Miti e realtà – Terrorismo: chi sono i nuovi nemici.

di Stefano Silvestri

Gli attentati terroristici che stanno colpendo l’Europa fanno tanta più paura perché sembrano, e in qualche misura sono, del tutto insensati. La storia moderna dell’Europa, dal XIX secolo ad oggi, è scandita da numerosissimi attentati terroristici. Tuttavia negli ultimi anni sembra delinearsi un mutamento qualitativo importante.

In principio fu Princip
Gli attentati terroristici tradizionali, che l’Europa conosce bene, possono essere raccolti in un capitolo intitolato a Gavrilo Princip, che il 28 giugno 1914 uccise a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando di Asburgo-Este: un attentato che ebbe conseguenze spettacolari, dando il via alla Prima Guerra Mondiale, ma le cui motivazioni erano chiarissime a tutti, in linea con una lunga serie di precedenti.
Il terrorismo irredentista, così come quello indipendentista (anticoloniale o contro il governo centrale), il terrorismo anarchico, quello rivoluzionario, quello golpista, eccetera, hanno insanguinato l’Europa con pervicace regolarità.
Se anche ci limitiamo al periodo dal 1970 ad oggi, a più riprese, il ’72, il ’74, l’ ’80, l’ ’88, abbiamo avuto oltre 400 persone assassinate ogni anno, e in molti altri casi ci siamo attestati tra le 200 e le 300 vittime. I 147 morti di Parigi, nel 2015 o i 191 di Madrid nel 2004 non sono dunque una assoluta novità. Ad oggi l’attentato più sanguinoso che abbiamo avuto in Europa è stato quello di Lockerbie nel 1988: l’esplosione del volo PanAm 103 provocò 270 vittime.

I terroristi del ciclo ‘11.9.2001’
In realtà però gli attentati classificabili sotto l’etichetta ‘Princip’ sono andati diminuendo con l’esaurirsi del ciclo storico che, andando dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, e poi alla Guerra Fredda, si è grosso modo concluso il 9 novembre del 1989, con la caduta del muro di Berlino: in questi anni sono stati liquidati gli imperi coloniali europei, l’impero ottomano e il blocco sovietico, l’Europa nel suo complesso è stata politicamente ridimensionata e ridotta e si è delineata la necessità di nuovi equilibri internazionali. Tra gli ultimi esponenti del terrorismo alla ‘Princip’ troviamo i baschi dell’Eta, gli irlandesi dell’Ira, gli estremisti delle Brigate rosse, e tanti altri analoghi.
Il nuovo terrorismo ha le sue origini in questa nuova fase storica. E così arriviamo al secondo capitolo della nostra classificazione, che potremmo intitolare ‘11.9.2001’, in ricordo dei 2.966 morti, 24 dispersi e 6.400 feriti dei quattro attacchi aerei condotti quel giorno dai terroristi di al-Qaida negli Stati Uniti. Anche questi attacchi, come quello di Sarajevo, hanno avuto importanti conseguenze internazionali, di cui però è ancora impossibile predire gli sviluppi di lungo termine.

Conseguenze internazionali ancora in divenire
L’attacco di al-Qaida, motivato da vaghe premesse antiamericane, aveva forse l’obiettivo di intimidire gli americani, indebolendo il loro legame con i sauditi. Colse di sorpresa gli Usa che in quel periodo pensavano di non avere praticamente più grandi avversari ed ebbe la conseguenza immediata di spingerli in guerra contro i terroristi (obiettivo molto sfuggente) e soprattutto contro alcuni dei loro alleati (obiettivo molto più facilmente identificabile).
Specialmente durante il primo termine della presidenza di George W. Bush, Washington tentò di dare al suo impegno militare il senso della costruzione di un nuovo ordine mondiale, a partire dal Medio Oriente, giustificandolo con la lotta al terrorismo, ma in realtà modificando sensibilmente i suoi obiettivi.
Il rovinoso fallimento di questa strategia, accompagnato dal crescere di nuove potenze globali (Cina, forse Russia) e regionali (Giappone, Corea, Indonesia, India, Pakistan, Iran, Turchia, eccetera) sta alimentando una complicata serie di conflitti e guerre locali, variamente intrecciate tra loro, che sfruttano spesso e volentieri anche gli attacchi terroristici. Le vittime annuali del terrorismo nel mondo si sono così moltiplicate, da poche migliaia ad oltre 35.000, praticamente tutte in Asia ed Africa.

Fenomeno in espansione senza progressi tecnologici
Fortunatamente sono state disattese, fino ad ora, le aspettative degli analisti che, partendo dagli attacchi dell’11 Settembre 2001, avevano immaginato un aumento progressivo del livello di violenza e del numero delle vittime attraverso l’uso di sistemi più sofisticati di distruzione: armi chimiche, agenti biologici, bombe radiologiche, bombe nucleari. Non possiamo naturalmente escludere che si arrivi anche a questo, ma sinora i pochi tentativi fatti con i gas letali e con gli agenti biologici hanno soprattutto evidenziato una quantità di difficoltà che i terroristi non hanno saputo superare.
Il moltiplicarsi delle vittime è quindi una conseguenza dell’espandersi dell’uso del terrorismo e non del suo progresso tecnologico. Ciò è in qualche modo rassicurante per l’Europa, poiché le nostre società sarebbero molto vulnerabili ad attacchi sofisticati, mentre sono più in grado di controllare e reprimere l’ampliarsi del numero dei terroristi.

Unico criterio, massimizzare il numero delle vittime
Il problema è che la maggior parte di questi ‘nuovi’ terroristi che per convenzione definiamo ‘jihadisti’, a differenza dei terroristi tradizionali, non sembrano avere alcuna rivendicazione, a parte un generico odio verso la nostra società. I loro obiettivi e le loro vittime non sono selezionati con cura, ma solo in modo opportunistico. Non fanno distinzione di ceto, età, sesso, razza o religione (salvo rarissime eccezioni): il loro criterio principale sembra essere solo quello di massimizzare il numero delle vittime, e fortunatamente ci riescono solo raramente.
In altri termini essi si ispirano alle indicazioni delle organizzazioni terroristiche che agiscono in Asia ed Africa, ma, mentre queste partecipano attivamente a concrete lotte di potere e a conflitti regionali, i terroristi europei agiscono senza scopo, salvo forse quello di propagandare il nome dei loro ispiratori. In altri termini sono quelli che Carlo Cipolla avrebbe definito degli ‘stupidi’: gente volta allo stesso tempo a fare del male a sé e agli altri, senza obiettivi razionalmente percepibili. Essi sono a volte facilitati e guidati verso il loro assurdo suicidio da militanti più addestrati che si mantengono in seconda fila, ma anche questi sembrano solo avere generici obiettivi mediatici.
Eppure, in tutto questo, si delinea un messaggio per l’Europa. Stanno iniziando le nuove grandi guerre della globalizzazione, che dovranno definire i nuovi equilibri e il nuovo ordine internazionale. Esse svolgono la loro parte cruenta specialmente in Asia ed in Africa, ma tendono inevitabilmente ad allargarsi. In particolare il grande centro commerciale globale europeo non riuscirà a restarne fuori, ma dovrà decidere come giocare, con quali forze e con quali strategie.


Come disse molti anni or sono, a Seul, lo storico Michael Howard, aprendo una delle grandi conferenze annuali dell’International Institute for Strategic Studies, si avvicina il momento in cui l’Asia potrebbe restituire all’Europa il favore fattole in passato, coinvolgendola in due guerre mondiali.


* Pubblicato su http://www.affarinternazionali.it/ il 05 luglio 2017
Qui riportato integralmente su gentile concessione dell’autore.

Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI e

Socio Onorario di TAB Associazione.