Questi primi mesi di guerra.
In questi mesi di guerra, la Russia ha rivelato involontariamente due segreti arcani che alcuni
sospettavano, altri negavano ed altri ancora invece ignoravano nonostante fossero sempre più
palesi. Il primo è che il famigerato esercito invincibile, energico e perfettamente coordinato
durante le parate, si è mostrato assolutamente inadatto al campo di battaglia. Non solamente dal
punto di vista del materiale bellico, questo rivelatosi oltremodo obsoleto e di qualità discutibile,
ma anche dal punto di vista strategico. I soldati russi, tanto quanto i superiori, si sono mostrati
scoordinati, demotivati ed impreparati. Per quanto possa essere tragico, considerando anche la
giovane età di molte reclute, sono diventati in pochi mesi gli zimbelli della rete mondiale. Hanno
circolato per settimane video di carri armati in fuga dal Donbass, al momento della ripresa del
territorio da parte dell’esercito ucraino, finiti a sbattere contro gli alberi. Altri riprendevano soldati
intenti a saccheggiare negozi di elettrodomestici rubando lavatrici da riportare in patria, e altri
ancora mostravano ritirate repentine e caotiche, sintomo del panico provato dai militari. Queste
immagini, così come il numero maggiore di caduti russi, hanno svelato al mondo la verità che il
Cremlino ha sempre negato, forse anche a sé stesso: l’esercito russo è tutto fuorché invincibile e
ciò si è notato nelle ultimissime ore con la ripresa di Kherson da parte dell’esercito ucraino,
nonostante Mosca, con poca credibilità rimasta, ha confermato che il territorio appartiene alla
Federazione. Ma questo era chiaro sin dai primi giorni di guerra, quando Mosca dichiarava che
sarebbe stata una guerra lampo quando ancora oggi, a novembre, i negoziati di pace sono lungi
dall’essere intrapresi. Vi è da chiedersi se questa completa disorganizzazione sia stata la miccia che
ha portato l’esercito russo a macchiarsi di crimini di guerra che potrebbero far fare a Putin la fine
di Milosevich. L’efferatezza che ha risvegliato in Europa ricordi che erano stati quasi archiviati.
Oltre alle motivazioni cinquecentesche di Putin della ricostruzione del grande impero russo,
ricalcanti la megalomania di Filippo II e dei sovrani europei dell’epoca, quando ancora il principio
di sovranità nazionale era in là da venire, si scopre nella sua propaganda imperialista e pan-slavista
il secondo segreto: la russofobia non esiste.
La creazione di una grande famiglia russa sembrerebbe quasi una protezione, uno scudo per
proteggersi da qualcosa che da solo non riuscirebbe ad affrontare, così come puntualmente
paventi minacce nucleari alle quali nessuno crede. Vladimir Putin per primo ne è consapevole,
poiché sa quali conseguenze ricadrebbero sulla Russia.
Nessuno ha paura dei russi, ed ora ancor meno di prima. Più che altro si può provare rabbia nel
vedere il martirio insensato del popolo ucraino. Così come si può provare un’amara compassione
nei confronti del popolo russo, tradito da un capo di Stato travestito malamente da presidente
simil-democratico, ritrovatosi alla mercé di un dittatore dalle idee obsolete di conquista e di
manipolazione che riprende la vecchia retorica dell’uomo puro e duro, della supremazia maschile,
che denuncia l’omosessualità e l’effeminatezza, e promuove un machismo ridicolo e fuori tempo,
onde mascherare, come spesso accade, una profonda fragilità che sta pian piano venendo sempre
più a galla. Fragilità esterna ed interna. Fragilità causata da un’economia sempre più a rischio, dal
timore di venire ucciso, motivo per il quale il presidente russo dispone di tre sosia. La sua
debolezza è causata anche dalla poca fiducia nei confronti del suo staff e dei suoi fidatissimi, così
come dalla paura del suo stesso popolo, al quale ha spezzato le gambe e ha tappato la bocca per
evitare manifestazioni di dissenso nei suoi confronti.
L’aggressività di Putin aumenta unitamente alla sua debolezza. Putin sta provando il tipico
sentimento di malessere e di terrore sentito dai despoti in declino, quando si ritrovano a dover
fare i conti con quello che hanno seminato, consapevoli di stare sul punto di precipitare dalla vetta
sulla quale sono saliti e posta su basi molto instabili. L’élite culturale e politica dell’opposizione
russa inizia a prevedere un dopo Putin, si iniziano a fare ipotesi di un nuovo capitolo dove lui non
ci sarà, e questo, alla luce del Referendum del 2021 che lo vedeva ancora al Cremlino fino al 2036,
per i filo-putiniani e per il presidente stesso, è un oltraggio impensabile, ma non impossibile.
La paura esterna nasce dalla pessima figura, del quale Putin è conscio, fatta sul fronte Ucraino.
L’Occidente sta sgranando gli occhi di fronte all’inefficienza di generali e degli alti ranghi militari
spacciati per anni come spietati strateghi. La spietatezza è presente, certo, ma questa è presente
pervia della mancata strategia. Lo spauracchio russo è stato esorcizzato dagli stessi russi, che con
le loro manie di grandezza si sono macchiati di ridicolo.
La russofobia non c’è, in compenso c’è la fobia nei confronti dell’Occidente che nonostante la
criticata libertà e la democrazia, nonostante i diritti civili, considerati dal governo russo e dai filo-
russi europei, lassisti e osceni, è oggettivamente non solo più potente sulla scala economica ma
anche strategico-militare.
Putin ha ora effettivamente paura dell’Ovest. Lo si vede per come durante la guerra in Ucraina ha
temuto l’intervento Occidentale e della NATO ponendo rigidi paletti, sotto minacce di
un’aggressività fuori dal tempo. Ne ha paura sul campo di battaglia come nella finanza, perché
nonostante si ostini a dimostrare che sia l’Europa ad aver bisogno della Russia, è Mosca a
necessitare dei suoi principali acquirenti, gli occidentali, ormai voltati da un’altra parte, pronti con
nuovo accordi e nuove alleanze, dove il Cremlino non potrà essere ammesso. L’Europa può
cavarsela senza la Russia, non si sa la Russia può cavarsela senza l’Europa.
Putin è come un ratto pressato in un angolo dal quale la sola soluzione per uscirne è quella
d’attaccare senza remore manifestando in tal modo il suo terrore, rimasto solo, sperando nella
Cina, ma che ormai finge di non vederlo. È solo e lo sa. E l’unico appiglio sul quale può contare è
qualche Stato vassallo in Africa, nel Caucaso e in Asia Centrale.
La paura di Putin è il motivo per il quale ha “ringhiato” quando gli Stati ex membri del Patto di
Varsavia entravano nella Nato. Sapeva che i suoi piani sarebbero stati capovolti da un esercito ben
più potente del suo, un esercito di Paesi che adesso stanno accogliendo i russi esuli, che stanno
tendendo la mano verso coloro che hanno voltato le spalle alla guerra di Putin.
Come ai tempi della rivoluzione bolscevica, chi fugge è spesso parte dell’Intellighenzia o parte di
un’élite culturale che può permettersi di lasciare il paese, epurato dalla nuova borghesia. Chi
rimane è sottoposto alla propaganda del Cremlino, ed è quindi indotto a credere nella ragione
della guerra “di liberazione” dell’Ucraina, che solamente nella giornata del 31 ottobre ha visto
novecentocinquanta morti, mentre dall’inizio della guerra sono circa trentacinque mila morti.
Chi è uomo, chi è sotto i sessant’anni di età e soprattutto, chi è parte di una minoranza etnica, è
destinato a finire in prima linea sul fronte essendo considerato cittadino di serie C. Nonostante gli
ammutinamenti o gli infortuni “volontari” per non partire, la mobilitazione di trecento mila uomini
è stata annunciata con minacciosa fierezza dal governo russo, per tappare i buchi di chi è perito al
fronte e per gonfiare ancor di più i muscoli sperando di mascherare la scadente figura fatta sulla
scena mondiale.
Intanto però, la Russia si sta svuotando dalla sua élite culturale ed economica, lasciando un vuoto
nelle casse dello Stato, già immiserito dalle sanzioni, simile a quello del ’92. Putin sa di aver perso,
a differenza di ciò che continuano a sostenere i filo-russi in Occidente, e la consapevolezza della
perdita è incrementata da un sentimento che nell’animo più fragile può diventare pericoloso:
l’orgoglio. Ed è proprio l’orgoglio suo e quello russo, al quale lui finge di dar voce, che lo spingerà a
voler ancora combattere, sbandierando una riconquista fasulla e dimenticando coloro che a
contatto con l’estero sono al corrente della triste realtà.
Nella russofobia i russi ci hanno sperato, perché dietro alla paura giocava la loro idea di grandezza.
Ma la loro unica grandezza per ora rimane quella geografica e quella culturale, la grande cultura
russa forgiata nei secoli da chi è stato vittima di despoti spaventati dal loro stesso popolo. La
russofobia è interna non esterna. E la storia insegna che a vincere è sempre la libertà, non i regimi
che credono nel terrore.