere, diventare adulti, non è una discriminazione.”
Se non fosse stata una discriminazione, ciò varrebbe anche per le manifestazioni di eterosessualità, dato che i bambini non dovrebbero in questo caso venire influenzati né da gli uni né dagli altri, tra l’altro il verbo usato dal presidente Putin, “decidere”, non è particolarmente consono in quanto non si decide se essere gay o meno, ma ci si nasce.
Tralasciando un istante le parole di Vladimir Putin, è comunque già un passo importante che in Russia vi sia rappresentata liberamente la comunità LGBT. Si ricorda che sino a pochi anni fa, l’omosessualità era un reato punibile con il carcere.
Ultimamente, grazie anche al WEB, molti russi nelle grandi città si stanno mobilitando per provare a cambiare qualcosa nel paese. La velocità nella propagazione delle informazioni su internet e le compagnie di voli low cost che permettono di viaggiare e spostarsi con più facilità, sono uno dei fattori per i quali i giovani in Russia si stanno sempre più indignando per la stretta autoritaria del presidente. Il confronto aperto con i liberi coetanei occidentali ha incrementato la frustrazione e il bisogno di cambiamento tra i ranghi della nuova generazione.
A capo di questa generazione, vi è un giovane avvocato e blogger di quaranta due anni fautore dei diritti umani e della correttezza politica, Aleksej Navalny.
La sua figura è emersa nel 2011 con il suo blog, dove denunciava gli atti di corruzione tra i leader della maggioranza, tra cui l’enorme scandalo che vedeva come protagonista nientepopodimeno che Dmitrij Medvedev, ex primo ministro e attualmente presidente del partito di maggioranza, “Russia Unita”.
Navalny dopo una serie di articoli pubblicati riguardanti scandali di corruzione, e disonestà, il 2 marzo 2017 ha reso pubblico su Youtube un doco-film di circa 46 minuti, sulla fastosa vita di Medvedev.
Il video è intitolato “Don’t call him Dimon” (On vam nye Dimon,“Dimon” in russo è il soprannome per chi si chiama Dmitrj) e mostra come all’ex presidente russo è stato regalato un castello dall’amico e oligarca Alisher Usmanov, più diversi scandali sulle proprietà acquisite e la dubbia provenienze di un’importante somma di denaro.
Nel 2011 Navalny creò l’”Anticurruption Foundation” (Fond bor’by s korruptsiei, FBK), l’unica ONG in Russia che si occupa di Anticorruzione.
Il team dell’FBK è composto da trenta giovani che ricercano e pubblicano atti di corruzione tra i ranghi della politica. Lo scopo è quello di monitorare le azioni delle autorità per lottare contro la corruzione e proteggere i diritti civili delle persone, garantendo il rispetto della legge e l’unità del popolo nell’onestà e nel rispetto della Nazione.
I dati rilevati dall’FBK sono sconcertanti, mostrando come il governo, corrotto, abbia avuto un impatto catastrofico sul rendimento del benessere della popolazione.
Il sistema di corruzione creato, vede coinvolti una cerchia ristretta di amici del presidente, i quali possiedono i “business” principali della Nazione, godendo anche in questo modo d’ immunità e privilegi politici. Per quanto Putin abbia lottato contro il sistema politico degli oligarchi, sembra quasi abbia nostalgia degli scoppiettanti anni 90.
Le piccole e medio imprese sono state costrette a chiudere, spesso inglobate da quelle più grandi e la classe media, appena nata, che è stata uno dei pilastri portanti del paese negli ultimi undici anni, si sta estinguendo di nuovo.
Si noti come la crisi economica russa, non è dovuta semplicemente alle sanzioni imposte da Ovest.
Aleksej Navalny, deciso a correre per la campagna presidenziale, ha presentato il programma del suo partito di opposizione, “Partja Progressa” (P.P), il Partito del Progresso, come particolarmente liberale.
Il suo scopo è quello di:
Decentralizzare il potere in Russia; tagliare il numero di governanti ufficiali; mettere in atto politiche ostruzioniste contro i responsabili della repressione politica; ridurre il potere del Presidente; cambiare la forma dello Stato da Repubblica presidenziale in Repubblica parlamentare, assicurare l’indipendenza del potere giudiziario, ridurre al massimo l’interferenza del governo nell’economia, porre fine alla censura, proibire al governo il possesso di mezzi d’informazioni ed abolire le coscrizioni.
Un programma simile non si era mai visto prima in Russia, Navalny si sta forse accostando alla generazione ultra liberale di Macron e Trudeau?
Per quanto il programma abbia sollevato questioni importanti e cercato soluzioni liberali riguardanti la politica interna, è possibile applicarlo in un paese come la Russia? Quale sarebbe il rischio se in Russia ognuno potesse esprimersi in assoluta libertà? Conoscendo le lotte intestine del paese tra le varie regioni ed etnie, non è come gettare benzina su quelle micce pronte a esplodere che Putin è riuscito, momentaneamente, a spegnere con le buone e con le cattive?
Inoltre, una Russia sotto forma di Repubblica Parlamentare, quindi prendendo il modello predominante in Europa, vedrebbe la volontà popolare affidata nelle mani del Parlamento e dei partiti. Il processo decisionale, dato che il Presidente diventa una figura di garante e senza diritto di veto, sarebbe terribilmente rallentato, stiamo inoltre parlando di un paese, come detto poc’anzi, con ben 175 etnie e 46 Oblast, le sedute al Consiglio della Federazione si prevedrebbero infinite.
Un’altra questione da porsi sulla politica di Navalny è il suo rapporto con la NATO, in quanto quest’ultimo si professa decisamente più simpatizzanti nei confronti dell’Occidente.
Quali sarebbero, quindi, le posizioni che la Russia prenderebbe sul piano estero? Sarebbe la fine dell’astio con il Patto Atlantico, si verrebbe a creare un nuovo equilibrio?
Navalny infondo appartiene a una nuova generazione, diversa sia dagli attuali governanti russi che da quelli occidentali, entrambi nati, cresciuti e impregnati di Guerra Fredda.
L’equilibrio però, nelle relazioni internazionali, è qualcosa di delicato e fondamentale allo stesso tempo. Le alleanze create sono nate dagli interessi di entrambe le parti, spesso destinate a durare nel tempo. Gli interessi della Russia in questo momento non si stanno più giocando sul fronte occidentale, ma sono rivolti verso Oriente e Medio Oriente, con nuovi patti energetici da miliardi di dollari.
Il programma creato con la Turchia per la ricostruzione della via della seta ha oscillato diverse volte nel corso di questi ultimi due anni ma nonostante il SU-24 abbattuto dai turchi e l’uccisione dell’ambasciatore russo ad Ankara, per quanto i rapporti tra Erdogan e Putin non siano idilliaci, l’alleanza e il progetto persistono.
Dal punto di vista sociale, come la prenderebbe “il russo medio” quest’improvvisa simpatia e apertura verso Ovest dopo anni di tensioni incrementati anche dai media locali? Modernità o Tradimento?
Navalny deve risolvere innanzi tutto l’attrito con la NATO, causato dalla sua espansione, che vede come candidata tra i suoi membri, la vicina Ucraina. Dovrebbe affrontare il problema degli scudi antimissile in Romania e Polonia, che tanto aveva fatto adirare Mosca.
Modificherebbe gli accordi sulle armi nucleari e tenderebbe ad addolcire i rapporti con i vicini dell’Ovest, o verrebbe anche lui travolto dal sentimento di solitudine e isolamento procuratogli da Occidente?
La bontà del programma liberale di Navalny tende forse a peccare d’ingenuità. Per quanto possa essere applicabile nella più parte dei paesi dell’UE o comunque di stampo prettamente democratico, la Russia è un paese a sé, diverso, e forse per questo così affascinante.
Il demone della Russia non è tanto il suo popolo multietnico, che nonostante gli attriti è pur sempre un’immensa ricchezza culturale, ma la sua geografia.
Attraversata da undici fusi orari, con città densamente popolate e infiniti deserti di ghiaccio, il suo essere non Europa e non Asia, la sua natura identitaria, dal punto di vista geografico, indefinita, l’ha isolata.
L’arretratezza culturale ed economica denunciata durante il periodo zarista, la chiusura ermetica durante il comunismo e gli ostacoli odierni nel riscattarsi non solo come superpotenza ma come Nazione moderna è il riflesso di tale isolamento geografico, incrementato ancor di più da una puntigliosa burocrazia.
La Russia è inoltre una Nazione dalle forti ambizioni, è una potenza nucleare ed energetica e gioca un ruolo fondamentale sulla scena internazionale ed ha quindi una certa reputazione da mantenere e rinforzare.
Per quanto le intenzioni dell’opposizione siano nobili e giuste, un eccesso di candidezza rischierebbe di far precipitare il paese, ancora in fase di transizione, in un caos simile a quello degli anni 90.
I valori della democrazia, soprattutto per gli occidentali, sono fondamentali per il benessere della Nazione e del suo popolo ma bisogna imparare a fare un passo indietro, a prendere le distanze e ammettere, con fatica, che per quanto i principi di libertà siano l’orgoglio e la forza dell’occidente, non sono però, una verità assoluta.
Non si può “costringere” uno Stato terzo nel diventare democratico da un giorno all’altro, così come non lo s’invade per imporre il proprio autoritarismo.
Ufficialmente nessuno sta obbligando la Russia ha prendere una svolta democratica, ma le perenne accuse da parte d’Occidente a Putin, definendolo un dittatore, paragonandolo ad uno Zar, mostrano come l’autoritarismo di una Stato continui ad disturbare i vicini democratici, non concependo che vi possano essere realtà politiche diverse.
L’Europa ha impiegato due secoli e due guerre mondiali per capire e cogliere appieno i valore della piena democrazia .
Non si può quindi accusare chi ancora non può comprende appieno o meglio non possa permettersi ancora di includere i principi e valori che ormai sono presenti delle società democratiche.
Ogni Nazione ha la sua storia e i suoi tempi, ed essi sono ciò che hanno formato il proprio popolo e la propria civiltà.
Per scrivere il futuro bisogna basarsi sul passato e purtroppo i ricordi che hanno formato la memoria collettiva russa sono particolarmente bui e spesso, sanguinosi.
Le politiche di Vladimir Putin, per quanto criticabili dal punto di vista delle libertà fondamentali, hanno permesso la rinascita e la crescita di uno Stato che stava per sfiorare il collasso economico.
La Russia, in constante sviluppo, sta attraversando la transizione mancata di vent’anni fa, che dovrebbe portarla a emergere come potenza militare ed economica e come nazione moderna, alla pari dei partner occidentali.
Ovviamente per raggiungere l’agognata modernità è necessario compiere i primi passi verso un modello democratico autentico, ma bisogna sottolineare che le transizioni sono una fase fondamentale e delicata per uno Stato che, ricordiamo, non ha mai conosciuto la democrazia, tali passi vanno quindi compiuti con la massima cautela.
L’aver forzato i tempi alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ’90, interrompendo le riforme di apertura di Gorbachev e imponendo un immediato sistema democratico, ha portato a una catastrofe economica e sociale di cui ancora oggi si sta pagando il prezzo, un errore che la Russia non può assolutamente permettersi di ripetere.