Il COVID e il populismo
Con la vittoria di Biden alle elezioni USA, sembrerebbe che la vague populista iniziata nel 2016 si sarebbe attenuata, anche grazie ai recentissimi scandali in Europa che hanno visto coinvoltin numerosi sovranisti tra cui l’eurodeputato ungherese, Jozsef Szajer, membro del partito di Orban e vicino alle visioni di Trump e Putin, evidenziando il velo d’ipocrisia che ammantava una morale opposta a ciò che invece soleva predicare.
Il cambiamento climatico, grazie alle proteste e alle voci, chissà alle volte un po’ faziose, di Greta Thunberg e di Papa Francesco, ha coinvolto e appassionato giovani di tutto il mondo che si sono interessati sempre di più al tema, alzando la voce contro i leader “negazionisti” come l’americano Trump e il brasiliano Bolsonaro, che minimizzavano un problema che andava ben oltre i confini nazionali.
La pandemia scoppiata nel febbraio 2020, sembrerebbe anche lei artefice della caduta dei populisti nel mondo, i quali anche in questo caso riducevano al minimo i disastri che questa avrebbe ed ha causato, presentandosi in mezzo alla folla, mostrandosi spavaldi e arroganti di fronte a qualcosa che non avrebbero potuto controllare, rendendoli vulnerabili.
In molti lo chiamerebbero Karma, ma senza neanche farlo a posta, uno dietro l’altro, Boris Johnson, Trump e Bolsonaro si sono ammalati appendendo così il manifesto della loro superbia, ma, tale tragedia ha scosso anima e cervello delle persone, ormai coscienti della gravità del virus, hanno alzato la voce per la presa di misure immediate ed efficaci.
In Russia il coronavirus ha avuto tutto il tempo di diffondersi a causa dei contatti e degli scambi tra lavoratori cinesi presenti in Siberia, colpendo gli anziani nelle province più povere, dove la sanità pubblica è pressoché inesistente e se esistente, assai mediocre.
Le misure prese allo scoppio della pandemia sono state superficiali per non dire nulle.
Ai ricoverati e i morti di covid-19 veniva diagnosticata una “polmonite anomala”.
Le chiese, a differenza del resto del mondo, non sono state chiuse e si potrebbe ipotizzare una mossa strategica di Putin dato il suo legame di amicizia e d’interesse con il Patriarca di Mosca, Cirillo I, e anche per non perdere preziosissimi voti al referendum costituzionale che si sarebbe dovuto tenere ad aprile e procrastinato a giugno, dato l’altissimo numero di fedeli tra i suoi elettori.
S’ipotizzava che con un’iniziale cattiva gestione della pandemia, la riforma costituzionale che prevedeva l’azzeramento dei mandati di Putin, così da poter rimanere alla presidenza fino al 2036, sarebbe certamente passata ma con un numero più basso, al limite del credibile.
Ma così non è stato. La legge è passata con il 76,92% di voti favorevoli.
Nonostante il potere di Vladimir Putin sembrerebbe eterno, vi è stato un enorme cambiamento all’interno del suo team: l’evirazione del fedelissimo Dmitri Medvedev, presidente nel 2008 e in seguito primo ministro.
L’ex braccio destro di Putin ha visto negli ultimi anni troppi scandali che lo riguardavano, scoperti e spiattellati in rete dal leader dell’opposizione, l’avvocato Aleksej Navalnij, avvelenato in aereo questo agosto ma sopravvissuto e curato a Berlino.
Nei corridoi della scena internazionale si vocifera di una possibile malattia celebrare del presidente russo, smentita dal Cremlino. Ciò sembrerebbe strano, soprattutto a ridosso del referendum costituzionale che ha permesso la sua permanenza sino alla veneranda età di 84 anni.
Nel caso le voci fossero state vere, avrebbero provveduto ad un cambio apparentemente sottile, ma internamente drastico, come una virata sulla vicepresidenza o alla testa del partito Russia Unita, un asso nella manica ben nascosto ma pronto ad essere tirato fuori al momento opportuno.
Se si pensa ad un’ipotesi di cambio repentino al vertice del Cremlino, si potrebbe prendere in considerazione il parco Lavrov’, fedele a Putin ma intriso di sapiente diplomazia che aiuterebbe chissà a concludere quest’esterna transizione russa.
Negli Stati Uniti, intanto, l’elezione di Biden rappresenta una sudatissima vittoria per la democrazia , ma c’è chi sospetta anche in questo caso, come nel 2016, lo zampino di Putin. Infatti, la Cina, grande alleato della Russia, ha dichiarato di essere contro una seconda vittoria di Trump e, chissà, per allacciare un’alleanza ancor più stretta col grande dragone rosso Putin non le abbia concesso questo favore.
Che il mondo stia cambiando ad una velocità sorprendente è un dato di fatto.
La Pandemia, costringendo le persone a restare in casa, ha contribuito, involontariamente, a un’inconsapevole ed enorme meditazione di massa.
Ci si è interrogati su cosa avessimo fatto e dove stessimo andando e le risposte non sono state sempre positive.
Il 2020 si prevedeva, tramite le elezioni che si sarebbero tenute in diverse Nazioni, come un anno di cambiamenti, ma nessuno immaginava ad un’evoluzione così drastica della società.
Riguardando il cammino percorso, si è riflettuto sugli errori commessi e, cogliendo la palla al balzo delle elezioni imminenti, si è capito che sarebbe stata l’occasione perfetta per cambiare e riparare ai danni causati.
I movimenti anti-sistema si sono rivelati fallimentari e deludenti, soprattutto nella gestione di emergenze, in quanto questi hanno sempre avuto la pessima attitudine di dare soluzioni rapide e semplici a problemi macroscopici.
Si potrebbe pensare a un declino dei movimenti populisti, ma non definitivo, dato che il loro ritorno dopo anni di lotta per la democrazia e per la libertà, si sono ripresentati sotto forma diversa ma con la stessa sostanza, facendo leva sulla paura e la memoria corta delle persone.