Europa, impresa e ricerca: alcune prospettive

di Giuseppe Carta

L’Europa deve recuperare fiducia nelle proprie capacità industriali, investire per adeguarsi per quindi crescere. Si deve rimettere al centro di ogni sforzo l’economia reale e quindi l’impresa, quale forza trainante per i futuri risultati economici. Per ottenere questo la ricerca deve essere fortemente sostenuta con interventi comunitari sostanziosi, in ambito finanziario e strutturale, con l’adozione linee di guida dettate dagli Istituti Universitari e di Ricerca più autorevoli del continente.


I 27 paesi, di cui ben tre, Francia, Germania e Italia sono membri del G7, ad oggi non hanno affrontato in maniera razionale la ricerca e l’innovazione, ormai necessarie per il rilancio industriale ed economico del nostro Continente, nella sfida che la globalizzazione richiede.
La strategia di Lisbona, quella che tendeva fare dell’Europa una “società dell’informazione ed una economia della conoscenza” è di fatto fallita. Il documento ha ormai 15 anni, sembrava la vera svolta che avrebbe portato ad un vero cambio di passo:

“La società dell’informazione trasformerà l’Europa in una società e in un’economia in cui le tecnologie avanzate verranno usate per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini. Se l’Europa saprà cogliere le opportunità che si prospettano, la società dell’informazione presenterà tutta una serie di vantaggi tra cui livelli di vita più elevati (…) posti di lavoro più interessanti grazie all’uso di tecnologie avanzate e di organizzazioni flessibili del lavoro. Queste stesse tecnologie consentiranno ai lavoratori di migliorare le loro abilità nel contesto di un processo di apprendimento lungo tutto l’arco della vita volto ad accrescere le loro prospettive occupazionali e i loro guadagni”. 

Sono molti i settori nei quali l’industria europea eccelle nel mondo, dall’aerospaziale al farmaceutico, dall’agricoltura alla cantieristica, etc.Non esiste, purtroppo, una ricerca europea che permetta di disporre di piattaforme tecnologiche comuni ed utilizzabili per le esigenze future. I programmi sono guidati da necessità commerciali emergenti e non da programmazione del medio lungo termine.  Si discute da molti anni a Bruxelles nelle diverse sedi e Commissioni del bisogno di un percorso tecnologico e strategico condiviso in grado di mantenere costantemente l’industria europea ai livelli oggi ormai indispensabili.

Esistono programmi europei di collaborazione nell’alta tecnologia, nel settore spaziale (ESA), dove il nostro paese fornisce notevoli contributi, sia progettuali che produttivi, di primissimo livello nel campo della Difesa e Sicurezza, con prodotti industriali di primissimo livello nell’aeronautica (con il velivolo militare Eurofighter – con gli affermati aerei da trasporto Airbus, ecc.) nella elicotteristica civile e militare (elicottero da trasporto NH90 ecc.). Di fatto tutti questi programmi utilizzano competenze già esistenti nei singoli Paesi, le stesse industrie cooperanti sono impegnate in diversi accordi internazionali, spesso in concorrenza fra loro nei mercati. Questi settori pretenderebbero veri centri di ricerca e sviluppo comuni che superino gli egoismi nazionali.

Ora con la nuova situazione nella quale si viene a trovare l’Europa con la Brexit le cooperazioni con le industrie in UK troveranno impreviste problematiche. In particolare quelle ad alto valore tecnologico e strategico. Un esempio è quella tra Finmeccanica-Leonardo e la Westland che vede sotto la bandiera italiana tutto il parco elicotteristico, dei due paesi, unitamente alla produzione di sistemi integrati nella radaristica e nell’avionica, sia civile che militare, in diversi stabilimenti, con circa 4.700 addetti, nel Regno Unito.

Esistono in Italia ed in Europa eccellenze che messe a fattor comune potrebbero dare delle risposte molto importanti, in condizione di affrontare una concorrenza sempre più vasta. Le attività industriali, come per esempio l’industria automobilistica, la cantieristica navale, i trasporti ecc.  necessitano di una massa critica comune per far fronte alle nuove sfide.

Settori importanti come l’agricoltura sono privi di knowledge comune e di centri di ricerca europei a sostegno della nostra qualità e per attuare una migliore salvaguardia dai prodotti importati da industrie extracomunitarie. La commissione europea è più impegnata nell’erogazione delle sovvenzioni ed al controllo delle quote di produzione attribuite a ciascun paese, che a realizzare centri di ricerca a favore del settore agroalimentare.

La ripresa economica in Europa permane lenta e delicata. L’attenzione politica ed amministrativa
si è rivolta particolarmente al controllo ed al consolidamento della struttura finanziaria europea. Ovviamente questo è importante, ma la ripresa economica passa per il rafforzamento dell’economia reale con aziende ed imprenditori che generano prodotti e servizi all’altezza dei tempi. La crescita ed il successo dell’Europa dipenderanno sempre più dalla capacità di un sistema industriale in grado di reggere la crescente concorrenza.

Nel 2012 la Commissione europea ha confermato l’esigenza di «un’industria europea più forte per la crescita e per la ripresa economica». L’iniziativa si propone di irrobustire l’innovazione industriale e l’economia reale. Ma non ne vediamo ancora dei segni tangibili.

Un particolare impegno deve essere rivolto alle piccole e medie imprese. Il rilancio economico non può, infatti, prescindere dal forte sostegno alle PMI, è qui che risiede la buona parte dei brevetti e della ricerca, particolarmente in Italia.  Nella UE sono circa 23 milioni le piccole e medie imprese, rappresentando il 98% delle attività economiche, contribuendo con il 67% dell’occupazione, determinando l’85% di nuovi posti di lavoro. L’ UE ha iniziato a predisporre un certo numero di strumenti per sostenere le PMI ad espletare le formalità e gli adempimenti amministrativi e regolamentari per poter facilitare l’accesso al credito, permettendo loro di cogliere le nuove occasioni commerciali.  Nel nostro paese, come sappiamo, non sono poche le difficoltà di accesso al credito, questo viene concesso a fronte di garanzie reali e non sulla valutazione delle qualità ingegneristiche o innovative dei programmi delle PMI o di centri di ricerca, ciò rende molto difficoltoso il decollo di nuovi prodotti e iniziative di pregio.

Sfortunatamente in Italia si aggiungono alla difficoltà dei finanziamenti anche problematiche strutturali che impediscono, un sano sviluppo industriale. Queste difficoltà, che ben conosciamo, risiedono nell’eccessiva burocrazia delle varie amministrazioni a livello nazionale, regionale e locale, incidendo in maniera spropositata sul costo del lavoro.

IMPLICAZIONI SULLE COOPERAZIONI INTERNAZIONALI NEL SETTORE DIFESA E SICUREZZAA VALLE DEL REFERENDUM SU BREXIT

Proprio in questi giorni nei pressi di Londra a Farnboroug è in corso il Salone dell’Aerospazio e Difesa. Sicuramente saranno non pochi gli incontri tra i capi delle Holding presenti che si riuniranno per discutere delle implicazioni finanziarie, industriali e occupazionali.

L’ AD di Leonardo-Finmeccanica, Moretti, ha espressamente detto: “L’Europa si sta muovendo verso progetti comuni di difesa e se la Gran Bretagna esce dall’Unione europea è abbastanza difficile avere le stesse opportunità nel futuro”.

La stessa Bae System (principale industria britannica e prima in Europa) ha sollecitato un incontro riservato al massimo livello per discutere delle ripercussioni prevedibili. Il dossier difesa è molto complesso in UK, le componenti strategiche e tecnologiche sono quasi più importanti di quelle occupazionali e di quelle legate all’andamento della sterlina.

L’arretratezza cronica del progetto di un mercato unico della difesa, causata dagli egoismi nazionali, è provvidenziale, ma solo ed unicamente in questa circostanza.

In ogni caso sarà facile intravedere un incremento del già elevato dislivello competitivo tra l’industria europea e quella degli USA.

Ricordo che le Società di Finmeccanica sono state sciolte e tramutate in divisioni dove l’unico attore con ragione sociale è Leonardo – Le società Agusta, Otomelara, Selex, Wass ecc. non esistono più. Ora è da osservare se questa razionalizzazione societaria, che presenta un’unica entità operativa, sia funzionale all’esigenza di realizzare le mosse specifiche e necessarie in ambito delle cooperazioni, dei prodotti e dei sistemi congiunti messi sul mercato e da supportare nelle attività logistiche e di post vendita. Ricordo la vendita recente, dopo anni di trattative, del Typhoon- Eurofigter al Kuwait. Leonardo possiede il 21% del programma di joint venture (che arriva al 36% del valore del business se si aggiunge la componente avionica della ex Selex prodotta anche nei siti UK ma di proprietà Leonardo), il resto Bae ha il 33%, Germania il 33% e Spagna il 13%.

Il settore ad ala rotante, che come detto copre tutte le esigenze delle due FFAA con stabilimenti in Italia e UK acquisiti da Agusta dalla Westland, negli anni passati. Il business generato in UK da Leonardo sono a bilancio 2015 di 1,8 Miliardi sui 12,99 totali.

Esistono, per tutti i programmi della difesa, convenzioni relative ai prezzi di trasferimento nei territori per i componenti di sistema. ecc. tutto questo risentirà inevitabilmente della nuova posizione nella quale la Gran Bretagna si trova.

Sicuramente ci saranno clausole nuove prevedibilmente studiate nei tavoli NATO che in materia di sicurezza è restata di fatto l’unico riferimento per l’esigenza di difesa.

Abbiamo già visto in borsa gli effetti sulle azioni Leonardo e delle altre Aziende europee, ma in questo terreno non mi addentro, visto la forte attitudine speculativa della finanza. Una finanza che si allontana sempre più dall’economia e dai suoi fondamentali.


* Il presente contributo è parte del Dialogo Diplomatico n° 224 “L’immagine dell’ Unione Europea e il rapporto con il cittadino europeo”, pubblicato dal Circolo degli Studi Diplomatici.