Next Generation EU: un’occasione per un futuro comune

di Guido Long

Il 27 maggio la Commissione europea ha presentato un nuovo strumento per la ripresa post-coronavirus, Next Generation EU, dal valore di 750 miliardi, divisi fra prestiti e finanziamenti a fondo perduto.

La proposta è stata presentata dopo che il duo Merkel-Macron aveva proposto 500 miliardi di finanziamenti, con i “rigoristi” che avevano rilanciato con la metà, 250 miliardi, ma di prestiti.

In Italia Next Generation EU è stata data per fatta, con annunci sui soldi “che arriveranno” e fonti di governo più o meno attendibili che addirittura già parlano di come saranno assegnati i fondi. Il che è interessante considerate le resistenze al tanto discusso MES, che ci avrebbe fornito (o fornirà, la posizione del governo è ancora alquanto incerta) decine di miliardi a tasso quasi 0.

Ovviamente la proposta della Commissione, pur rappresentando un importante passo avanti politico, non rappresenta nulla dal punto di vista concreto, visto che Parlamento e soprattutto Consiglio dovranno approvarla. All’interno di quest’ultimo i rigoristi, recentemente chiamati frugal four, tenteranno di far valere i loro argomenti.

La composizione di questi governi è interessante, visto che sono rappresentati tutti i principali gruppi politici europei. I popolari del PPE contano su Sebastian Kurz, cancelliere austriaco, i liberali dell’ALDE (che ora in seno al Parlamento si chiama Renew Europe) sono rappresentati da Mark Rutte, premier olandese, mentre Svezia e Danimarca sono a guida social-democratica.

Anche i Verdi, in generale favorevoli all’integrazione europea, rientrano nel gruppo dei “cattivi” in quanto partner di coalizione di Kurz. Questo aspetto non è sfuggito a Manfred Weber, capo del PPE al Parlamento europeo, che ha sottolineato come per la prima volta tutte le famiglie politiche dovranno convincere una parte dei loro membri.

Il consenso del Parlamento sembra più semplice da ottenere, visto che appunto i maggiori gruppi sostengono la proposta della Commissione, e gli unici ad opporsi sono sovranisti e populisti di varia natura.

Ma se le loro famiglie europee sono favorevoli, perché i quattro rigoristi si oppongono?

Ovviamente le ragioni sono molteplici e diversi fattori, interni ed esterni, s’intrecciano. Se Danimarca e Svezia neanche fanno parte dell’euro, si può sospettare che le loro ragioni siano principalmente economiche, motivo per cui negli anni hanno ridotto la loro integrazione al minimo.

Mark Rutte guida un governo di quattro partiti, liberali e conservatori, con una maggioranza risicata e formato dopo mesi di negoziazioni che hanno battuto il record olandese. Ma Rutte deve soprattutto fare i conti con due partiti di estrema destra molto forti, guidati da Geert Wilders (secondo alle ultime elezioni politiche) e Thierry Baudet (vincitore delle ultime elezioni provinciali). L’aritmetica parlamentare e i calcoli elettorali guidano quindi inevitabilmente le azioni di Rutte, che con il vento del paese che tira verso destra si ritrova costretto ad opporsi a quello che viene percepito come assistenzialismo verso i paesi del Sud.

Situazione per certi versi contraria quella di Sebastian Kurz, che guida sì un governo di coalizione, ma dopo aver preso il 37.5% alle elezioni del settembre scorso, con l’estrema destra dell’FPÖ che però dopo l’esperienza governativa ha perso quasi 10 punti. Con la minaccia antieuropeista per certi versi sventata, ci si chiede perché Kurz si opponga a questi passi avanti dell’Unione. In fondo Kurz avrà anche momentaneamente neutralizzato l’FPÖ, ma facendo proprie molte delle sue idee (il giovane cancelliere ha raggiunto il potere facendo campagna sulla chiusura della rotta balcanica quando era ministro degli esteri). Inoltre, c’è chi sostiene che questo ruolo di poliziotto cattivo faccia comodo a lui per ottenere attenzione mediatica, ma serva anche ad altri (prima fra tutti la Germania), che si ritrovano a sostenere pubblicamente la proposta della Commissione senza magari condividerne appieno lo spirito.

Comunque vada, ci aspettano mesi di negoziati. La Commissione prevede nuove risorse proprie per finanziare i bond che emetterà, da recuperare con tasse sui giganti del digitale e su chi inquina, fra gli altri. Ma la quantità di risorse previste rende difficile immaginare che gli stati membri non dovranno in qualche modo sborsare fondi di tasca loro, e l’unanimità necessaria al Consiglio rende necessaria la soddisfazione di tutti.

Il solo fatto che Next Generation EU abbia visto la luce è un enorme passo avanti da parte delle Istituzioni; ora sta ai governi nazionali, da sempre freno dell’integrazione europea, decidere cosa ci riserverà il futuro. Il fatto che il Regno Unito sia il paese europeo più colpito dalla pandemia è sicuramente una coincidenza, ma se non cogliamo questa occasione, corriamo il rischio di diventare 27 isole all’interno del continente europeo, anche senza Manica a separarci.